Università. Il progetto del PD
Di seguito la sintesi (non rivista dagli oratori) degli interventi tenuti al seminario sul progetto di riforma del sistema universitario del Partito Democratico tenuto nella Sala Silentium del Quartiere San Vitale a Bologna l’8 maggio 2009, con la partecipazione di Luciano Modica.
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Salvatore Vassallo
Ringrazio i presenti per la partecipazione. Questa iniziativa costituisce la prosecuzione di un impegno preso in campagna elettorale a tenere vivo il dialogo con la comunità accademica bolognese, mantenendo una consuetudine di reciproca informazione con il Rettore e una continuativa consultazione con i colleghi sugli interventi legislativi in materia universitaria. Un primo incontro lo abbiamo tenuto ad aprile del 2008 con un piccolo gruppo di docenti con ruoli di governo nell’ambito dell’ateneo. Un secondo incontro fu promosso in questa stessa sala a novembre per presentare una bozza di progetto di legge sul finanziamento dell’Università e un documento di indirizzi (c.d. decalogo) del Partito Democratico sulla riforma del sistema universitario che hanno poi, seppure in misure assai diverse, costituito “lavori preparatori” del progetto più organico di cui discutiamo oggi. Si tratta di una proposta compiuta, ancorché non chiusa e definitiva. Io stesso non posso dire di condividerlo riga per riga. Ci sono aspetti che vanno perfezionati da un punto di vista strettamente tecnico o lessicale. Ed altri che vanno approfonditi nel merito. Non lo dico per prendere le distanze dal progetto stesso, ma per sottolineare che non lo consideriamo un prodotto finito e che riteniamo quindi assai importanti occasioni come questa che ci consentono di migliorarlo.
È noto il nostro dissenso vero la politica scriteriata dei tagli finanziari praticata fin dal suo insediamento dall’attuale governo, a partire dalla cospicua riduzione del Fondo di Finanziamento Ordinario conseguente all’abolizione generalizzata dell’Ici sulla prima casa, passando per i tagli conseguenti al blocco del turn over (con il decreto 112 del 2008). Sono seguiti parziali passi indietro (sul turn over) e finti passi in avanti su borse di studio ed edilizia residenziale per gli studenti, accelerazioni mal calibrate e forse inutili sui concorsi. Tutte materie su cui oggi non entreremo se non tangenzialmente oggi, ma che pesano come macigni sulla tenuta del sistema universitario.
Credo si possa dire che invece esiste un certo consenso in merito all’analisi delle patologie che l’università italiana deve superare (autonomia degenerata in localismo) e la condivisione da parte di esponenti della maggioranza e dell’opposizione di alcuni obiettivi di fondo: la necessità di promuovere l’internazionalizzazione e, quindi, il merito, di agire sui controlli ex post piuttosto che sulle procedure, di snellire i processi decisionali distinguendo meglio le funzioni di controllo e di indirizzo generale degli organi collegiali dalle funzioni di impulso e coordinamento degli organi monocratici, di investire sul diritto allo studio, accrescendo la possibilità di scelta degli studenti migliori, di essere anche più rigorosi con le università mal gestite. Di conseguenza, l’agenda degli aspetti da riformare è piuttosto articolata: ridefinizione degli organi di governo (rettore, senato, consiglio di amministrazione, nucleo di valutazione, ecc), razionalizzazione delle strutture interne degli atenei (facoltà, dipartimenti), promozione di processi di fusione o aggregazione federativa di Atenei, accorpamento dei settori scientifico-disciplinari, stato giuridico della docenza, reclutamento, nuove forme di sostegno ai “meritevoli ancorché privi di mezzi”.
Questo è il menù. Passo la parola a Luciano Modica affinché illustri sinteticamente il progetto, prima di aprire la discussione.
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Luciano Modica
E’ impensabile sottoporre il sistema universitario ad una nuova riforma senza che si destinino alle nostre Università più risorse delle attuali. Nessuno può mettere in dubbio che il nostro sistema è il meno finanziato, sotto ogni punto di vista, se si valutano le statistiche dell’OCSE e dei siti europei perchè siamo sempre 18esimi su 18.
Il 23 marzo il Ministro Gelmini interveniva con una dichiarazione stampa in cui ci invitava a partecipare come opposizione al Convegno del 24 marzo per la prima volta indicava il suo impegno, quanto meno politico, a ripensare i tagli se la riforma fosse andata rapidamente avanti in Parlamento. Era quindi un’apertura verso le nostre posizioni.
Noi pensavamo di riuscire ad anticipare il Ministro Gelmini facendo uscire un nostro decreto poi, di fronte alla chiara difficoltà del Ministero anche per l’avvicinarsi delle elezioni Europee, abbiamo deciso di rompere gli indugi e il 20 maggio abbiamo reso pubblica una bozza di decreto legge di partito, cioè a firma dei parlamentari del PD con l’idea di offrire al dibattito elettorale anche questo aspetto. Molti si sono interessati a questa iniziativa presentando, tramite mail (241 ne sono arrivate), dei testi di legge o degli emendamenti al progetto. Non sarà possibile rispondere a tutti ma stiamo pensando a delle strutture tipo blog per gestire questi interventi. Il dibattito si è aperto, ed anche gli ultimi testi del Ministro sembrano tenere in considerazione le nostre posizioni.
La linea politica concreta si muove su due punti. In primo luogo, noi siamo disposti a parlare di riforme ma la condizione imprescindibile è che, non solo i tagli vengano restituiti tutti, ma che ci sia un investimento anche solo limitato a sostenere i giovani, studenti, dottorandi, gli assegnisti; la parte iniziale del segmento universitario. Abbiamo quantificato la spesa che è di un miliardo di euro di cui 600 milioni sono i tagli e 400 milioni sono per la parte giovani precari – ricercatori.
Il secondo punto, che si differenzia dal Governo, è quello di puntare nuovamente sull’autonomia e di dare fiducia alle Università, ai Professori e agli organi. L’autonomia è ora sotto attacco perchè molti hanno dubbi che sia giusto insistere sull’autonomia degli Atenei, eppure noi pensiamo che sia necessario riaprire questo canale di fiducia dando più spazi alle Università e a a chi le gestisce, cioè, agli organi democratici degli Atenei piuttosto che intervenire dall’alto con una serie di regole. Chi ha visto le prime bozze del decreto governativo avrà notato la grande quantità di regole aritmetiche; una riduzione della complessità del reale che faceva impressione perché evidenziava il senso di sfiducia nella Repubblica e nel Ministero. Noi, invece, abbiamo lasciato da parte le regole aritmetiche e abbiamo cercato di dare spazio all’autonomia tentando di modificare dall’interno le Università. Più denaro, più autonomia, più valutazione e più attenzione ai giovani e non a coloro che vivono nelle Università o che ne stanno per uscire.
Un’ultima cosa sul decreto legge. Andrà in Parlamento (al Senato) presumibilmente a luglio ed è impensabile che l’iter possa concludersi prima delle vacanze estive per cui non è una legge che sta per essere approvata e ciò ci agevola in quanto ci dà la possibilità di esaminarla con più calma, a meno che il Governo non decida di intervenire trasformando alcune norme in norme di decreto legge. Io mi auguro di no.
Abbiamo l’autunno per completare la nostra azione di opposizione e per dare all’Università il sostegno di norme non episodiche rispetto a quelle a cui ci siamo dovuti abituare negli ultimi anni. Ci auguriamo che questa “democrazia normale” possa rimotivare docenti, precari, ricercatori, studenti, dottorandi ad un approccio politico al tema universitario, ricco di organicità piuttosto che agganciato, come sempre, al transitorio e a situazioni di circostanza per chiudere i concorsi o per fare altre piccole cose.
Non possiamo più permetterci, nei confronti dell’opinione pubblica, l’ennesimo intervento tappabuchi che non eviterebbe i tagli che affosseranno gran parte del sistema pubblico italiano nel 2010 e, soprattutto, non inizierebbe quel cammino che renderebbe le nostre Università al passo coi tempi e in linea con le attese del Paese.
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Prof. Fausto Desalvo – Dipartimento di Matematica
Ho letto i progetti ed ho una perplessità che riguarda il Consiglio di Amministrazione di nomina regia, nel senso che metà del Consiglio è nominata dal Rettore e metà è nominata dal Senato Accademico. Io ho fatto 6 anni in Consiglio di Amministrazione e 6 anni in Senato Accademico e nella mia esperienza significa che il Consiglio di Amministrazione è completamente nominato dal Rettore perchè, in 6 anni, non ho mai visto il Senato Accademico votare qualcosa che fosse difforme dalla volontà del Rettore.
Il secondo fatto che mi lascia perplesso è il 40% degli esterni. Non mi lascia perplesso a priori perchè riesco a capire le intenzioni di chi dice una cosa del genere; però la mia esperienza nel Consiglio di Amministrazione, tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, è che c’è una montagna di rappresentanti esterni che si dividevano in rappresentanti formalmente esterni – ma che in realtà nominavano i Professori dell’Università di Bologna – ed effettivamente esterni che non si presentavano ed erano costantemente assenti. La mia esperienza mi sembra un campione sufficiente per valutare la questione. Questi rappresentanti effettivamente esterni, quanto si appassionano ai problemi dell’Università? A meno che non vengano pagati molto bene ma, ai nostri tempi, questo non succedeva.
