Europee 2009
Analisi del voto
Salvatore Vassallo
Vi ringrazio di aver partecipato a questa iniziativa. Io dirò solo poche parole per introdurre il seminario ed interverrò per primo, dopo gli interventi degli esperti che hanno cortesemente accettato di aiutarci nell’analisi del voto, solo per rompere il ghiaccio. Non ho, naturalmente, un particolare ruolo da svolgere se non quello di avere condiviso con altri parlamentari che fosse utile discutere del voto europeo. Mi soffermo solo su due punti che riguardano il soggetto che promuove l’iniziativa. La Fondazione Scuola di Politica è un’istituzione privata costituita da persone vicine al PD, nata nel maggio dell’anno scorso con l’idea di sostenerne il progetto politico attraverso attività di carattere culturale, formativo e di ricerca. La Fondazione contribuisce al disegno politico del PD attraverso corsi di base tenuti nei fine settimana durante l’anno e un seminario estivo che si tiene a Bertinoro. C’è già stata, lo scorso anno, la prima edizione e la prossima si terrà tra il 23 ed il 27 luglio.
Accanto alle iniziative di carattere formativo di base, la Fondazione ha anche incominciato a promuovere attività di elaborazione programmatica attraverso seminari che si tengono, quasi settimanalmente, a Roma con la partecipazione di piccoli gruppi di studiosi, operatori e parlamentari su temi che sono nell’agenda parlamentare e su cui cerchiamo di mettere a punto una posizione. Sino ad ora, abbiamo svolto seminari sulla gestione dell’acqua, sulle riforme istituzionali, sulla riforma delle Autonomie locali, sulla flexsecurity. Da questi incontri cerchiamo di ricavare paper brevi che propongano un indirizzo politico per il PD. La Fondazione ha anche promosso un’inchiesta sull’attuazione dello Statuto e del codice etico del Partito democratico attraverso un sondaggio telematico che è stato somministrato a dirigenti, iscritti e simpatizzanti di cui daremo conto nel corso del seminario estivo di Bertinoro. Dunque, l’iniziativa che promuoviamo oggi, serve ad alimentare la riflessione sulle prospettive del progetto del PD a partire dall’analisi del voto. Cedo la parola ai colleghi dell’Istituto Cattaneo ringraziandoli per la disponibilità.
Gianluca Passarelli | Inquadramento generale del voto in Europa
Questa prima presentazione serve allo scopo di illustrare quali sono le tendenze elettorali nell’UE nell’ultimo trentennio, vale a dire, da quando è stata istituita l’elezione popolare del Parlamento Europeo. Si parte dalle elezioni del 1979 fino a quelle del 2009. Questo grafico è volutamente messo in forma non lineare ma di aree, per dare l’idea di come siano evolute le macroaree politiche nel periodo temporale considerato, cioè, se si collocano al di sopra o al di sotto del 50% che si individua nella linea rossa tratteggiata. Un primo elemento che emerge in modo chiaro è che, l’area progressista di centro-sinistra – quindi la sinistra variamente declinata: la sinistra estrema (in alto di colore bordeau), la famiglia dei verdi-ambientalisti, la famiglia del socialismo europeo (socialdemocratici con la sigla BERES) – , era vicina al 50% – alla maggioranza dei voti (non dei seggi) – nei Paesi che in quel momento aderivano all’UE. Dai dati a nostra disposizione, si evince che c’è stata una significativa inversione di tendenza a partire dalla metà degli anni ’90 e che sembra essersi stabilizzata nelle recenti elezioni del 6 e 7 giugno. Bisogna, però, fare attenzione almeno a due elementi tenendo in considerazione il trend diacronico: il primo è sul favoleggiato esplua dei Verdi che, in realtà, è stato un dato eccessivamente amplificato soprattutto nel caso francese che poi guarderemo in dettaglio. In realtà, i Verdi, coprono l’area che sostanzialmente occupavano negli anni ’90, tra il 1989 ed il 1999. C’è una significativa riduzione dell’area dei