Palazzo Pizzardi e la telematica
Mercoledì, 2 Febbraio 2011 (Corriere di Bologna) – Salvatore Vassallo, Il pasticcio Palazzo Pizzardi, gli spazi che mancano e le chances della telematica.
Dall'inaugurazione dell’anno giudiziario vengono diversi dati preoccupanti su cui la nostra città deve riflettere. Una giustizia che arranca impedisce alle categorie deboli di far valere i propri diritti e genera danni irreparabili per le persone, le famiglie, le imprese. Una giustizia da cui sia faticoso ricevere risposte acuisce la conflittualità e allontana gli investimenti produttivi. Perciò, in un periodo di pesanti tagli imposti dalla crisi finanziaria e dalla linea politica dell’attuale governo, Bologna non può più permettersi di commettere errori. Anche nel settore della Giustizia occorre unire le forze più dinamiche per fare meglio con meno.
Sabato scorso il presidente Lucentini ci ha ricordato che in media una sentenza in Corte d’appello arriva dopo 11 anni dall’avvio del procedimento in primo grado, mentre è in atto un «inarrestabile aumento» delle pendenze. Le sedi giudiziarie bolognesi soffrono per carenza di organico… e di spazi, nonostante sia stata appena inaugurata la nuova sede di via d’Azeglio, in un magnifico stabile del 500, riccamente affrescato, ma purtroppo inadatto per collocazione e struttura ad ospitare il Tribunale.
Non credo abbia senso il gioco a scaricare su altri la responsabilità per questa scelta. Con l’eccezione del procuratore capo Enrico Di Nicola, poche sono state in passato le voci autorevoli del mondo forense in dissenso, molte le pressioni a favore, scarse le valutazioni preventive sull’adeguatezza del progetto. Anche importanti esponenti dell’ordine degli avvocati, che oggi giustamente danno voce al profondo disagio dei loro iscritti, costretti a 6-7 ore di fila per una iscrizione al ruolo, hanno espresso in passato giudizi entusiastici per la bellezza e l’apparente funzionalità di Palazzo Pizzardi.
Le soluzioni che vengono ventilate (l’acquisizione di spazi nella ex Maternità) rischiano di ingigantire l’errore invece di porvi rimedio. Senza considerare che il Comune si troverebbe a pagare un affitto certamente non modesto allo stesso imprenditore che acquistò a suo tempo Palazzo Pizzardi e che ha da poco acquistato dalla Provincia, in un’asta semideserta, la Maternità. Se vogliamo che la giustizia riprenda a camminare ad un passo accettabile, non possiamo solo tamponare le falle. Occorre progettare soluzioni nuove.
L’unica risposta di medio termine alle lentezze dei processi, ai limiti strutturali del nuovo tribunale e ai tagli di bilancio, non può che essere un serio investimento sull’innovazione organizzativa e la telematica. Serve una nuova architettura che riduca drasticamente gli accessi fisici alle sedi giudiziarie: posta elettronica certificata, archivio digitale, agenda elettronica delle udienze, videoconferenze. Ma non solo. Una sensata archiviazione di conoscenze che porti a interpretazioni giurisprudenziali meno idiosincratiche, più prevedibili. L'innovazione è possibile. Basterebbe vedere cosa hanno ottenuto con pochissimi soldi in Toscana.
Insomma, anche nel settore della Giustizia, Bologna nei prossimi cinque anni deve investire in banda larga e digitalizzazione, in «innovazioni di processo» più che in mattoni. La sfida vera sta qui. Interpella le fondazioni, l’Università, le comunità professionali, non meno che la nuova amministrazione comunale. Dovrebbe appassionare soprattutto i più giovani che hanno tutti gli strumenti per raccoglierla.