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Prof. Andrea Ichino – Dipartimento di Scienze Economiche
Ho 6 domande da porre ed una precisazione finale.
La prima domanda è di chiarimento sui rapporti tra le due proposte.
La prima è del rapporto tra centralizzazione ed autonomia. Apprezzo moltissimo la spinta verso una maggiore autonomia nel progetto del PD, ma perchè non si preme di più l’acceleratore sul dare completa autonomia degli Atenei? Forse un sistema universitario statale come quello della California che è sufficientemente efficiente e dove ci sono due dei migliori Atenei al mondo, andrebbe preso in considerazione. Il Pd lo ha fatto? L’impressione è che lì ci sia più autonomia, più delega ai singoli Atenei. Pensiamo al Dottorato. Non si capisce perchè in Italia il Dottorato debba essere centralizzato non solo tra Atenei, ma anche tra discipline diverse. Questo non ha senso perchè, ad esempio, il Dottorato in Economia non ha niente a che vedere con quello nelle discipline scientifiche e, quindi, non ha senso cercare di creare un’unica disciplina. Quindi, prima cosa, perchè non una maggiore autonomia anche per quanto riguarda gli organi e come devono essere strutturati.
Seconda domanda: reclutamento.
Mi sembra di capire dalla proposta del Pd che si va nella direzione giusta, cioè, di lasciare liberi gli Atenei nello stabilire le regole del reclutamento. Vorrei capire a cosa serve l’idoneità e come sarebbe strutturata. Non basta il Dottorato? In molti Paesi del mondo il Dottorato sancisce l’idoneità alla ricerca e all’insegnamento; perchè da noi non basta quello?
Terza domanda: vorrei capire cosa succede tra Facoltà e Dipartimenti. A mio avviso, la distinzione tra Facoltà e Dipartimenti, è da eliminare, invece, c’è bisogno di un organo che gestisce la ricerca e che organizza dei corsi gestendo le varie discipline necessarie per far funzionare un corso di laurea. Succede all’estero e non capisco perchè non debba funzionare da noi.
Quarta domanda: non mi sembra di aver visto nulla sulla retribuzione dei docenti. E’ ora di finirla col pensare che la retribuzione docenti debba essere determinata solo dall’anzianità senza la possibilità di affidare ai capi Dipartimento la gestione della retribuzione in piena autonomia, senza stabilire regole dal centro perchè, l’anzianità, non può essere l’unico criterio da valutare.
Quinta domanda: un problema fondamentale, che non saprei come risolvere, è quello dell’allocazione di fondi tra discipline. Come si fa a comparare la ricerca di due discipline diverse seppur vicine come Economia e Scienze Politiche? Penso che la scelta possa essere solo di tipo politico perchè è difficile, da parte dell’ANVUR, capire come allocare i fondi.
Sesto punto: gli organi. Non capisco perchè, invece di essere stabilita al centro, non possa essere lasciata agli Atenei la decisione su come organizzarsi e soprattutto non vedo segnali forti di semplificazione. Immagino che tutti riceviate i messaggi che la Prof.ssa Crisafulli ci manda riguardo alle decisioni del Consiglio di Amministrazione. Io sono strabiliato perchè, per ogni decisione, si produce troppo materiale.
Ultima precisazione: non possiamo continuare a lamentarci di essere attaccati perchè l’attacco ce lo meritiamo dato che non riusciamo a fare pulizia da soli. I tagli sono necessari ed è vero che siamo gli ultimi nei fondi allocati alla ricerca, gli ultimi nell’efficienza e siamo i primi negli sprechi. Prima di chiedere altri fondi dobbiamo tagliare gli sprechi che abbiamo.
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Prof. Lilla Maria Crisafulli – Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere Moderne
La ragione per cui ho chiesto di intervenire, riguarda alcuni punti.
Cominciamo da un punto generale e generico. Chi mi conosce sa che sono stati fatti degli attacchi all’Università e al suo corpo docente a cui nessuno ha risposto. Abbiamo fatto una lettera che è stata fatta circolare in cui si davano delle ragioni precise per la difesa del nostro operato senza negare delle responsabilità o delle corresponsabilità. Non è stato, però, valutato il lavoro massacrante svolto in questi anni per rincorrere le continue e contraddittorie riforme che si sono succedute e che si sono pesantemente abbattute su di noi che, insieme al personale tecnico-amministrativo e agli studenti, le abbiamo affrontate in prima linea. Io non ho sentito una parola di difesa nei confronti di nessuno ed io sono stanca di questo soprattutto quando ad attaccarci sono gli stessi colleghi che, così facendo, attaccano se stessi. Si possono fare due cose. Rimediare in prima persona ai nostri danni senza negare tutto il lavoro che abbiamo fatto. La nostra Università è stata una delle migliori al mondo ed io ne sono convinta. Il nostro sistema è un sistema di massa e per questo non ci possiamo confrontare con gli altri Paesi perchè noi riusciamo a gestire folle di studenti di ogni livello e classe sociale e li portiamo avanti facendoli laureare nelle Università pubbliche. Per questo ringrazio Almalaurea per tutti i dati forniti perchè questo significa che noi abbiamo funzionato nonostante tutto in questi anni. Molti studenti delle nostre Università pubbliche, specialmente di ingegneria e di medicina, vengono trattenuti all’estero per le loro capacità ma, questo, viene spesso dimenticato. Sono stanca di questi attacchi violenti per cui abbiamo scritto una lettera al Sole 24Ore che è stata pubblicata dopo un mese. Tutti i media stavano preparando il terreno alla riforma della Gelmini e a questi tagli.
Per quanto riguarda la proposta del Pd, questa ha molti punti importanti e, a differenza degli altri colleghi, io individuo questa abilitazione nazionale come un momento democratico che ci garantisca un po’ di qualità. Sono preoccupata su altre questioni. Primo dubbio: gli otto anni consecutivi di carica di un Rettore. Secondo punto: l’accesso alla docenza. Ci vogliono almeno tre anni di assegno di ricerca, devono aver fatto il dottorato, devono aver avuto periodi di ricerca in enti pubblici, ma perchè questo? In fondo una delle poche cose che la riforma ci aveva consegnato era che, chi aveva lavorato in enti non necessariamente pubblici e di ricerca poteva comunque avere un bagaglio interessante da spendere nelle Università. Quindi, io non credo sia giusto eliminare questa componente.
Ultimo punto: il CDA. Io ho fatto tre anni nel CDA e l’idea che il CDA diventi esclusivamente espressione del Rettore o del Senato (che raramente si discosta dal parere del Magnifico) non è positivo e non vedo perchè il Pd debba dimenticare la grande forza democratica di un’elezione diretta. Cos’è che rende deprecabile l’elezione dei rappresentanti nel CDA? Vi assicuro che noi non rappresentiamo altro che tutto l’Ateneo e siamo le persone più competenti a farlo. Le persone esterne, infatti, non solo vengono pagate poco ma sono impegnate in altre attività appunto esterne. Sono i membri esterni che portano avanti gli interessi personali e di provenienza. Allora non mi capacito, pur condividendo una riduzione dei membri del CDA, del perchè si debba svuotare di potere decisionale gli Atenei ed il loro organico dato che siamo noi i primi a mettere in dubbio la loro capacità di scelta. Non si deve sospendere il sistema tutorale perchè ognuno di noi non deve girare a testa bassa.
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Dr. Adriana Galvani – Dipartimento di Discipline Storiche, Antropologiche e Geografiche
Mi voglio oppore ad una posizione antistorica che riguarda la proposta della terza classe dei docenti. Mi sembra masochista e razzista perchè abbiamo le stesse funzioni, svolgiamo gli stessi compiti, facciamo un lavoro pesante e quindi proporre una terza fascia di docenza mi pare eccessivo; anche perchè noi soffriamo di un gap generazionale e noi ricercatori, nonostante gli incarichi di rilevante importanza che ricopriamo, io ad esempio sono consulente all’ONU, rappresentante di un’ Associazione europea e nonostante ciò non passo alla docenza perchè ora si appoggiamo i giovani, quando ero giovane io questo non si faceva. Nessuno pensa più a noi che siamo nel limbo. Non mi sembra democratico proporre la terza fascia.
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Prof. Giuseppe Sassatelli – Dipartimento di Archeologia
Mi limito a due punti: il primo riguarda ciò che è nel progetto del Pd, ossia l’art. 6 del Titolo secondo che riguarda le strutture interne degli Atenei. Mi riallaccio ad una proposta che riguarda l’autonomia che è un valore importante e, anche se è stato usato male, questo non vuol dire che venga abolito come strumento. Con altre vie si rischia di irrigidire situazioni diverse a livello centrale e questo non va bene. Io credo che l’attuale formulazione dell’art. 6 sia ottima soprattutto se raffrontato al disegno di legge c.d. Gelmini perchè lì c’è un irrigidimento fortissimo, c’è una centralizzazione sui Dipartimenti e questo sarebbe difficile da governare nell’Università italiana dato ch,e i nostri Dipartimenti, sono frutto di una parziale trasformazione dei vecchi istituti che vanno verso una parcellizzazione eccessiva e sarebbero troppi da gestire. Nel disegno di legge Gelmini c’è la facoltà di istituire strutture dinamiche ma il disegno di legge è vago. Inoltre è difficile collegare queste strutture agli insegnamenti, pensiamo alle lauree triennali.
