Province. Una vera riforma
C4506 (scarica qui il pdf) Modifiche agli articoli 114, 133, 114, 117, 118, 119, 120, 132 e 133 della Costituzione in materia di Province e di Città metropolitane
D'iniziativa dei Deputati: VASSALLO, CAUSI, D’ANTONA, DE TORRE, GINOBLE, MARTELLA, PELUFFO, PES, PORTA
Onorevoli Colleghi! – Ormai da molti anni, per non dire da sempre, si discute sull'opportunità di sopprimere le province o di ripensarne il ruolo nell'assetto complessivo del nostro sistema delle autonomie.
Il tema è divenuto nuovamente saliente in tempi di recessione, tagli drastici alla spesa pubblica e domanda pressante di riduzione dei costi della politica. Un ripensamento incisivo del loro ruolo e della struttura delle Province è in affetti necessario per ciascuna di queste ragioni. Le Province così come sono configurate costituiscono un vantaggio per la gestione degli equilibri tra i partiti ma rappresentano una complicazione nella attuazione delle politiche pubbliche. Oggi può capitare che le Province si diano obiettivi guidati più dalle esigenze di visibilità degli amministratori che dagli interessi dei territori; le loro burocrazie paiono sovradimensionate rispetto ad altri comparti della PA e alle funzioni che dovrebbero svolgere; i consigli provinciali sono spesso sede di dibattiti su temi estranei alle loro prerogative (dal testamento biologico al riconoscimento dello stato di Palestina, dagli aiuti allo sviluppo al contratto di Pomigliano) mentre sono un organo inefficace di controllo e indirizzo per le giunte; le sovrapposizioni di competenze con altri livelli di governo sono frutto di inutili complicazioni per i cittadini e le imprese. Le attuali circoscrizioni provinciali appaiono spesso irrazionali. Si va dalla provincia di Torino con trecentoquindici comuni a quella di Prato con sette comuni; dai quasi quattro milioni di abitanti della provincia di Roma ai quasi novantamila abitanti della provincia di Isernia.
La presenza della provincia nella Costituzione non deriva, com'è noto, da ferme convinzioni dei costituenti. La Seconda Sottocommissione aveva inizialmente approvato un testo dell'articolo 107, poi diventato articolo 114, secondo il quale «Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni e Comuni. Le province sono circoscrizioni amministrative di decentramento regionale». La Commissione dei 75 si era limitata ad aggiungere le parole «e statale». Al momento dell'esame in sessione plenaria divennero poi dirimenti le preoccupazioni che venivano dalla periferia di un possibile «sommovimento» delle popolazioni residenti nei comuni capoluogo che si temeva avrebbero perso, con il venir meno delle province, anche la loro funzione sociale di centri aggregatori.
Alla fine degli anni sessanta, mentre si discuteva dell’istituzione delle Regioni, diversi gruppi, tra cui in particolare i repubblicani guidati dall’On. La Malfa, proposero di abolire contestualmente le Province. Il Pci si dichiarò favorevole a questo approccio rinviando la scelta ad un momento successivo alla istituzione delle Regioni. Nei primi anni settanta vennero in effetti in diverse regioni vennero istituiti i comprensori che avrebbero dovuto progressivamente sostituire le province. Nel 1974, di fronte alla reiterata richiesta di Ugo La Malfa perché si prendesse una decisione, Enrico Berlinguer, in una lettera pubblica di risposta, concordò che fosse opportuno abolire le province. Quando arrivò però il momento di prendere quella decisione, in coincidenza con il varo dei trasferimenti delle funzioni amministrative poi operate con il decreto 382 del 1975, l’accordo sul rafforzamento delle Regioni (voluto soprattutto dal Pci) venne raggiunfo cedendo alla richiesta (soprattutto del Psi) di smantellare i consorzi e rivitalizzare le province, per un evidente interesse a mantenere un ente oggetto di compensazioni nella articolata dinamica coalizionale di quegli anni. Una motivazione che ancora oggi ha un suo peso.