partiti che afferiscono alla famiglia socialdemocratica ed una sostanziale tenuta dell’area liberale. Quelli indicati con il label NI sono i non iscritti, all’interno dei quali, c’è un pò di tutto: delle volte anche il Fronte Nazionale di Le Pen che è un gruppo non ben classificabile. Il gruppo EC nel 2009, con qualche forzatura ma per semplificare, può essere aggregato alle forze del Partito Popolare Europeo in quanto è il gruppo conservatore britannico che era in forse se aderire come gruppo conservatore autonomo. Poi c’è il gruppo Europa delle Nazioni che raccoglie gruppi indipendentisti di vari Paesi e la destra variamente declinata (come si è visto per il caso del Fronte Nazionale che non è facilmente classificabile). Quindi una tendenza, nel primo decennio dalla nascita del Parlamento Europeo, a favore dell’area centro-sinistra progressista che si inverte a partire dalla metà degli anni ’90. Il grafico successivo riproduce sostanzialmente i dati e i valori della slide precedente, ma con delle linee per partito. Un elemento aggiuntivo in questo grafico, che è molto esplicativo, si trova in basso dove ci sono gli anni in cui si sono svolte le elezioni ed il numero tra parentesi rappresenta i Paesi che, in quel momento, aderivano alla Comunità Europea e che, quindi, partecipavano all’elezione dei membri rappresentanti al Parlamento Europeo. Questo comporterebbe qualche problema di comparazione, ma è l’unico modo per tenere insieme i dati. Dunque, è abbastanza evidente l’inversione che si è avuta negli anni ’90 quando i partiti afferenti all’area socialista, diventano minoranza rispetto al Partito Popolare Europeo e, questa tendenza, oltre a consolidarsi nelle elezioni del 1999 e del 2004, si è altresì accentuata nelle recenti. Anche il Partito Liberale mantiene i voti che, sostanzialmente, aveva negli anni ’90 e c’è la crescita dei Verdi – di cui dicevamo prima – e dei Non Iscritti (per le ragioni relative a casi specifici di certi contesti nazionali). Ora, brevemente, mi concentrerò su alcuni grandi Paesi per avere un’idea, quando i colleghi analizzeranno il contesto nazionale, di qual è l’ambito entro il quale il nostro Paese si colloca e si muove. Questo è il caso francese. Anche qui si vede abbastanza chiaramente quanto l’area del centro-sinistra, del Partito Socialista in particolare, sia in difficoltà elettorale. C’è una crescita significativa del partito che aderisce al gruppo dei Liberali con la nascita dell’UDF prima e del MoDem di François Bayrou. La crescita dei Verdi è data dal picco in basso che va verso il 50%, quindi, nel 1999, nel 2004 e nel 2009. Questa è una prima spiegazione da cui se ne deduce che il caso si verifica quando si tratta di elezioni europee di secondo ordine, cioè, quando l’elettore si sente libero perché non c’è in gioco il Governo. Invece, si nota come nel 2007 e nel 1997, il Partito Socialista recuperi. La Sinistra estrema tiene anche se, similmente a quanto accade per il Partito dei Verdi, migliora le sue performance in occasione di elezioni di secondo ordine. Il Partito del Presidente Sarkozy, invece, se si guarda in coincidenza con l’area coperta dal colore blu in corrispondenza delle elezioni politiche del 2007 – perchè, rispetto al grafico precedente, i casi nazionali coprono un periodo cha va dal 1994 al 2009 che riguardano sia le elezioni europee che quelle politiche – c’è una riduzione dell’influenza del Fronte Nazionale dopo l’esplua delle politiche del 2002 mentre si legge un andamento incostante del Partito, di colore viola, che sono i monarchici ed i nazionalisti.
Il quadro sostanziale su cui vorrei che si concentrasse l’attenzione è quello per cui, i progressisti, risultano comunque in difficoltà. Si noti che, in Francia, – almeno quella della V Repubblica – la sinistra è minoritaria a parte le eccezioni di Mitterand e Jospin.
