2 giugno ad Anzola
Sono davvero onorato di partecipare alla Festa della Repubblica nella città del grande sindaco socialista Giovanni Goldoni, che tra il 1905 e il 1920 promosse l’alfabetizzazione, il progresso delle classi più svantaggiate e lo sviluppo locale. Un autodidatta, un riformatore pragmatico e un antifascista intransigente, estromesso e perseguitato dagli squadristi fino alla morte prematura nel 1924. Un esempio di virtù politiche che per fortuna in questa terra, con la riconquistata libertà, ha avuto una lunga e continua sequenza di epigoni.
Sono onorato di partecipare alla Festa della Repubblica nella città Croce di Guerra al Valor Militare per i lutti sopportati della sua popolazione, per il sacrificio di tanti uomini e donne durante la seconda guerra mondiale e la lotta di liberazione. Siamo qui, in primo luogo, per rendere omaggio ai ragazzi della 7^ e della 63^ brigata, ai ragazzi che diedero vita alle 28 basi partigiane, alle oltre venti staffette, ai 32 morti in combattimento, ai 12 morti a Mauthausen, alle numerose vittime dei rastrellamenti operati dalle SS, ai tanti i cui corpi sono stati poi trovati sepolti sui calanchi di Sabbiuno.
È un onore partecipare alla festa della Repubblica in una città che porta ancora orgogliosamente memoria nella toponomastica della pesante teoria di ottusità e violenza, sofferenza e dolore, generosità e coraggio di cui è intessuta la storia che ci ha portati al 2 giugno 1946.
Ringrazio dunque il Sindaco, Loris Ropa, e il Presidente del Consiglio comunale, Monica Bartolini, per avermi invitato qui oggi, e i presenti che hanno voluto celebrare insieme a noi un momento così importante della nostra storia nazionale.
Il 2 giugno del 1946, i cittadini italiani furono chiamati alle urne dopo vent’anni di autoritarismo per decidere, tramite referendum, se l’ Italia doveva restare monarchia o diventare repubblica e, allo stesso tempo, per eleggere l’Assemblea costituente. Per la prima volta votarono le donne.
La scelta di popolo per la Repubblica, manifestata il 2 giugno del 1946, costituisce senza dubbio l’atto fondativo di una nuova stagione, della fase più matura della nostra unità nazionale, e l’esito ultimo del Risorgimento e della Resistenza.
L’elezione dell’Assemblea costituente, in quel 2 giugno di 65 anni fa, segnò anche l’affermazione di grandi partiti popolari.
Segno il passaggio dalla democrazia dei pochi e dei benestanti che l’Italia aveva sperimentato per qualche tempo prima di cadere nell’illusione dell’uomo solo al comando, alla democrazia dei molti, se non di tutti.
Una democrazia nella quale solo grandi partiti popolari potevano essere effettivi veicoli di partecipazione.
Il 2 giugno del 1946 avemmo tuttavia anche una misura dei due più grandi problemi di coesione nazionale che la Repubblica avrebbe dovuto affrontare. Due problemi con cui continuiamo a fare i conti, seppure fortunamente in misura attenuata.
In primo luogo, la Repubblica ottenne due milioni di voti in più rispetto alla Monarchia nel complesso del territorio nazionale, ma mentre prevalse di gran lunga nel Centro-Nord venne battuta in diverse aree del meridione. Venne così in evidenza, anche sotto il profilo della cultura politica, una divisione territoriale abbastanza profonda.
In secondo luogo, i partiti di massa di gran lunga più votati per l’Assemblea costituente – il Partito Socialista, il Partito Comunista, la Democrazia Cristiana – esprimevano ideologie politiche e visioni del mondo tra loro fortemente contrapposte, che avrebbero alimentato il duro scontro andato in scena due anni dopo quando, alle elezioni del 18 aprile 1948, si contendettero il governo del Paese.
Le differenze territoriali e le diffidenze ideologiche non impedirono tuttavia ai padri costituenti di trovare valori condivisi su cui convergere, da mettere a fondamento della appartenenza alla comunità nazionale e delle istituzioni repubblicane. A loro, uomini e donne di grandissimo valore, va la gratitudine perenne del popolo italiano.
Al tempo stesso, non dobbiamo affatto negare che alcuni di quei principi furono formulati in maniera ambivalente. Così che ciascuna parte potesse intravvedere, in una Costituzione profondamente condivia, anche una effettiva possibilità di coltivare la propria specifica visione. E non dobbiamo neppure negare che in Assemblea costitente si scelse un assetto istituzionale finalizzato a garantire il massimo bilanciamento tra le forze politiche, per evitare che nessuna di esse potesse temere di essere sopraffatta e completamente esclusa dalle altre.
Fu quindi certamente una Costituzione compromissoria, ma frutto di un compromesso alto che ha aiutato l’Italia a compiere il percorso non facile del consolidamento della democrazia e della ricostruzione economica, e ci ha poi consentito di superare momenti durissimi, come gli anni di piombo.