Nella presente legislatura, in occasione dell’esame dei progetti di legge 1990 e abbinati, di fronte alla proposta sostenuta da Italia dei Valori e Udc, tutti i gruppi contrari all’abolizione delle Province si sono impegnati a trovare modifiche costituzionali mirate a “razionalizzarle”. Il presente progetto indica una strada nitida e incisiva a tale riguardo. Ispirandosi all’esperienza spagnola, interviene su quattro profili: 1) introduce soglie rigide a carattere demografico per ridurre il numero delle Province attuali ed impedirne in seguito la proliferazione; 2) circoscrive le loro funzioni a quelle di area vasta conferite dalle Regioni, ovvero di coordinamento e collaborazione tra i comuni; 3) trasforma i Consigli provinciali in Assemblee dei sindaci in modo da ridurre i costi e l'entità del personale politico, per raccordare più direttamente le Province con i Comuni e avere un organismo più efficace di indirizzo e controllo delle Giunte provinciali; 4) stabilisce che le Città Metropolitane non possono coesistere con le Province e che possono essere istituite solo dove i Comuni siano realmente disposti a cedere competenze significative, riconoscendo possano essere esercitata più efficacemente alla dimensione, appunto, metropolitana.
D’altro canto, in tempi di tagli drastici alla spesa pubblica, una riduzione dei costi della politica è indispensabile. Ma come per la riduzione di altre componenti della spesa pubblica non va operata attraverso “tagli lineari”. Bisogna avere invece il coraggio di potare i rami meno vitali se si vuole che la pianta torni a crescere. Un discorso che vale per il welfare, la politica industriale, l’istruzione, ecc. Deve valere anche per le istituzioni della rappresentanza politica e gli enti pubblici. Non si combatte l’antipolitica annidata dentro la domanda di riduzione dei costi della politica con progressive concessioni “ai margini”, lasciando che tutto venga degradato, compresa l’autorevolezza delle istituzioni, purché le strutture e le dimensioni complessive degli apparati politico-amministrativi rimangano come sono. Su almeno tre profili servono tagli non lineari. Invece di ridurre i trasferimenti ai partiti “a prescindere” occorre condizionare tali trasferimenti ad una verifica della democraticità delle loro procedure interne, con particolare riguardo ai metodi di selezione delle candidature alle cariche istituzionali. Invece che intervenire semplicemente “ai margini” sulle indennità e gli altri benefici connessi con gli incarichi parlamentari, occorre ridurne significativamente il numero superando il bicameralismo perfettamente paritario tra Camera e Senato. Quanto alle Province, a nostro avviso occorre pensare ad una specificazione delle funzioni, ad un drastico ridimensionamento del loro numero e delle connesse strutture politiche.
Va infine considerato che gli interventi tesi a promuovere il decentramento delle funzioni amministrative varati nell'ultimo decennio non sono stati accompagnati da una razionalizzazione del sistema delle autonomie. Al contrario, sono sorti una miriade di enti funzionali che si sono sovrapposti a ben quattro o cinque livelli generali di governo: quello statale, quello regionale, quello provinciale, quello comunale, a cui si aggiungono le comunità montane o, nelle città maggiori, le circoscrizioni, cui si aggiunge, inoltre, l'eventuale istituzione delle città metropolitane. Pare dunque necessario affrontare con decisione il tema attraverso una mirata revisione della Costituzione che in parte recuperi l'ispirazione originariamente prevalsa tra i costituenti.
L'articolazione in tre livelli di governo substatali non può essere completamente superata (in Europa è un elemento costante), ma va ripensata in rapporto ai comuni e alle «loro» competenze. Questo vale, con specificazioni, tanto per la città metropolitana quanto per la provincia.