Il caso della Germania. Per struttura della competizione e del sistema dei partiti, il quadro è qui un pò più semplificato – rispetto a quello francese – almeno per quanto riguarda l’estrema destra per ragioni storiche su cui non mi soffermo. C’è una tenuta dei partiti della sinistra estrema, la LINKE. I Verdi hanno un certo miglioramento, non significativo, ma che potrebbe essere il segnale di inizio di un trend. Il Partito CDU-CSU, che aderisce al Partito Popolare Europeo, ha dei risultati non brillanti se comparato alle europee del 1999 e del 2004, ma che sostanzialmente tiene; mentre, ancora una volta, l’SPD che aderisce al Socialismo Europeo, contrae la sua area di influenza. Anche in questo caso i Liberali aumentano la loro importanza in occasione di elezioni di secondo ordine. Il caso Britannico, invece, potrebbe destare qualche sorpresa se guardiamo le aree di influenza dei diversi partiti che corrispondono alle aree d’influenza dei partiti del Parlamento Europeo, se confrontate con i partiti al Governo negli ultimi anni. In realtà, come sappiamo, molto dipende dalla legge elettorale che consente, anche a partiti con la maggioranza relativa, di avere una maggioranza in seggi. Però, vorrei che ci concentrassimo sui voti. C’è un’avanzata dei Verdi che è abbastanza estemporanea ed, ancora una volta, collegabile alle elezioni europee come si vede per quelle del 2004. Idem per il Partito Liberale. C’è la progressione del Partito Conservatore ed, ancora una volta, la contrazione del New-Labour è significativa. Il caso spagnolo è l’unico, insieme alla Svezia che guardiamo dopo, in cui il Partito PSOE mantiene i voti che aveva nel 2004. C’è una certa riduzione rispetto al voto politico del 2008 in quanto, Zapatero, è stato riconfermato come Presidente del Gobierno . C’è una riduzione, che ormai segue un trend storico, dell’area di estrema sinistra, la c.d. Izquierda Unida; un valore non significativo dei partiti che aderiscono alla famiglia dei Liberali europei; un avanzamento abbastanza importante del Partito Popolare. Quelli viola in fondo, rappresentano vari partiti indipendentisti. Anche qui vediamo che l’area di centro-destra supera, stabilmente, la soglia del 50%. Sono, poi, le dinamiche politiche elettorale e del sistema partitico che consentono al centro-sinistra, attualmente, di accedere al Governo. L’ultimo caso è quello svedese in cui, ancora una volta, si vede quanto siano in difficoltà le forze del Socialismo Europeo del centro-sinistra. Si evidenzia, inoltre, l’avanzata dei Verdi e una quota consistente di voti per il partito che aderisce alla famiglia dei Liberali europei. Quello che è indicato come “altri”, in realtà, è il c.d. Partito dei Pirati che non è qualificabile ma che ha avuto un risultato significativo influenzando la distribuzione dei seggi dei rappresentanti nel Parlamento Europeo. Però, è presumibile che nelle elezioni politiche, cioè di primo ordine, la loro forza verrà ridimensionata. Questo è il quadro europeo in cui ci muoviamo; per dare il senso del sistema politico elettorale cui dove si colloca il nostro Paese.
Filippo Tronconi
Adesso passiamo all’Italia e vediamo le tendenze di lungo periodo cioè, collochiamo le elezioni europee, nel trend delle precedenti elezioni – anche politiche – degli ultimi 15 anni, sulla base dei dati che abbiamo elaborato insieme all’Istituto Cattaneo con il coordinamento del Prof. Corbetta.
Iniziamo con alcune tendenze di lungo periodo relativa all’Italia. Una specificazione rispetto ai grafici: la loro struttura è sempre la stessa. Si vede l’evoluzione del voto dalle politiche del 1996 fino alle recenti elezioni europee del 2009. Un’altra nota da fare, si riferisce alle elezioni politiche del 1996 e del 2001 riguardo al sistema elettorale che prima era misto (una scheda per l’uninominale ed una per il proporzionale). Perciò, nel grafico, teniamo conto dei risultati elettorali della parte proporzionale e questo fa una certa differenza. Una terza specificazione è che mancano i dati delle elezioni del 1994 e del 1995 perché, in quegli anni, c’era, rispettivamente, il Patto per l’Italia nel 1994 ed il Partito Popolare nel 1995 che non erano schierati né con il centro-destra né con il centro-sinistra. Era un terzo polo che poi si è scisso e quindi era difficile attribuirlo e renderlo comparabile ai dati degli anni successivi. Per questo lo abbiamo escluso dall’analisi. Partiamo esaminando il 1996.