Io penso che il disegno di legge Gelmini abbia una rigidità che potrebbe essere negativa, invece, la proposta del Pd con l’art. 6 è positiva anche riguardo a situazioni molto diverse tra loro perchè garantisce l’autonomia.
Secondo punto: settore scientifico-disciplinare. Sia nel disegno di legge Gelmini che nella proposta del Pd c’è la tentazione di dare dei numeri molto tassativi nel senso che si parla di settori in maniera inadeguata perchè si evince una grande frammentazione dell’ambito scientifico – disciplinare. Bisogna stare attenti al fatto di accorpare il settore scientifico-disciplinare in modo sommario significa perdere specificità culturali e disciplinari che invece sono una ricchezza dell’Università. Penso che il governo del reclutamento può avvenire anche per macrosettori, ma il mantenimento, all’interno dei settori, di specificità va studiata per evitare un appiattimento che sarebbe una perdita di un patrimonio forte.
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Prof. Paolo Pombeni – Dipartimento di Politica, Istituzioni e Storia
Dovreste iniziare a fare opposizione su alcuni miti, ad esempio, il codice etico che è una scemenza e la terza fascia è una tipica forma di sindica legge. Si deve mettere una normativa chiara sulla docenza.
Prima cosa: il problema dell’Università Italiana è sciogliere il sistema oligarchico a cui essa rimane legata. Infatti, nelle grandi Università, più si va verso le macro lezioni più si rafforza il sistema oligarchico perchè è quello che succede a livello generale. Bisogna dividere le Università per sottosettori, perchè non si può pensare di mettere insieme discipline diverse, oppure si suddivide il sistema universitario in una serie di realtà più piccole ed omogenee che possono confluire in forma federale nel governo generale di alcune cose più generali, evitando che gli Atenei con un ridotto numero di studenti prelevino soldi a quelle con più studenti che, pagando le tasse, non hanno nessun ritorno a causa dei costi degli stessi Atenei che non permettono lo svolgimento di corsi di qualità. Bisogna fare un discorso equo perchè, solitamente, paghiamo le spese di altri. Altro problema è quello dei nuovi Statuti. Lo Statuto è la Costituzione delle Università e, perciò, dovrebbe essere sottoposto a referendum degli aderenti mentre è ancora lasciato alla formulazione di un punto di vertice e questo è assurdo perchè ciò consente tutta una serie di giochetti che, il referendum, metterebbe fortemente in discussione.
L’altra questione che c’è sia nel progetto del Pd che in quello del Governo e che trovo immotivata, è che non si possono assumere nelle Università coloro che non hanno fatto il dottorato di ricerca come invece succede ad Oxford.
Ultimo punto: i sistemi di valutazione. Bisogna creare sistemi di valutazione seri. Poi, se un’Università decide di essere di serie C, avrà dei finanziamenti proporzionati. Bisogna inserire dei gradi di idoneità a livello nazionale per riuscire a valutare le persone. Servono dei filtri e, quindi, strategia e realismo.
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Dr. Francesco Sberlati – Dipartimento di Italianistica; responsabile del Settore Università e scuola della Federazione provinciale del Pd a Rimini.
Vorrei fare alcune considerazioni e mi soffermo principalmente sulla questione del reclutamento.
Proprio perchè mi sento particolarmente coinvolto, devo essere severo giacchè mi aspetto, dalla classe dirigente del Pd, delle proposte che siano in sintonia con le aspettative di coloro che hanno deciso di aderire a questo percorso.
Per quanto riguarda il reclutamento, ci sono vari aspetti che mi lasciano perplesso. Noto anche qualche incongruenza. Anzitutto non si capisce perchè al punto 4 dell’art. 9 si chiede il Dottorato di ricerca, presso un’altra Università, solo ai Professori di terza fascia mentre per chi aspira alla prima o alla seconda fascia non si chiede il Dottorato di ricerca. Poi, la valutazione dei candidati è affidata ad una Commissione nominata dal Senato Accademico ma, sulla base di quali criteri si effettua la nomina? Non si sa. Questa Commissione si avvarrà di giudizi forniti da esperti italiani e stranieri esterni all’Ateneo. Questi giudizi sono vincolanti? Allora che ragione c’è di interpellare i colleghi esterni? Quindi il meccanismo mi sembra inutilmente macchinoso in quanto, il reclutamento, avviene in due fasi distinte. Al punto 8 leggo una cosa che mi lascia perplesso. Il Pd deve avere il coraggio di insistere per promuovere la meritocrazia: per chi se lo merita, può essere promosso alla fascia superiore diventando subito associato. Perciò, secondo me, devono essere inserite delle variazioni appropriate. Per quanto riguarda la Commissione Scientifica Nazionale mi pare che si vada nella direzione giusta, anche se, non si capisce perchè si debba ripetere il concorso se si viene valutati idonei dalla Commissione Scientifica Nazionale. Che ragione c’è di essere valutati in seconda istanza da una Commissione locale? Anche qui, la Commissione Scientifica è nominata dal Ministro e, anche qui, si chiede ai Professori di terza fascia di possedere il titolo di Dottore di ricerca. Quindi, per presentare la domanda per conseguire l’abilitazione scientifica relativa alla terza fascia di Professori, bisogna possedere il Dottorato di ricerca.
Un’altra cosa che trovo inadeguata e punitiva è, impedire ad un candidato, di presentare una nuova domanda, anche per diverse fasce e settori, nei successivi due anni nel caso di esito negativo.
L’ultima cosa riguarda i Professori a contratto. Secondo il disegno di legge presentato dal Pd, potranno aspirare a fare i Professori universitari coloro che avranno un reddito annuo non inferiore a 15 mila euro. Quindi, se io sono un lavoratore autonomo che guadagna 13 mila euro l’anno, non posso aspirare a diventare Professore.
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Prof. Roberto Guerrieri – Dipartimento di Elettronica, Informatica, Sistemica
Trovo che la valutazione manchi e manca anche un dispositivo di feedback. E’ stato costruito un apparato incomprensibile. Non c’è la valutazione di quello che succede al variare della qualità dell’Università rispetto alle altre. Mi sembra che questi due progetti non chiariscano la questione dei redditi dei docenti.
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Prof. Stefano Severi – Dipartimento di Elettronica, Informatica, Sistemica
Io volevo focalizzare l’attenzione su un punto: quello del reclutamento e del merito. Mi sembra che in entrambe le proposte ci siano elementi simili quindi, la prima domanda è: quali sono le differenze? Poi come si tiene in considerazione il fatto che, qualsiasi sistema una volta incrementato, necessita che le persone coinvolte abbiano interesse a farlo come in questo primo incontro? Cioè, le persone che sono nella Commissione che dovrà fare la selezione a livello locale dei ricercatori, che interesse avranno più di oggi a selezionare i migliori? L’interesse deve essere di chi poi si sceglierà le persone con cui lavorerà e penso che ad oggi non abbiamo ancora trovato un metodo diverso rispetto a quello vecchio.
E poi, quali premi per chi sceglie i migliori? E soprattutto quali punizioni per chi non lo fa? Concretamente cosa possiamo pensare di realizzare in questo senso?
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Prof. Dario Braga – Dipartimento di Chimica
Di questa situazione, vedo un ibrido poco convincente. Da una parte c’è un cammino verso la maggiore efficienza, per esempio la composizione del CDA come ci ha detto la Prof.ssa Crisafulli, inoltre vi sono altri punti che non sono stati toccati da altri ma che sono molto importanti come il passaggio delle proprietà demaniali, la rifiscalizzazione; tutte riprese dal famoso art. 16 della legge 133. Tutte cose estremamente positive; ma dall’altra parte troviamo la terza fascia come un inseguimento un po’ populista perchè i sistemi universitari avanzati non hanno bisogno di tre fasce di Professori. La terza fascia è una fascia di Professori sottopagati. Noi abbiamo bisogno di una fascia di accesso mobile. Ciò presuppone un buon sistema di valutazione premiante non punitivo. Questa proposta di legge non interviene sull’autoreferenzialità del nostro sistema. Io credo che il Pd dovrebbe fare quello che fa un’opposizione, cioè, stimolare il Governo. Anche perchè tra le due proposte di legge ci sono delle differenze marginali. Quello che conta in un sistema accademico è la credibilità perchè, come succede ad Oxford, se un Professore assume un incapace si è rovinato la reputazione. Questo è quello che conta in un sistema accademico.
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Prof. Giorgio Bonaga - Dipartimento di Scienze degli alimenti
Vorrei concentrare l’attenzione su due punti. Uno riguarda l’unica difesa della terza fascia, cioè, il riconoscimento di una fascia che esiste, di una componente che è strutturale del sistema.
Inoltre credo che la distinzione tra Consiglio di Amministrazione e Senato Accademico sia fondamentale. La componente studentesca è stata sempre fondamentale e storica in questi organi; l’importante è che questi vengano gestiti da esperti anche esterni.