Quanto alle città metropolitane, la presente proposta di legge costituzionale intende sottrarle all'indeterminatezza che oggi caratterizza taluni tentativi di definirne l'identità. Tentativi che paiono voler dare alla città metropolitana talvolta il ruolo di una «provincia leggermente rafforzata», che contraddice palesemente la stessa denominazione, oltre che la logica di fondo che giustifica l’istituzione delle Città metropolitane. La presente proposta di legge costituzionale intende invece qualificare la città metropolitana in maniera inequivoca come istituzione di governo che, servendo un'area urbana sufficientemente vasta (ma omogenea e integrata), da un lato, può svolgere le funzioni oggi proprie della provincia e, dall'altro, assume definitivamente competenze oggi proprie dei comuni.
Le province sono invece concepite come enti per l'esercizio di funzioni di area vasta e «soggetti di coordinamento e di collaborazione dei Comuni per la gestione dei servizi a rete». La soppressione pura e semplice delle province è una prospettiva tanto poco credibile da apparire un manifesto dietro il quale rischia di celarsi un assoluto immobilismo, mentre esse possono essere credibilmente ripensate come enti di secondo grado, finalizzate allo svolgimento di funzioni proprie dei comuni, così come eventualmente anche di funzioni conferite dalle regioni, ovvero conferite ai comuni a condizione che vengano esercitate «attraverso» la provincia.
Nella delimitazione delle province, così ridefinite nelle loro funzioni, diventano necessarie maggiori flessibilità e aderenza alle specifiche caratteristiche del territorio oltre che del sistema amministrativo locale.
Non sono la stessa cosa i grandi comuni pugliesi, i piccoli comuni della Lombardia o i micro-comuni del Piemonte. La modifica costituzionale proposta aspira a promuovere un assetto dei poteri locali nel quale governo regionale e governi locali costituiscano per quanto possibile un sistema unitario, evitando sia chiusure municipalistiche sia nuovi «centralismi». A tale proposito pare necessario affidare l'istituzione e la delimitazione delle province al legislatore regionale, ma nell'ambito di princìpi stabiliti dalla legge della Repubblica (finalizzati soprattutto a evitare una proliferazione delle province purtroppo già in atto), e in ogni caso solo nelle regioni con più di cinquecentomila abitanti. L'esistenza di regioni di dimensioni minori, fatta naturalmente salva la specialità del Trentino-Alto Adige, verrebbe così maggiormente giustificata e valorizzata affidando all'ente regionale, come del resto già avviene in Valle d'Aosta, anche le competenze della provincia.
La stretta connessione tra comuni e provincia dovrebbe trovare naturalmente riscontro in una specifica modalità di formazione degli organi provinciali, anche al fine di attenuare il peso di una rappresentanza politica che oggi appare ipertrofica e spesso inefficace come mezzo di raccordo tra i cittadini e l'ente. Pertanto, la presente proposta di legge costituzionale prevede che la provincia abbia organi di governo più «semplici» e, quindi, meno costosi, che siano espressione dei comuni in proporzione alle loro dimensioni. Più precisamente si propone che gli organi provinciali siano espressione dell'assemblea dei sindaci dei comuni del territorio, con voto ponderato in base alla popolazione dei comuni stessi. Verrebbero meno organi politici, superflui rispetto al nuovo ruolo della provincia, che diverrebbe, come già detto, un ente funzionale di coordinamento e di collaborazione dei comuni, più utile e meno costoso.
PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE
Art. 1. (Modifica della rubrica del titolo V della parte seconda della Costituzione)
1. La rubrica del titolo V della parte seconda della Costituzione è sostituita dalla seguente: «Le Regioni e i Comuni».
Art. 2. (Modifiche all'articolo 114 della Costituzione)
1. Il primo comma dell'articolo 114 della Costituzione è sostituito dal seguente:
«La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato».
2. Il secondo comma dell'articolo 114 della Costituzione è sostituito dal seguente:
«I Comuni, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione».
