A reti unificate. In Eurovisione
Durante la scorsa settimana l’attività in Aula alla Camera è stata quasi interamente assorbita dall’esame della Legge comunitaria, un provvedimento che, con cadenza annuale, recepisce nell’ordinamento italiano regolamenti e direttive dell’Unione Europea. Solitamente, una buona parte di queste norme non sono oggetto di particolari discussioni in sede parlamentare, anche se non sempre costituiscono una pura e semplice “trascrizione” degli indirizzi comunitari. Se non che il governo ha approfittato della “Comunitaria 2008” per fare un altro blitz nel mercato televisivo. Con un emendamento introdotto all’ultimo momento in Commissione ha manomesso la normativa sulla concessione delle frequenze per il digitale terrestre. Non ce ne sarebbe stato alcun bisogno perché in questa materia la disciplina italiana è stata già “armonizzata” con quella europea attraverso il decreto legislativo n. 194 del 15 agosto 2005. Guarda caso, il governo Berlusconi ha ritenuto invece di intervenire per un “ritocco”.
Quando la Corte costituzionale stabilì che Rete 4 avrebbe dovuto trasmettere via satellite per dare un po’ di respiro al mercato, si disse che il problema sarebbe stato ampiamente superato dalla nuova tecnologia via cavo, la quale avrebbe moltiplicato le opportunità per il pluralismo e la competizione. Ora ci sarebbe la possibilità di dare corso a quell’idea, potrebbero essere messi sul mercato fino a trenta multiplex, si potrebbe cioè mettere a bando l’assegnazione di trenta frequenze per la trasmissione via digitale terrestre di “pacchetti multicanale”. Ma ora il governo stabilisce che verranno messi a gara solo tre multiplex! E si deve considerare che Rai e Mediaset (gli “incumbent”) se ne sono già aggiudicati cinque. L’Unione Europea consigliava che se ne mettessero a gara almeno altrettanti per nuovi competitori e il PD con suoi emendamenti in Aula lo ha riproposto. Niente da fare. Gli unici tre spazi disponibili verranno assegnati con una procedura chiamata di “beauty contest”, quindi non in base ad una competizione verificabile sulla cifra offerta ma sulla base di una valutazione della “qualità del progetto”. Ora chiediamoci: chi dovrà valutare la “qualità” dei concorrenti di Mediaset e Rai? La risposta la può immaginare chiunque: chi già controlla Mediaset e Rai.
Questa decisione è purtroppo parte di un contesto già noto, che nell’ultima settimana ha trovato un altro paio di preoccupanti conferme. La prima viene da libro appena pubblicato di Enrico Mentana nel quale l’ex direttore del TG5 e poi di Matrix da un quadro abbastanza nitido del rapporto tra le reti Mediaset e la politica. Particolarmente esemplare è il contenuto della lettera spedita da Mentana a Fedele Confalonieri in cui si parla di una cena post-elettorale. «C’era tutta la prima linea dell’informazione, ma non ho sentito parlare di giornalismo neanche un minuto. Sembrava una cena di Thanksgiving … Un giorno del ringraziamento elettorale. Tutti […] avevano votato nello stesso modo, e ognuno sapeva che anche gli altri lo avevano fatto. Era scontato, così come il fatto di complimentarsi a vicenda per il contributo dato a questo buon fine, con la presenza perfino del beniamino del gruppo, quello che era distaccato come ufficiale di collegamento al quartier generale del partito di riferimento». È sempre Mentana a parlare di Mediaset come «un gruppo che sembra un comitato elettorale, dove tutti ormai la pensano allo stesso modo, e del resto sono stati messi al loro posto proprio per questo».
La seconda ulteriore conferma viene dalle nomine del direttore di Tg1 (Augusto Minzolini) e Rai 1 (Mauro Mazza), le quali costituiscono solo una prima fase dell’occupazione del servizio pubblico.
La classifica di Freedom House, la più autorevole agenzia internazionale indipendente, che già considera l’Italia un paese nel quale la stampa è solo “parzialmente libera”, forse dovrebbe essere modificata.