L’ultimo art. della vostra proposta mi ha lasciato disorientato per due motivi: anzitutto perchè la materia del diritto allo studio non deve essere centralizzata nello Stato ma di competenza delle Regioni; secondo è che è improponibile una distribuzione delle risorse finanziarie agli studenti sulla base nazionale. Questo perchè nel territorio italiano c’è grande disomogeneità economica per cui, i parametri per il calcolo dell’ISEE, non possono essere gli stessi tra la Sicilia e la Lombardia perchè la loro condizione economica è diversa. Così, la creazione di un’unica graduatoria nazionale, vorrebbe dire premiare solo gli studenti delle Università del Meridione.
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Prof. Sergio Zappoli – Dipartimento di Chimica Fisica e Inorganica
Io vorrei partire da una considerazione che hanno fatto molti tra le righe e, cioè, che queste due proposte di legge (anzi, di un disegno di legge del Pd e di un disegno di legge delega del Governo) hanno molti punti di sovrapposizione.
Il primo riguarda l’azione dei Consigli di Amministrazione di tipo aziendalista (soprattutto in quello del Governo) perchè quando si dà una percentuale di composizione per i membri esterni, automaticamente si pensa ai comparti industriali e agli Enti locali. La richiesta, da parte di questi soggetti di entrare nelle Università, c’è già stato in Toscana.
Sul reclutamento non ci sono grandi differenze tra i due disegni di legge, tranne per la terza fascia. Il punto di fondo è che, nel nostro Paese, è iniziato un attacco all’Università ed al sistema educativo tout court. Il Pd non ha dimostrato grande attivismo nell’opposizione ai vari disegni di riforma di legge perchè, se riesco ad intelligere un’idea di Università nella proposta Gelmini, non riesco, invece, ad individuare l’idea che ha l’opposizione. Questo non l’ho sentito neanche nei vostri interventi. Bisogna chiarirsi cosa deve essere l’Università nel contesto almeno europeo. Quali sono i compiti dell’Università? Bisogna partire da qui per creare proposte di legge. Anche perchè, questa riforma, passa attraverso gli Statuti e non attraverso i Parlamenti. Questo è evidente in entrambe le proposte di legge. A Genova stanno già realizzando lo Statuto conforme alla proposta Gelmini.
Tre sono i problemi dell’Università italiana: frammentazione dei gruppi di ricerca per cui bisogna trovare dei criteri che premino l’abnegazione; bisogna decidere sul finanziamento e sull’allocazione delle risorse. Il secondo punto, collegato al primo, è il reclutamento. Bisogna reintrodurre il meccanismo della responsabilità. Perchè non aboliamo, almeno per il 70%, i concorsi universitari?
Lasciamo che le persone si scelgano i gruppi di ricerca e, la cessione dei finanziamenti, si dovrebbe dare in base alle capacità dei ricercatori. Quindi, anche sul reclutamento, bisogna avere più coraggio. Terzo punto: non c’è buona didattica senza buona ricerca. Non ci credo più. Infatti, tutte le lauree triennali, non hanno bisogno di riferirsi al paradigma della ricerca, dato che, non possiamo avere 100 Atenei che fanno didattica e ricerca puntando ai massimi livelli perchè questo incide economicamente e non ce lo possiamo permettere. E’ necessario che i nostri Atenei elevino il bassissimo livello di conoscenza che c’è oggi e questo si può realizzare solo se l’Università non viene concepita come un’azienda. Da qui ne deriva anche una corretta valutazione della didattica che dovrebbe essere totalmente differente da quella che viene fatta oggi con i questionari distribuiti agli studenti.
Altro problema è quello del ruolo degli Statuti che è demandato molto all’autonomia degli Atenei.
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Prof. Giovanni De Plato – Dipartimento di Psicologia
Dobbiamo modernizzare l’Università italiana. Prima di parlare di finanziamento, secondo me manca l’idea di Università che noi vogliamo proporre. Dovremmo pensare a come uniformare i livelli formativi e gli iter al sistema europeo. Poi c’è tutto il problema dell’articolazione tra sistema europeo, Stato, Regioni per capire come l’Università si debba inserire nel contesto federalista.
Per quanto riguarda l’autonomia, io sono d’accordo e ciò presuppone due cose: anzitutto la capacità di sapersi integrare. E’ importante pensare di poter pianificare la formazione a livello territoriale e l’Università si deve relazionare con queste istituzioni altrimenti siamo fuori dal sistema.
Ci deve essere un organo territoriale di formazione universitaria. Altro problema: chi fa parte di questo organo di formazione territoriale? Sicuramente le Università, le istituzioni e la Confindustria. Ci sono una serie di soggetti che determinano i livelli di formazione di cui hanno bisogno. Per questo l’Università deve trovare un’organizzazione tale per legare insieme tali soggetti tra di loro. Questo interrelazionarsi dell’Università ad altri soggetti, non limita la sua autonomia ma la potenzia proprio perchè, il concetto di autonomia, significa apertura. Inoltre, c’è anche un elemento di razionalità dell’Università. Io mi rifaccio al caso dell’Emilia Romagna. Siamo 4 Università in competizione ma nessuna che si specializzi rispetto alla vocazione territoriale. Questo non significa che voglio un localismo, ma voglio che si utilizzino tutte le risorse locali per proiettarsi ai più alti livelli anche in ambito internazionale. In riferimento alla specializzazione, ad esempio, nell’Università di Ferrara c’è la cattedra ma non c’è più il docente, lo stesso succede a Modena mentre, a Bologna, c’è il docente e non c’è la cattedra. Chi deve decidere come, in queste 4 Università, vanno inseriti modelli di razionalità? Bisogna riorganizzarsi.
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Prof. Keir Douglas Elam – Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere Moderne
Anch’io ho messo a confronto le due proposte di legge ed ho notato che ci sono delle zone di contrasto. Una di queste riguarda l’art. 6 che mi sembra molto importante perchè può modificare l’organizzazione interna degli Atenei. Su questo si deve riflettere perchè, mentre la riforma Gelmini ha il difetto di essere rigida, ha però il merito di essere molto chiara. Invece, vorrei un chiarimento sull’art. 6 della bozza Pd che non si è voluta riempire di contenuti specifici ma si sono lasciati dei margini di discrezionalità che trovo essere ambigui perchè si parla di un unico sistema di aggregazione tra Professori e ricercatori che sembra quasi un’utopia e non si capisce, come invece accade nella proposta Gelmini, qual è il rapporto tra le strutture esistenti, né si capisce se il livello di aggregazione è da intendersi come qualcosa di sopradipartimentale come, per esempio, le scuole che nella proposta Gelmini vengono nominate mentre qui sono lasciate sottintese. Quella della riorganizzazione degli Atenei è un punto fondamentale per i prossimi anni che non può essere lasciata al caso. Così abbiamo da un lato, una proposta forte e dall’altro una proposta generica.
Mi chiedo se questa vaghezza di formulazione è da interpretare come libertà degli Atenei di organizzarsi come vogliono, cosa che mi sembra un po’ improbabile, oppure l’affermazione di un principio che andrà riempito in un secondo momento oppure una vaghezza e basta. Ci si chiede, allora, come dovrà essere strutturata questo tipo di Università ad un unico livello. Non ci possiamo permettere il lusso di lasciare senza una specificazione la definizione di questioni importanti e vorrei che il Pd si esprimesse in maniera più articolata su questo punto.
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Prof. Alberto De Bernardi – Dipartimento di Discipline Storiche, Antropologiche e Geografiche
Come iscritto al Pd, chiederei al mio partito di avere più coraggio e di scegliere con più forza gli indirizzi che vuole ottenere. Questo perchè, se dovessi dare un giudizio complessivo della proposta, la definirei timida ed ambigua. Ambigua perchè vuole puntare sull’autonomia definendo un contesto organizzativo apparentemente libero ma nel quale, la strumentazione fornita, fa capire che lascerà le cose come stanno. Invece, noi dobbiamo dire che l’ambiguità su cui è costruita l’Università italiana deve essere cancellata e bisogna costruire col Governo una nuova via fondata sulla riorganizzazione della struttura dipartimentale che deve essere messa in condizione di recepire le dinamiche complesse sia sul versante della ricerca che della didattica. Quindi, prima è necessario dire che tipo di Università si vuole. Non dobbiamo fare come la scorsa volta che, per creare i Dipartimenti, ci abbiamo messo 15 anni. Come ci ha insegnato Weber, le burocrazie vanno riformate. In questo il progetto Pd è ambiguo mentre il progetto della Gelmini è più chiaro. Inoltre, quando si parla di abolire i concorsi, dietro a questo ci dovrebbe essere tutta una strategia da seguire per il Pd che vuol dire autonomia, valutazione ex post dei risultati, allocazione delle risorse; invece di costruire una macchina inutilmente complicata che riprodurrà gli stessi meccanismi farraginosi che, sino ad ora, hanno appannato il sistema sotto il profilo culturale, etico e scientifico dell’Università. C’è nella mente della Gelmini e della sua parte politica una visione burocratica egemonizzata dell’Università – anche se non se ne capisce il motivo – che produce disinteresse nei confronti della stessa. Ultima considerazione riguarda la valutazione. Ribadisco che il progetto del Pd non ha messo al centro della riorganizzazione universitaria la valutazione. Anche perchè, questa, non serve solo per la distribuzione ed allocazione delle risorse. Infatti, pensare di inserire risorse in questo tipo di sistema è negativo in quanto è, a fronte degli investimenti, che dobbiamo cambiare il funzionamento dell’Università. E’ chiaro che 100 Università in tutta Italia non potranno essere uguali, ma bisognerà puntare su alcune orientate verso certi specialismi in quanto è assurdo pensare che tutte e 100 possano raggiungere livelli di eccellenza e di competizione planetaria. Dobbiamo fare una riforma che, nell’arco di un certo periodo, consenta di costruire delle gerarchie interne mediante determinati meccanismi di funzionamento del sistema, di finanziamento e, quindi, di valutazione.