In questo primo grafico abbiamo ricostruito l’andamento del voto 1996-2009, in base alle aggregazioni del 1996 cioè quelle più alte possibili in cui, quasi tutti i partiti, hanno preso posizione ed hanno aderito ad un’alleanza di centro-destra o di centro-sinistra. Quindi, in base a queste ampie alleanze, abbiamo ricostruito l’evoluzione e possiamo chiaramente individuare tre periodi: il primo parte dal 1996 ed arriva alle elezioni del 2001 con una prevalenza abbastanza marcata del centro-destra; il secondo periodo corrisponde al II Governo Berlusconi e comprende le elezioni del 2004, 2005 e 2006 e corrisponde ad una fase di equilibrio tra centro-destra e centro-sinistra; il terzo periodo – che è quello attuale – inaugurato con le elezioni del 2008 e proseguito con le europee del 2009 ed è un momento di marcata prevalenza del centro-destra. Un’altra annotazione sul grafico riguarda i dati del 2008 e 2009, in cui risulta evidente la continuità dei dati anche se, a livello di aggregazioni tra centro-destra e centro-sinistra, non cambia quasi niente. Dal dato complessivo delle grandi aggregazioni, passiamo a due dati più specifici relativi al partito di centro-destra in questo grafico e a quelli di centro-sinistra nel grafico successivo.
Relativamente ai partiti di centro-destra, la prima cosa da segnalare è che, ovviamente, i valori del PDL nelle elezioni precedenti al 2008, comprendono i dati ottenuti dalla somma di FI ed AN. Il risultato del 2009 non è brillante per il PDL che perde due punti % forse per effetto delle elezioni di secondo ordine in quanto, tradizionalmente, le elezioni europee non sono favorevoli ai partiti di Governo. Di solito, infatti, i partiti più piccoli ottengono risultati migliori. È un dato che sta in un trend storico dal 1996 in poi, con due eccezioni significative: quella del 2001 con un risultato eccezionale (41,1%) che non era tanto eccezionale a livello aggregato di centro-destra – tenendo presente che il PDL allora non esisteva – quanto per FI che prende il 29% assorbendo i voti del centro-destra e molti dalla Lega (3,9%) e dal CDU e dal CCD che, in quell’anno, hanno risultati particolarmente penalizzanti. Altrettanto eccezionali risultano i dati di due periodi sfavorevoli all’area di centro-destra: le elezioni europee del 2004 e le elezioni regionali del 2005. Sui partiti piccoli l’esito più interessante sembra quello della Lega Nord che prende il 10,3% – suo miglior risultato storico dalla fondazione -, superando anche quello del 1996 che già era stato molto favorevole.
Stessa analisi nel dettaglio per i partiti di centro-sinistra. Intanto il dato di quello che diventerà il PD, include PDS, DS e La Margherita cioè il centro che sta nel centro-sinistra nelle elezioni precedenti. Gli esiti del 2009 sono particolarmente penalizzanti nella prospettiva di lungo periodo: il 26,2% è forse il risultato più basso in assoluto se consideriamo che il 24,8% delle regionali del 2000, è un dato viziato dalla presenza di molte liste dei candidati Presidenti della Regione che hanno assorbito molti voti che, altrimenti, sarebbero andati ai partiti maggiori.
Sugli altri partiti non vale la pena soffermarsi molto. Il dato dell’IDV è interessante. Questo partito nasce nel 2001 ottiene il 3,9% rimanendo, per poche migliaia di voti, al di sotto della soglia di sbarramento del proporzionale, quindi, fuori dal Parlamento. Dopo un periodo di vicende alterne tra il 2004 e il 2006, inizia una crescita elettorale più marcata che porta al 4 e qualcosa nel 2008 e all’8% nelle ultime elezioni europee.