D’altro canto la storia ci insegna che niente è mai conquistato in modo definitivo. La solidità delle istituzioni repubblicane va difesa ogni giorno, sia conservando regole e valori, sia sapendo innovare, prendendo lezioni dall’esperienza e confrontandosi con i cambiamenti che di continuo segnano il volto della società nel nostro mondo globalizzato.
All’inizio degli anni ’90 abbiamo sperimentato una delle più traumatiche e profonde discontinuità mai registrate all’interno di un regime democratico consolidato. Tanto che nel lessico ormai quotidiano si considera che i cambiamenti politici dei primi anni novanta abbiano segnato il punto di cesura tra una Prima e una Seconda Repubblica. Si è avviata allora una transizione che purtroppo non possiamo ancora dire compiuta.
La Prima Repubblica ci aveva consegnato degenerazioni della vita politica quali la frammentazione esasperata della rappresentanza, l’assenza di ricambio alla guida del governo accompagnata da una esasperante instabilità, la colonizzazione del settore pubblico e di diversi ambiti della vita civile da parte della politica, ed in particolare ovviamente dei partiti di governo o meglio delle loro correnti, una crescita incontrollata del debito pubblico e il dilagare della corruzione.
Abbiamo provato a cambiare rotta con i referendum del 1991-93 e con la riforma delle leggi elettorali, che ci ha consentito di passare ad un sistema di alternanze. Sono state utilmente rafforzate le responsabilità dei sindaci, si è avviato un maggiore decentramento dei poteri a favore delle Regioni e degli enti locali. Grazie al risanamento finanziario della metà degli anni novanta siamo rimasti a pieno titolo nell’Unione Europea, la nostra patria più larga.
Sono necessari nuovi meccanismi di garanzia e di bilanciamento tra maggioranza e opposizione che pur riconoscendo il ruolo di indirizzo dell’esecutivo non svuotino il Parlamento dei suoi poteri costituzionali.
La riarticolazione in chiave federale dello stato avviata tramite la Riforma del Titolo V, non è stata ancora tradotta in una architettura costituzionale coerente. Da anni si evoca uno snellimento del Parlamento e una trasformazione del Senato nella sede dei confronto con gli enti e gli interessi territoriali.
La nostra presenza nell’Unione Europea deve farci sentire sempre più responsabili del progetto comune, di una Europa che si muova nel solco della sua lunga tradizione di libertà e coesione sociale, e sia fattore di equilibrio nello scenario internazionale.
Quella che convezionalmente chiamiamo Seconda Repubblica, ci ha inoltre messo di fronte a nuovi problemi, ad atteggiamenti e stili di conduzione della vita politica che forse i costituenti non avevano nemmeno considerato nel novero delle possibilità:
la degradazione del senso di identificazione con la comunità locale nella idolatria di piccole patrie immaginarie che dovrebbero giustificare il superamento dell’unità della Nazione e dalla solidarità tra i diversi territori che la compongono;
il conflitto non regolato tra gli interessi privati di chi governa e gli interessi collettivi che dovrebbe tutelare;
il logoramento dei rapporti tra le istituzioni e dell’equilibrio tra i poteri a causa di sconfinamenti irrituali o di veri e propri atti costituzionalmente illegittimi;
la pretesa che il consenso elettorale possa essere strumento per derogare alla legge o sottrarsi ai doverosi accertamenti della magistratura.
Dunque si può e si deve discutere anche su come adeguare la Seconda Parte della Costituzione alle trasformazioni avvenute nella società italiana, per difendere i principi repubblicani che oggi vediamo messi a repentaglio, purché non sia alterata la sintesi dei diritti di libertà, dei diritti e dei doveri civili, sociali e politici, sanciti dalla sua Prima Parte.
Queste prove ci confermanto che la Repubblica si difende ogni giorno, sia conservando sia innovando le regole costituzionali, consolidando i valori condivisi, preservando i simboli dell’unità.
Come affermato dal Presidente Napolitano, infatti, “tali segni di unità sono tanto più importanti quanto più sono aspre le contrapposizioni politiche e istituzionali, e devono aprire la strada delle riforme necessarie al paese e al suo sviluppo, nel rispetto dei diversi ruoli istituzionali, nel libero e civile confronto tra le diverse opinioni”.
Con tale auspicio e nel ricordo delle vittime del terrorismo e della violenza politica di ogni colore, degli eroici magistrati e appartenenti alle forze di polizia caduti nella lotta contro la mafia, festeggiamo il 2 Giugno
Festa dell'Italia che si unì e si fece Stato 150 anni or sono, festa della Repubblica che il popolo scelse liberamente 65 anni fa.
Viva l’Italia. Viva la democrazia. Viva la Costituzione.