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Prof. Francesco Zerbetto - Dipartimento di Chimica
Mancanza di coraggio della proposta Pd. In generale, mi domando a cosa debba servire la riforma. La prima strada è se vogliamo fare una correzione del sistema universitario che è importante perchè tutti siamo a conoscenza dei problemi che ha. L’altra strada è: vogliamo creare qualcosa che serva a modificare il Paese? In questo caso dobbiamo farci un’altra domanda: come intendiamo procedere? Ad esempio, si sa che la Finlandia riesce a produrre tecnologie e proprietà intellettuali di grande valore aggiunto perchè non è costretta a ridurre i salari come, invece, accade da noi. Altro problema è fare una distinzione tra Università di serie A, B e C. In gran parte del mondo esistono cicli diversi e nessuno vieta di passare da uno all’altro com’è accaduto nel caso inglese. Infine mi chiedo se abbia senso continuare ad avere gli Atenei di queste dimensioni e se sia sensato iniziare a fare una divisione per generere sapere diverso. Questo perchè esistono modi diversi di fare ricerca (ad esempio c’è differenza tra quella scientifica e quella ingegneristica), ma forse sarebbe meglio fondere queste due modalità di ricerca per creare generazioni con un sapere più vasto e quindi in grado di cambiare la situazione del Paese. Un’ultima annotazione. Sento parlare della valutazione ed io credo che i sistemi che funzionano vanno avanti con gli incentivi e non con le punizioni. Però, un difetto fondamentale, è che gli incentivi e le valutazioni molto spesso vengono dati ex post. Questa è una questione fondamentale che deve apparire. Un altro problema che abbiamo è che la valutazione deve essere fatta su pochi argomenti e non su quello che una persona ha fatto nella vita.
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Prof. Stefano Bianchini – Dipartimento di Politica, Istituzioni e Storia
Dal mio punto di vista ho riscontrato una grande mancanza in questo progetto: in esso non c’è niente che riguardi l’internazionalizzazione delle Università e quindi la dimensione europea degli Atenei. La riforma del 3 + 2 è stata fatta proprio in previsione dell’internazionalizzazione degli Atenei e dell’equiparazione dei titoli di studio. Le normative nazionali collidono tra loro e, quindi, che peso hanno le decisioni congiunte prese da organi internazionali? Quanto pesano nell’organizzazione della didattica soprattutto ad alti livelli (lauree magistrali e Dottorato)? Il Pd deve sollevare il problema di come vadano trattati i programmi internazionali secondo un percorso specifico. Seconda questione: come organizzare degli organismi che fuoriescono dalla logica nazionale e si basano sui titoli congiunti rilasciati da più Università. Quindi, quanto pesa l’organo internazionale rispetto ad un Consiglio di corsi di studio? Qual è il rapporto tra l’autonomia di un Ateneo e la sua capacità di relazionarsi con gli altri Atenei esterni? E’ questo un punto importante che deve essere adeguatamente valutato in una proposta di legge che ha come obiettivo il rilancio dell’Università.
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Prof. Rolando Rizzi – Dipartimento di Fisica
Ci sono molti aspetti critici che condivido, ma ce n’è uno di cui non si è parlato. Mi riallaccio all’intervento di Modica quando parlava delle risorse, di un miliardo di euro che si dovrà suddividere in 600 e 400 milioni di euro. Il fatto che questi 600 milioni di euro vadano restituiti alle Università, è una cosa che mi dà fastidio perchè queste risorse dovrebbero essere ridate con criterio e sulla base di specifiche valutazioni. Infatti, non tutte le Università si comportano allo stesso modo e, in tal caso, una valutazione ex post è possibile.
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Prof. Gianluca Fiorentini – Dipartimento di Scienze economiche
Vorrei parlare dell’art. 1 che è stato citato di meno. In particolare il comma 5 quando dice che il 10-15-20% dell’opera deve essere ripartita sulla base delle valutazioni dell’ARMUR. Questo può essere un compromesso ragionevole che mantiene in vita alcuni Atenei che, se avessero valutazioni estremamente basse, non potrebbero pagare gli stipendi. Dovrebbe essere la stessa ARMUR in base all’area disciplinare a segnare i Dipartimenti in modo premiale. L’ARMUR deve avere il potere di allocare comparativamente le risorse tra i Dipartimenti che funzionano. Non è detto che piccole Università siano anche quelle che non funzionano. L’ultimo punto è quello relativo alle Facoltà e ai Dipartimenti. Nel disegno di legge del Pd c’è un’ambiguità che da un lato può essere un omaggio all’autonomia statutaria ma che ha dei limiti. Allora mi chiedo. Perchè non sforzarsi di andare a migliorare quei punti poco chiari nel modello Gelmini? Probabilmente, il Dipartimento come struttura di primo livello, è l’unica alternativa possibile ma questo è un rischio per la didattica in quanto, tutti i Dipartimenti, saranno portati ad investire sul potenziamento della ricerca. E’ necessario stabilire come i Dipartimenti debbano coordinarsi rispetto ai corsi di laurea magistrale e ai dottorati. Quindi, scelte più coraggiose sui Dipartimenti ma con dei raccordi definiti rispetto ad altre funzioni che non possono essere lasciate da parte.
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Prof. Lucia Serena Rossi – Dipartimento di Scienze Giuridiche
L’aggregazione dentro le Facoltà mi sembra un modello che non può funzionare perchè non si saprebbe come fare per la distribuzione delle risorse. L’art. 5 della proposta Pd: questa sfiducia al Rettore mi sembra una novità, ma non so se sia una cosa positiva perchè si prevede che sia fatto un Senato composto da un 15% di studenti, da membri eletti. I 2/3 possono sfiduciare il Rettore. Quindi, si dà molto potere a persone su cui poi non c’è un controllo quotidiano. Sul Consiglio di Amministrazione è giusto che venga eletto, ma sul Senato si può discutere se ne valga la pena o meno. Comunque, se venisse eletto sarebbe il caso di stabilire incarichi brevi proprio per agevolare le verifiche per evitare le oligarchie che possano tenere in ostaggio il Rettore. Un’altra cosa che mi lascia nel dubbio è che, talvolta, il Rettore dovrebbe prendere decisioni impopolari senza la paura della sfiducia. L’art. 6 , a parte il discorso delle aggregazioni, non capisco perchè un Professore non possa insegnare in due corsi uguali (comma 2) dato il numero enorme degli studenti che, ad esempio, abbiamo a Giurisprudenza.
Infine, il problema degli esterni. Cosa significa incentivare la mobilità? Secondo me questo sembra un sistema di punizioni più che di incentivi perchè la mobilità dei docenti comporterebbe anche problemi personali di trasferimenti, ecc.
Sono critica sul discorso delle quote che si riferiscono alla gestione dei 2/3 dei docenti che dovrebbero venire da fuori. I nostri Dottorati devono consentire, invece, di far restare le forze migliori, piuttosto che inserire chi ha fatto il Dottorato all’estero.
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Prof. Carlo Angelo Borghi – Dipartimento di Ingegneria Elettrica
Ribadisco la necessità di mettere in evidenza l’incentivo alla ricerca. La proposta Pd parla di due obiettivi tra loro collegati che sono la didattica e la ricerca, ma questo è inserito solo in un piccolo comma e poi non se ne parla più. Molti anni fa, quando io ho cominciato, un ricercatore era davvero un ricercatore perchè si poteva dedicare anche completamente alla ricerca. Poi ci fu un dibattito su come strutturare la carriera del ricercatore a livelli successivi. Ora si parla addirittura della terza fascia di docenti, ed è come se l’attività del ricercatore fosse attività di volontariato; la ricerca è un optional. All’estero, invece, si può scegliere se dedicarsi di più alla didattica o alla ricerca.
Sono d’accordo con la Prof. ssa Crisafulli per quanto riguarda la nomina del Consiglio di Amministrazione in quanto mi parrebbe un passo indietro non costituirlo a livello democratico. Invece, mi dà fastidio pensare di legare la questione dell’assunzione di nuovo personale di docenza, al fatto che questi non abbiano fatto il Dottorato di ricerca in altra sede.
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On. Salvatore Vassallo
Molte sono state le indicazioni scaturite da questo incontro anche se non tutte univoche. Mi sembra che la chiave principale sia stata che, nel progetto del Governo, c’è un eccesso di sfiducia nei confronti della classe accademica e questo implica una serie di scelte che limitano molto più di quanto non dica la filosofia dell’autonomia degli Atenei delle Università. Tuttavia noi presentiamo un progetto che rischia di apparire troppo timido anche nella formulazione del titolo come ha detto, per esempio, Blaffo. Comunque il progetto sarà oggetto di ulteriori conversazioni che faremo anche nell’ambito del Gruppo.