Questo grafico ha una struttura leggermente diversa rispetto a quello precedente ma uguale ad uno presentato dal Dott. Passarelli per le elezioni europee – coprendo le stesse elezioni (politiche, regionali, europee) riguardanti l’Italia – e ci fa vedere cosa succede dentro le aggregazioni di centro-destra e di centro-sinistra. Anche qui sono necessarie delle specificazioni perché, alcuni partiti, sono difficili da collocare: ad esempio i Radicali che non sono sempre stati nell’area di centro-sinistra. Altri partiti fluttuano al centro: l’UDEUR, che oggi sta nel centro-destra, prima stava nel centro-sinistra. A questo punto possiamo segnalare che, l’area del centro-sinistra, raramente sfiora il 50% . La raggiunge nel 2004-2005-2006, ma non negli altri periodi dove prevale il centro-destra. Un’altra annotazione, rifacendomi al sistema elettorale misto, è che, nel 1996, c’è una prevalenza del centro-destra anche se le elezioni le vince il centro-sinistra. Questo perché accadono due cose: la Lega Nord, che nel 1996 è un’area consistente (circa il 10%), non sta nella coalizione insieme al centro-destra, penalizzandolo – soprattutto sottraendogli i collegi uninominali -. L’altro dato, che vale sia per il 1996 che per il 2001, è il voto differenziale tra parte proporzionale e parte maggioritaria. Infatti, se mostrassimo i dati del maggioritario, avremmo dei risultati parzialmente diversi dovuti al fatto che, sistematicamente, i candidati del centro-sinistra guadagnano voti nei collegi uninominali rispetto alla parte proporzionale mentre, i candidati del centro-destra, perdono voti rispetto al proporzionale. Quindi, con differenziale anche abbastanza marcato, si ricava che: nel 2001 i candidati del centro-sinistra guadagnano nell’uninominale rispetto al proporzionale il 3,8% mentre i candidati del centro-destra perdono il 3,1%. C’è un differenziale che fa sì che il centro-destra vinca nel proporzionale in modo netto. Nel maggioritario, in realtà, c’è un piccolo divario dell’1%. Questo è un discorso che vale anche per tutti gli altri casi. Nell’uninominale, infatti, succedevano cose parzialmente diverse nelle due elezioni con sistema elettorale misto.
Con questo grafico ci spostiamo all’Emilia Romagna e confrontiamo il dato dell’Emilia R. con quello dell’Italia.
Il primo punto è che le aggregazioni, come al solito, sono quelle ampie del 2006. Si è ricostruita, perciò, la sede storica aggregando tutti i partiti dell’area del centro-destra e del centro-sinistra che fossero tecnicamente meno coalizzati in quella elezione. Il dato che emerge da questo grafico è che c’è una forbice favorevole al centro-sinistra che dal 1996 rimane ancora molto ampia fino al 2004 (20%); si assottiglia nelle elezioni del 2008 e nelle europee recenti dove il divario è del 10% – rispetto ad un 20% dell’inizio del periodo 1996-2004 -.
Qui confrontiamo i dati nazionali e regionali in Italia ed Emilia Romagna per le due aggregazioni di centro-destra e centro-sinistra. Per il centro-destra vediamo che il dato dell’Emilia R. è, ovviamente, sistematicamente peggiore rispetto al dato nazionale e non si segnala quella forbice che prima era evidente, cioè, non si percepisce un andamento né migliore né peggiore. Il dato nazionale è riflesso in modo abbastanza fedele a livello regionale. Nel 2009 c’è un ampliamento della forbice a favore del centro-destra emiliano. Per il centro-sinistra, invece, le cose stanno diversamente perché abbiamo fluttuazioni con una forbice ampia – in quanto il dato del centro-sinistra in Emilia R. è sistematicamente migliore rispetto a quello nazionale – nel 1996 (circa il 15%) che si assottiglia nelle ultime elezioni le quali vedono quasi scomparire la distanza tra il dato nazionale e quello regionale emiliano. Disaggregando il risultato del PD non si notano grandi distanze tra il dato nazionale e quello regionale – la distanza c’è ma è uniforme in tutte le elezioni -. Ad esempio, nelle elezioni del 2009 , il dato per il PD è penalizzante sia a livello nazionale che regionale in Emilia R.. Mi sembra di poter dire la stessa cosa per il PDL in cui ci sono fluttuazioni sia nel dato nazionale che regionale. Più interessante è, invece, l’ultimo grafico relativo alla Lega Nord circa l’esito aggregato di lungo periodo. Il dato allarmante per l’Emilia R. è che, per la prima volta nella storia elettorale italiana, la Lega Nord prende in tale Regione dei risultati migliori (11,1%) rispetto alla media nazionale. Così, l’Emilia R., diventa una zona di forza della Lega Nord.