Art. 3 (Modifiche all'articolo 115 della Costituzione)
1. Dopo l'articolo 114 della Costituzione è inserito il seguente:
«Art. 115. – Le Città metropolitane sono istituite in territori con una popolazione superiore a cinquecentomila abitanti individuati dalla legge dello Stato coincidenti con uno o più Comuni. Le Città metropolitane esercitano, nel rispettivo territorio, le funzioni della Provincia ed acquisiscono intutto o in parte le funzioni comunali.
Le Province possono essere istituite con legge regionale in territori con una popolazione superiore a cinquecentomila abitanti nei quali non è istituita la Città metropolitana, sulla base di criteri fissati dalla legge dello Stato. Nelle Regioni in cui non sono istituite province, le relative funzioni sono esercitate dalla Regione.
Le Province esercitano funzioni di programmazione e pianificazione di area vasta conferite dalle Regioni, oltre che funzioni di coordinamento e collaborazione tra i Comuni per la gestione dei servizi a rete.
La formazione degli organi di governo delle Province è disciplinata con legge dello Stato la quale può prevedere che il Presidente della Provincia sia eletto direttamente dai cittadini. Il Consiglio provinciale è composto dai sindaci dei Comuni del territorio o da consiglieri comunali da essi delegati, i quali esprimono un voto ponderato in base alla popolazione dei rispettivi Comuni. Nelle Regioni in cui non sono istituite Province, le funzioni del Consiglio provinciale sono esercitate dal Consiglio delle autonomie locali di cui all’articolo 123, comma 7».
Art. 4. (Modifiche all'articolo 117 della Costituzione)
1. Alla lettera p) del secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione, la parola: «, Province» è soppressa.
2. Al terzo periodo del sesto comma dell'articolo 117 della Costituzione, le parole: «, le Province» sono soppresse.
Art. 5. (Modifiche all'articolo 118 della Costituzione)
1. Al primo comma dell'articolo 118 della Costituzione, la parola: «Province,» è soppressa.
2. Al secondo comma dell'articolo 118 della Costituzione, le parole: «, le Province» sono soppresse.
3. Al quarto comma dell'articolo 118 della Costituzione, la parola: «, Province» è soppressa.
Art. 6. (Modifiche all'articolo 119 della Costituzione)
1. Ai commi primo, secondo e sesto dell'articolo 119 della Costituzione, le parole: «le Province,» sono soppresse.
2. Al quarto comma dell'articolo 119 della Costituzione, le parole: «alle Province,» sono soppresse.
3. Al quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione, la parola: «Province,» è soppressa.
Art. 7. (Modifica all'articolo 120 della Costituzione)
1. Al secondo comma dell'articolo 120 della Costituzione, le parole: «, delle Province» sono soppresse.
Art. 8. (Abrogazione del secondo comma dell'articolo 132 della Costituzione)
1. Il secondo comma dell'articolo 132 della Costituzione è abrogato.
Art. 9 (Modifica dell'articolo 133 della Costituzione)
1. Il primo comma dell'articolo 133 della Costituzione è sostituito dal seguente:
«Il mutamento delle circoscrizioni delle Province e delle Città Metropolitane è stabilito con legge regionale, nel rispetto dei parametri fissati dalla legge dello Stato».
Art. 10. (Norme di attuazione)
Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, sono fissati, con legge dello Stato, i parametri per la determinazione delle circoscrizioni provinciali e le modalità di formazione degli organi di governo delle Province, ai sensi dell’articolo 115-bis, commi secondo e quarto, introdotto dall'articolo 3 dalla presente legge costituzionale.
In sede di prima applicazione, con la medesima legge dello Stato di cui al comma 1 si provvede alla nuova determinazione delle circoscrizioni provinciali.
Entro centottanta giorni dalla entrata in vigore di tale legge, nel rispetto dei parametri da essa fissati, le Regioni possono, con proprie leggi, apportare modifiche alle circoscrizioni provinciali.