I principali problemi dell’Università italiana riguardano un eccesso di localismo per cui l’autonomia si è degradata ad autoreferenzialità, reclutamento troppo endogeno, proliferazione dei corsi e scarsa internazionalizzazione. La chiave di volta che tutti intravedono sta nella valutazione e sul riconoscimento dei meriti basati sulla produttività, quindi sulla valutazione ex post. E’ chiaro che è più facile valutare la produttività scientifica piuttosto che quella didattica e spesso ci si basa su indicatori quantitativi che non sono sempre significativi. Se si lavora su questa logica, cioè passare a valutazioni incisive con implicazioni significative sulla produttività, vuol dire avere maggiore uniformità nel modo in cui gli Atenei sono organizzati e maggiore autonomia nelle procedure di reclutamento perchè non è nello stabilire procedimenti macchinosi della formazione delle Commissioni o di proceduralizzazione dei concorsi che si ottengono risultati più trasparenti, ma attraverso una pratica secondo la quale, chi recluta deve essere responsabilizzato attraverso la valutazione ex post e di conseguenza c’è una valutazione meritocratica delle risorse. Quindi, dovremmo prendere sul serio le indicazioni che sono provenute sul nostro progetto ed essere meno timidi e meno pignoli nella definizione dei procedimenti. Forse potremmo essere meno timidi, ad esempio, nel dire qual è l’entità del fondo di finanziamento ordinario che è stato specificamente citato da Fiorentini che viene attribuito sulla base della valutazione. Questo 20% è molto di più rispetto a quello che ha proposto il Governo. Infatti nel decreto ultimo Gelmini si alloca il 7% al Fondo di finanziamento ordinario mentre noi proponiamo il 20%. Così, se si segue questa logica, non si può non arrivare ad una valutazione individuale della produttività. Siamo in una fase di transizione in cui, non solo mostriamo progetti, ma conosciamo anche i nostri difetti così siamo sempre indotti a cercare dei bilanciamenti perchè ci muoviamo su un terreno complesso. Dobbiamo tenere anche dei meccanismi di salvaguardia come, ad esempio, l’idoneità nazionale perchè, se fosse vero che la valutazione funziona ex post sull’idoneità dei Dipartimenti, non ci sarebbe più bisogno di idoneità nazionale e nemmeno di disciplinare i procedimenti di valutazione interni dei singoli Atenei e dei singoli Dipartimenti.
C’è il rischio, almeno nel breve-medio termine, che l’autonomia continui a riprodurre i difetti del localismo attuale. E’ comprensibile, allora, che ci sia questo filtro nazionale, ma se continuiamo a tenere ferma questa logica, si deve essere più chiari nella definizione di quella che deve essere l’unità organizzativa di riferimento che racchiude le funzioni principali, altrimenti non sappiamo cosa si valuta. Personalmente sono d’accordo con l’approccio che ha proposto Luca Fiorentini cioè che è difficile che la valutazione possa essere fatta a livello nazionale tra Atenei. Anche a livello nazionale la valutazione deve essere fatta tra strutture che afferiscano a campi di ricerca omogenee, però ci deve essere qualcosa di comparabile negli Atenei. Così, anche se i Dipartimenti fossero i punti di riferimento, rischiano di essere troppo concentrati e si rischia di avere dei corsi che sono la proiezione degli interessi di ricerca e, quindi, corsi scollegati dall’utilità sociale che l’Ateneo deve offrire. Forse potremmo essere meno timidi – ma lo dico in forma dubitativa – per quanto riguarda la terza fascia. A riguardo non condivido l’obiezione che è stata fatta secondo cui si tratta di una concessione al sindacato in quanto, il riconoscimento della terza fascia, è la pura fotografia dell’esistente, anche perchè, è abbastanza paradossale quello che il nostro sistema teoricamente prevederebbe e cioè che le persone che non riescono a vincere i concorsi da Professore associato, quindi le risorse meno qualificate, dovrebbero essere lasciate per tutta la vita a fare prevalentemente ricerca. Questa situazione è opposta rispetto a ciò che accade all’estero dove, chi è riconosciuto come più qualificato, nel corso del tempo, si trova a svolgere principalmente attività di ricerca piuttosto che quella didattica. Invece, da noi, i ricercatori vengono visti come meno produttivi anche se questa non è la realtà dei fatti. Quindi, non credo sia appropriata la critica di sindacalismo della terza fascia, forse si può dire che non è abbastanza coraggiosa, ma non sarebbe neanche giusto pensare che chi non riesce a diventare Professore associato ordinario debba cambiare mestiere. Questo sarebbe troppo estremo. Infine, credo che sia molto appropriato valutare i problemi della distribuzione nazionale delle borse. L’innovazione del progetto riguarda il problema del sottofinanziamento del diritto allo studio. Bisogna promuovere le persone più meritevoli e incentivare la competizione tra gli Atenei. Cercheremo di tradurre, anche in emendamenti più puntuali, quanto è emerso da questo dibattito.
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Prof. Luciano Modica
Il sistema ha bisogno del dibattito e la politica di luoghi come questo per sviluppare tematiche importanti e per approfondire i diversi punti di vista che caratterizzano ogni argomento. Ripercorrendo brevemente tutti i 25 interventi, mi soffermerò su qualcuno per specifici chiarimenti.
La prima critica sollevata riguarda un Consiglio di Amministrazione non elettivo. Non farei confusione con la differenza che c’è tra il concetto di democratico e quello di elettivo. Chiaramente le cariche elettive sono democratiche, ma esistono molte cariche non elettive che sono altrettanto democratiche (Giunta Comunale). Il che significa che il Consiglio di Amministrazione è un organo democratico. Abbiamo deciso di andare verso l’elezione del Consiglio di Amministrazione perchè, in tutta Europa, si sta andando verso questo modello che indica l’espressione di poteri democratici elettivi che, di per sé, non hanno funzioni di rappresentanza. Questa non è una questione teorica perchè, aver due organi elettivi di rappresentanza nel sistema attuale che vige ormai da una quarantina di anni, ha generato una sostanziale sovrapposizione dei ruoli perchè organi che hanno una formazione simile hanno anche, inevitabilmente, compiti simili ed il potere del Rettore è stato notevolmente accresciuto da quel sistema. Secondo punto: nell’autoreferenzialità c’è anche una sorta di governo interno che è solamente affidato ai docenti eletti. Io non sto demonizzando le elezioni, ma abbiamo bisogno di avere rappresentanti degli organi esterni che per le loro capacità sono in grado di dare un aiuto all’Ateneo. Questo è il sistema più comune che ritroviamo all’estero.
Sottolineo che, nel nostro progetto, non c’è scritto che il Rettore debba essere un Professore dell’Ateneo e questo fa parte di una logica.
Sulle osservazioni di Ichino, ribadisco che quando si parla di più autonomia, mancano norme a livello centrale (si pensi alla scarna normativa sui dottorati).
Per quanto riguarda il reclutamento, molti vorrebbero tornare ai concorsi nazionali. Bisogna impegnarsi a realizzare il passaggio ad un sistema completamente autonomo. Altro problema è il rapporto tra Facoltà e Dipartimenti. Non vogliamo una gerarchia di organi ma un’articolazione interna fatta su un unico livello per semplificare e riunificare le scelte che riguardano la ricerca e la didattica. Per fare questo non c’è un metodo ottimale, ma c’è bisogno di organi di coordinamento della didattica per dare forma a questo progetto. Se si fa una regola uguale per tutti, nel campo della didattica, della disciplina, ecc non ci sarebbe autonomia. Credo in un sistema che abbia anche altre organizzazioni, ad esempio di tipo culturale. Sono gli Atenei stessi che dovrebbero scegliere la loro organizzazione interna.
Infine voglio spendere una parola per la libera aggregazione. Diffido di qualsiasi norma nazionale che dica ad un Professore dove debba esercitare la propria attività di ricerca. Infatti, ogni Professore dovrebbe esercitare la propria attività dove si sente più integrato e di questo bisogna tenerne conto.
Per quanto riguarda l’aspetto giuridico della retribuzione, nel progetto di legge è vero che manca un programma di intervento su temi delicati come la retribuzione anche differenziata, per questo cercheremo di intervenire in questo senso. Inoltre, voglio ricordare che la retribuzione differenziata passa attraverso due problemi irrisolti in Italia: la contrattualizzazione del personale docente ed il decisore delle differenze di rispetto che è una questione molto delicato (il Rettore, il Capo Dipartimento). La legge Zecchino del 1999 n. 370, aveva introdotto una retribuzione differenziata in base alla qualità dell’attività docente dei Professori e dei ricercatori, ma è stata un fallimento totale in Italia perchè sono mancati gli strumenti per effettuarla davvero. Io sono d’accordo che vadano premiati anche stipendialmente i Professori migliori, ma bisogna trovare un modo efficace per farlo.
