A futura memoria
Il vergognoso affossamento della candidatura di Romano Prodi alla Presidenza della Repubblica ha giustamente sollevato un’ondata di indignazione tra militanti e iscritti del Pd. Alcuni si sono spinti a chiedere con veemenza un improbabile ravvedimento da parte dei parlamentari in questione che li porti almeno ad assumersi in pubblico la responsabilità della loro scelta. È davvero difficile pensare che questo accada. D’altro canto, al netto di ostilità puramente idiosincratiche nei confronti di Prodi, le motivazioni che possono aver guidato i «traditori» sono ovvie: la preferenza per un un’altro candidato, la preferenza per un qualche accordo tra PD e PDL rispetto ad un qualche accordo tra PD e M5S, il timore di una ravvicinata interruzione della legislatura. L’esame della distribuzione dei voti, in rapporto alla consistenza dei vari gruppi politici, può dare un’idea, seppur grossolana, di quanto abbia pesato la prima di queste motivazioni.
Alla quarta votazione, quella che ha decretato la sconfitta di Prodi, Rodotà ha ottenuto 213 voti. Se si sottraggono i 5 Stelle (162), gli unici ad aver ricevuto indicazioni in tal senso dal proprio gruppo, rimangono 51 voti di troppo per Rodotà che corrispondono a 51 voti in meno per Prodi. Quei 51 voti possono venire solo dal Pd o da Sel. Il centrodestra (PDL, Lega) non era in aula. Il centro (Monti + Udc) sembra aver votato compattamente per la Cancellieri (la quale ottenne 78 voti, 9 in più dei grandi elettori di quell’area). Così hanno dichiarato i suoi leader e non si vede per quali motivi i parlamentari centristi avrebbero dovuto comportarsi diversamente. Lo stesso vale, a maggior ragione, per i grillini. I grandi elettori non riconducibili a nessun gruppo in particolare erano poche unità. Se, per ipotesi, i grandi elettori del centro e del M5S non avessero votato compattamente per i candidati indicati dal loro gruppo, i «traditori SeL/Pd che hanno votato Rodotà» sarebbero in numero ancora maggiore. Quindi, dovremmo dire che sono stati «almeno» 51. Gli altri voti incompatibili con le indicazioni dei gruppi parlamentari sono 55, così distribuiti: 15 a D’Alema, 9 in eccesso per la Cancellieri, 3 a Marini, 9 per altri candidati, 15 bianche, 4 nulle.
Quindi, in conclusione, la metà dei 101 voti sottratti a Prodi, sono andati su Rodotà, l’altra metà si sono sparpagliati tra D’Alema, Cancellieri, Marini, voti dispersi, bianche e nulle.
Questi numeri, da soli, sono compatibili con diverse letture. Secondo quella più semplice (o semplicistica) la metà dei «traditori» erano sostenitori di Rodotà. Secondo quella opposta, si tratterebbe di franchi tiratori Pd che hanno maliziosamente votato Rodotà per non rendere palese la loro preferenza per altri candidati come Marini o D’Alema (per non metterci la firma), oltre che per seminare zizzania tra i due candidati più favorevoli al «governo del cambiamento» (Pd-M5S) e incompatibili con le «larghe intese» (PD-PDL).
Sembra però ragionevole chiedersi: perché i sostenitori delle «larghe intese» avrebbero dovuto, in questo modo, rafforzare la candidatura di Rodotà quando ancora non era certo che Napolitano si sarebbe reso disponibile per un secondo mandato, invece di depositare più semplicemente una scheda bianca o nulla? Già sapevano che Napolitano si sarebbe reso disponibile? Speravano forse, facendo crescere Rodotà, di generare un effetto contrario? Non si sono posti il problema? Insomma, la tesi della zizzania è plausibile, ma qualche dubbio lo lascia.
Inoltre, nella sesta votazione, nonostante la fortissima pressione esercitata sui parlamentari PD affinché seguissero stavolta senza tentennamenti le indicazioni del gruppo, Rodotà ha ottenuto 217 voti, rispetto ai 207 di SeL e M5S. Difficile pensare che i 10 voti in eccesso siano venuti da franchi tiratori maliziosi e contorti, magari stavolta provenienti dal centrodestra, piuttosto che da una parte degli stessi grandi elettori PD che avevano già votato per lui in precedenza.
In conclusione, i numeri dicono che da un minimo di 10 ad un massimo di 51 grandi elettori PD non hanno votato Prodi perché preferivano Rodotà. Al netto di scelte dettate da pure idiosincrasie personali, gli altri si dividono in quote non misurabili tra grandi elettori amareggiati perché il loro leader di riferimento era stato sconfitto (Marini) o non era stato preso in considerazione (D’Alema), sostenitori delle larghe intese e parlamentari timorosi di dovere rapidamente rifare i conti con il limite ai mandati o con la lotteria (appena vinta) delle liste bloccate. E’ probabile che i voti “pro-Rodotà” sinceri siano stati in un numero più vicino al 10 che al 50, perché le altre motivazioni e il peso dei gruppi che le esprimevano erano più forti. Ma è certo che diversi fattori, anche di segno opposto, hanno contribuito a quel pessimo risultato.