Il problema dell’allocazione dei fondi per discipline diverse. Attira l’idea che il Ministero dia fondi ai Dipartimenti anche se, in realtà, il RAE – Sistema di valutazione inglese della ricerca – di cui sono consulente, assegna agli Atenei che poi distribuiscono ai Dipartimenti e non a questi direttamente. E’ un sistema di valutazione dei Dipartimenti che fornisce le relazioni sulle Università. Il problema è che o viviamo in un Ateneo che sia in grado di perseguire una sua politica di Ateneo oppure è meglio che dividiamo gli Atenei in settori. Ma questo non provoca una distinzione premiale degli Atenei, ma proporzionale al numero dei docenti. Quindi, studiamo come fare la ripartizione dei fondi, ma non credo sia molto funzionante che questa sia fatta direttamente ai Dipartimenti. Bisogna trovare soluzioni che lascino davvero spazio alle scelte d’Ateneo.
Sulla valutazione, dico che la nostra non è una proposta primigenia perchè una legge sulla valutazione già esiste ed è stata fatta dal Governo Prodi. A bloccare la valutazione è stata il Ministro Gelmini che per un anno ha bloccato la professionalità e non c’era alcun motivo per farlo. Quindi non si può dire che il Pd non pensa alla valutazione dato che ha fatto la legge e l’ha portata a termine e ha lottato in Parlamento affinchè la Gelmini applichi la legge vigente.
A proposito della ripartizione dei finanziamenti per qualità, noi abbiamo un sistema di valutazione ex post perchè affidiamo il 20% dei finanziamenti alle Università sulla base del merito certificato dall’ARMUR.
Per quanto riguarda l’intervento della Prof.ssa Crisafulli, non è vero che non abbiamo risposto agli attacchi, il problema è che si risponde su giornali diversi e ciò dà un’enfasi diversa agli stessi attacchi e alle risposte che gli si danno. Inoltre, per quanto riguarda la durata in carica del Rettore, è stabilito che nessuno possa ricoprire nessuna carica accademica per più di 8 anni, ma questa è una regola generale perchè poi gli Atenei decidono autonomamente. La regola dice che non ci possono essere mandati che vengano prorogati automaticamente per più di 8 anni.
Galvani è stata la prima a parlare della terza fascia e questo è un tema importante. Io la terza fascia non la vedo né come un intervento antidemocratico né antistorico. Si tratta di prendere coscienza che, in Italia, il personale docente è da anni diviso in tre fasce: le prime due riguardano i Professori e l’altra i ricercatori. Molti protestano perchè la legge vigente fa prevalere un criterio feudale di un ruolo diverso. Secondo aspetto, recentissimo, è che il Ministro Brunetta ha voluto selezionare i ricercatori, ma non ha menzionato gli associati e gli ordinari. Così, secondo me, avere una carriera articolata in più fasce mi sembra un passo avanti. Non è vero che non serve la carriera, è anzi necessario dividerla in gradi secondo le competenze, le capacità ed il ruolo scientifico delle persone.
Riguardo l’intervento di Sassatelli, si diceva d’accordo sul nostro sistema di organizzazione interna, ma il problema riguarda il famoso cento. Perchè necessariamente cento? E’ vero che questa è stata una nostra caduta di stile e cercheremo di dire meglio però voglio segnalare un criterio diverso da quello della Gelmini che sceglie il numero dei docenti minimi per i settori e questo è un sistema veramente punitivo per le piccole discipline (in particolare quelle umanistiche). Non è il numero dei docenti che conta, ma l’articolazione del sapere che non può essere frammentaria. Bisogna trovare il numero giusto per esprimere questa caratteristica.
Sulle Regioni il problema è molto delicato. E’ discutibile dibattere sul ruolo che hanno o meno le Regioni nel sistema formativo perchè queste hanno un ruolo nella ricerca con competenza concorrente, quindi è molto delicato dire che le Regioni devono stare da parte. Abbiamo cercato di dare un segnale dicendo di stare attenti perchè, proprio nell’azione formativa territoriale, abbiamo bisogno di avere dei luoghi in cui le Regioni possano confrontarsi vincolandole agli interventi finanziari. Non ci possono essere accordi-programma che non considerino anche il finanziamento della Regione perchè credo che un attore sociale come l’Università debba essere esaminato da questo punto di vista.
A me non sembra assurdo che le scelte vengano approvate con referendum tra i docenti dell’Ateneo. Mi sembra un’idea che manca perchè in questo modo si coinvolge di più la massa dei docenti nelle scelte oligarchiche.
Per quanto riguarda il possesso del Dottorato di ricerca per accedere alla docenza, penso che o il sistema crede nei titoli oppure abbiamo un’anomalia. A me sembra naturale che ci sia un ultimo grado di formazione universitaria che è il Dottorato di ricerca.
Sull’ intervento di Stellati, io non sono d’accordo di mettere dei criteri per fare la Commissione locale anche perchè andiamo contro i diversi modi di interpretare la Commissione perchè si bloccherebbe la differenziazione che tutti vorrebbero tra gli Atenei. In nessun Paese al mondo il parere è vincolante.
Poi c’è un equivoco nell’interpretazione della proposta: non c’è alcuna limitazione nel partecipare direttamente alla prima e seconda fascia perchè la promozione è un meccanismo che permette di salire la corriera senza dover superare un concorso aperto al mondo. Idoneità significa avere i requisiti minimi per poter partecipare ad un certo tipo di concorsi. Quindi non c’è un’idoneità a fare il Professore ma c’è un’abilitazione per poter partecipare ai concorsi. Sui Professori a contratto credo che siano la più alta fonte di precariato che abbiamo creato e perciò dobbiamo stare attenti. Bisogna portare negli Atenei la competenza di chi è all’esterno del sistema e non dei precari del sistema e che può dimostrare di fare un alto lavoro autonomo o dipendente.
Inoltre, non è vero che manca una valutazione feedback perchè il 20% delle risorse andrebbe soltanto a pochi Atenei. Credo che una ripartizione pubblica del finanziamento sia il modo più corretto ed incentivante per qualità migliori.
Rguardo l’intervento di Zappoli, lui chiedeva che prima di fare una legge si risolvessero determinati problemi. A noi sembra, francamente, di averlo fatto. Ad ottobre abbiamo sollevato 10 problemi a cui abbiamo dato risposta e che possono essere o meno criticati. Voglio dare, inoltre, un’informazione a Zappoli: sta per nascere un’ organizzazione dell’Università che è in via sperimentale. Ma voglio ricordarvi perchè l’OCSE non l’ha fatta fino ad ora: perchè toccare il problema degli standard formativi vuol dire toccare la cultura dei Paesi e questo è un problema delicatissimo. Se fisso dei questionari che stabiliscono quanto devono prendere i medici, i giuristi, ecc, sto in qualche modo costruendo un modello culturale unico e questo è un rischio che l’OCSE ha rilevato. Bisognerebbe trovare un modo italiano per valutare gli apprendimenti di corsi di laurea che hanno la stessa impostazione. Anche quando si parla dei titoli bisogna stare attenti. Se si parla di modernizzazione dei titoli ci si riferisce alla modifica di qualcosa che è arretrato. Non dimentichiamo, però, che i titoli sono istituti molto delicati. E’ vero che nel nostro decreto legge manca tutto ciò che riguarda la didattica e l’internazionalizzazione, per cui cercheremo di porvi rimedio anche se la didattica è un tema pungente. Per quanto riguarda l’organo di organizzazione territoriale è accennato al comma 3 dell’art. 6 della nostra proposta, ed è un organo misto tra unità ed enti territoriali. Trovo delegificata la parte che riguarda l’aggregazione dei Dipartimenti.
Si è capito che vorreste un progetto più coraggioso ed innovativo. Effettivamente si potrebbe essere più decisi sotto alcuni aspetti tra cui, ad esempio, il fatto di come garantire che la politica di Ateneo sia rispettosa dei valori scientifici e didattici interni.
Non abbiamo detto nulla sul valore legale del titolo di studio perchè riteniamo che sia un falso problema. L’Italia non è l’unico Paese che lo prevede, c’è anche la Finlandia precedentemente citata in un intervento. Valore legale significa che il titolo può essere usato nella gestione della cosa pubblica. Interessante è l’idea di spezzare gli Atenei unificando settori che possono essere interessanti, come i settori scientifici ed ingegneristici. Questo è un tema da approfondire perchè il modello politecnico in Italia non si è diffuso. Altro problema, lamentato anche da Bianchini, è la mancanza di internazionalizzazione. Non trovo niente di strano nel fatto che gli Atenei possano fornire diversi livelli della formazione.
Riguardo l’intervento di Fiorentini, dico che il sistema deve sopravvivere senza salti troppo violenti per quanto riguarda le risorse messe a disposizione.
Riguardo l’intervento della Prof.ssa Rossi, ha sollevato la questione della sfiducia che è una novità nella nostra proposta di legge. Non è vero che gli eletti sono senza controllo, tant’è vero che c’è un grande dibattito tra i politici circa le percentuali necessarie per non mettere il Rettore sotto scacco del Senato. Non condivido l’idea che il Senato elettivo sia in preda a cani sciolti che non rispondono a nessuno, quindi, cercheremo di correggerlo nel progetto. Sul problema di tenere corsi di studio uguali, ci si riferisce a corsi di laurea, laurea magistrale o di Dottorato, non può parlare di corsi di insegnamento. C’è un problema lessicale. Non poter essere responsabili di due corsi di studio, vuol dire non poter essere responsabili di due diversi corsi di laurea mentre si può benissimo insegnare tutte le volte che si vuole senza alcun problema.
In riferimento alla mobilità siamo portati ad incentivare stipendialmente le persone che si muovono piuttosto che obbligarle a muoversi dopo il Dottorato. L’esperienza dice che, i trasferimenti fatti in Italia negli ultimi 10 anni, non è felice.
Infine Borchi parla della ricerca come optional, ma devo ricordare che, dal 2005, la ricerca non è più un optional in quanto è un obbligo per tutti i ricercatori e Professori dell’Università. Invece sono d’accordo con lui quando dice che si possa pensare ad uno stato giuridico in cui i Professori di qualunque fascia abbiano un carico didattico che varia anche in funzione della ricerca che viene fatta. Chi ha perso interesse nella ricerca è giusto che abbia un carico didattico maggiore. Così possiamo pensare di aggiungere un capitolo più ampio sul tema dei compiti dei docenti.
Noi che lavoriamo a livello centrale, terremo conto di tutte le posizioni emerse in questo dibattito.
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NOTE PERVENUTE IN FORMA SCRITTA
Osservazioni di Sergio Brasini e Giorgio Tassinari (Dipartimento di Scienze Statistiche, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna) sul “Disegno di legge quadro governativo in materia di organi di governo, organizzazione e qualità del sistema universitario, riordino del reclutamento dei professori e dei ricercatori universitari e delega sul diritto allo studio” e sulla “Proposta di legge del PD sull’Università” (bozza del 22 maggio 2009)
Bologna, 6 giugno 2009.
In questa breve nota soffermiamo la nostra attenzione sui contenuti dei due documenti in oggetto. Condividiamo l’impianto generale e lo spirito della proposta di legge PD. Riteniamo opportuno approfondire la discussione su alcuni temi per i quali auspichiamo una riformulazione.
1) Ruolo dei dipartimenti
Ormai i tempi sono maturi per risolvere il ben noto dualismo tra facoltà e dipartimenti: il dibattito è in corso da anni, con diverse opzioni possibili sul campo. A nostro giudizio vale la pena puntare con decisione su un assetto istituzionale che affidi ai dipartimenti il presidio integrale delle attività di didattica e di ricerca. Solo in questo modo sarà possibile assicurare un adeguato presidio alle attività formative, evitando inutili duplicazioni delle offerte didattiche oggi presenti in facoltà distinte e riequilibrando il carico didattico tra docenti appartenenti al medesimo settore scientifico-disciplinare ma incardinati in facoltà diverse.
A questo proposito il disegno di legge governativo all’art. 2 lettera m) compie una netta – e secondo noi apprezzabile – scelta di campo nel procedere alla “riorganizzazione e semplificazione della articolazione interna degli atenei” attraverso la “contestuale attribuzione al dipartimento delle responsabilità e delle funzioni finalizzate allo svolgimento della ricerca scientifica, delle attività didattiche e formative a tutti i livelli nonché delle attività rivolte all’esterno ad essa correlate o accessorie”. La proposta di legge PD all’art. 6 (Strutture interne degli atenei), pur prevedendo una soluzione assimilabile quando afferma “per le attività istituzionali della didattica e della ricerca l’università si articola in un unico livello di strutture interne in cui i professori e ricercatori si incardinano per libera aggregazione, in base ad affinità disciplinari, tematiche o professionali, e contribuiscono alla ricerca di propria competenza” non punta con chiarezza – a nostro avviso – nella direzione di una totale valorizzazione del ruolo dei dipartimenti.
Lo stesso si può affermare laddove il disegno di legge governativo all’art. 2 lettera o) indica esplicitamente la “afferenza dei corsi di laurea e laurea magistrale, anche ai fini della gestione amministrativa e contabile, al dipartimento i cui docenti svolgono la maggior parte degli insegnamenti di base e caratterizzanti del corso”, mentre la proposta di legge PD all’art. 6 comma 2 prevede che “i corsi di laurea, di laurea magistrale, di specializzazione e di dottorato di ricerca sono gestiti, anche in forma aggregata, da organi collegiali costituiti da professori e ricercatori che assumono la responsabilità didattica e organizzativa del corso di studio, nonché da rappresentanti degli studenti” e ancora che “la gestione amministrativa di ciascun corso di studio è comunque affidata ad una delle strutture interne di cui al comma 1”.
2) Riforma dei settori scientifico-disciplinari
In tema di revisione dei settori scientifico-disciplinari (art. 8 della proposta di legge PD), riteniamo preferibile l’indicazione esplicita di una soglia minima di professori in servizio in ciascun settore (anche se non necessariamente quella, pari a 50, attualmente prevista nel disegno di legge governativo all’art. 14), da mettere in relazione con il numero dei componenti della commissione incaricata del conferimento dell’abilitazione scientifica nazionale (pari a 5 nell’art. 10 della proposta di legge PD).
3) Reclutamento dei professori universitari
Per quanto riguarda il contenuto dell’art. 9 della proposta di legge PD (Reclutamento e promozione dei professori universitari), non condividiamo l’idea di istituire un doppio binario per le procedure di reclutamento di docenti esterni all’ateneo (commi 2 e 3) e di promozione di docenti interni all’ateneo (comma 8). Se davvero si crede con forza al progetto dell’abilitazione scientifica nazionale (si veda il successivo art. 10) perché non responsabilizzare al massimo gli atenei a scegliere, nel rispetto della loro piena autonomia, i candidati più idonei a ricoprire i ruoli messi a concorso tramite selezione pubblica internazionale per titoli scientifici? Nel comma 5 del medesimo art. 9 è già previsto che la valutazione comparativa sia effettuata “sulla base di giudizi, anche comparativi, richiesti ad esperti italiani e stranieri di riconosciuta fama internazionale, esterni all’ateneo interessato”. Il sistema di garanzie messo in campo è tale da consentire agli atenei di stilare graduatorie di candidati idonei di qualità, senza la necessità di discriminarli sulla base dell’Ateneo presso il quale stanno attualmente prestando servizio. In questo modo la programmazione del numero complessivo di procedure di reclutamento da attivare in ogni anno solare potrà avvenire in modo molto più semplice di quanto previsto nell’attuale comma 9 dell’art. 9.
4) Commissione per il conferimento dell’abilitazione scientifica nazionale
A proposito della designazione della commissione incaricata del conferimento dell’abilitazione scientifica nazionale, non condividiamo l’idea che la sua composizione sia in parte elettiva e in parte a sorteggio tra tutti i docenti di prima fascia appartenenti al settore scientifico-disciplinare interessato e presenti nella lista compilata dall’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (comma 2 dell’art. 10 della proposta di legge PD). Se l’obiettivo fondamentale della proposta è quello di rendere non controllabile né predeterminabile a priori l’esito della valutazione dei candidati, molto meglio puntare nella direzione di un sorteggio integrale di tutti i componenti della commissione.
Per concludere questa breve nota sottolineiamo come il disegno di legge quadro di fonte governativa contenga alcuni aspetti sui quali il dibattito parlamentare dovrà apportare, se possibile, emendamenti correttivi:
a) composizione, designazione e funzioni del consiglio di amministrazione (art. 2);
b) fusione e aggregazione federativa degli atenei (art. 3);
c) relazione sull’attività didattica e scientifica, in particolare per quanto riguarda lo scatto biennale (art. 9);
d) delega al governo in materia di diritto allo studio (art. 15).
Sergio Brasini – Giorgio Tassinari
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Commento al progetto del PD pervenuto per posta elettronica
Insieme a molte buone proposte di governance, mi è parso di leggere troppa cautela in altri settori quali in particolare quello del reclutamento e quello dei settori scientifici disciplinari: i due elementi che mi sembrano veramente nodali per permettere alla nostra Università di entrare veramente nel mercato internazionale della cultura, almeno per quanto riguarda il settore scientifico.
Per il primo, il reclutamento, bisogna riuscire ad attivare meccanismi che “obblighino” le strutture a reperire il meglio accessibile nel mercato internazionale. E su questo c’è un ampia letteratura e i meccanismi a tal fine adottati sono ormai ben collaudati.
In merito al secondo, gli SSD, il numero di cento è ancora esorbitante ( vedi ad esempio i 20 dell’ ERC) perchè si va verso una ricombinazione dello scibile, e l’ interdisciplinarietà, certo in ambito scientifico, è sempre più dominante e vincente. Capisco che questo perturba i “vecchi” ben consolidati giochi delle scuole e delle consorterie disciplinari. Ma se non riusciremo a scompaginare i loro giochi non riformeremo nulla.
Fra l’altro nell’ambito del reclutamento non è più pensabile che le commissioni possano essere monodisciplinari. Non lo sono più da nessuna parte del mondo civile. La mia lunga esperienza internazionale mi ha fatto ben conoscere, e in dettaglio, i meccanismi che creano e assicurano l’ eccellenza nelle Università estere con cui siamo in competizione anceh a livello di reperimento di risorse finanziarie.
Bruno Samorì