Piergiorgio Corbetta
Nell’ambito dello studio svolto, ho creduto opportuno introdurre una lettura diversa del risultato elettorale concentrandomi sui flussi tra i partiti, cioè, sulla dinamica che ha condotto al risultato. Tutto ciò attraverso l’uso di stime statistiche. Il secondo elemento che differenzia metodologicamente gli interventi precedenti, è la variabile dell’astensionismo. Analizzerò , quindi, il passaggio elettorale tra le politiche dell’anno scorso e le europee di quest’anno. L’astensionismo, nelle dinamiche elettorali italiane ma in generale nelle elezioni di secondo ordine, solitamente aumenta nelle votazioni percepite come meno importanti. Nelle precedenti europee, rispetto alle politiche che erano venute prima di queste ultime, la differenza di partecipazione elettorale era stata, nel 1999 e nel 2004, di circa 10 punti. Così, noi studiosi, ci aspettavamo che avrebbe partecipato al voto circa il 70% degli elettori. Invece, è stato soltanto il 66,5%. Il fenomeno dell’astensionismo,è stato più accentuato di quanto avremmo potuto attenderci: 3,5 punti % in più in un solo anno!
Se si guarda al risultato elettorale, l’esito delle elezioni europee confrontate con quelle politiche dell’anno scorso in % sui voti validi, – quindi non considerando l’astensionismo – il primo dato che emerge è quello di una sostanziale staticità. Questa è stata la prima analisi rilevata dall’Istituto Cattaneo. Infatti, l’area di centro-destra ha preso, sia nel 2008 che nel 2009, il 55,5% dei suffragi; l’area del centro-sinistra addirittura è avanzato di un punto %. Quindi, ad una prima lettura tutto sembra essere rimasto fermo, ma le cose non stanno così. Chi fa politica si preoccupa dei voti validi che, alla fine, sono quelli che contano negli equilibri tra i partiti. Invece, in una visione più preoccupata – non della relazione tra i partiti ma attenta al rapporto dei partiti con l’elettorato – bisogna guardare anche all’astensione. Sui voti validi tutto sembra essere rimasto uguale tra le elezioni politiche del 2008 e le europee del 2009. Infatti, se il centro-sinistra perde 5 punti su elettori verso l’astensione ed il centro-destra ne perde 10 verso l’astensione – ma 5 sul centro-sinistra -, alla fine ne consegue che gli equilibri sono rimasti uguali: entrambi hanno perso 5 punti %, ma risulta che il saldo di voti è rimasto identico perché c’è stata una dinamica compensativa.
In Italia si è verificata, però, una dinamica diversa. Abbiamo studiato 12 grandi città (Torino, Milano, Brescia, Verona, Padova, Reggio Emilia, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Reggio Calabria e Catania) ed abbiamo fatto una stima sulle singole sezioni e, per fare ciò, è necessario avere degli aggregati compatti con tante sezioni quante sono le città stesse. Sono state scelte queste aree sulla base della disponibilità dei dati elettorali che, non tutti gli uffici elettorali, ci hanno dato. Va precisato che sono flussi elettorali nelle zone urbane. La dinamica che ho menzionato prima, si è verificata in 5 su 12 città: il centro-sinistra ha perso verso il centro-destra; il centro-destra ha perso pesantissimamente verso l’astensione (12 punti % sugli elettori) e il centro-sinistra ha, invece, perso molto meno verso l’astensione.
In Sicilia e in Sardegna c’è stata una vera emorragia di voti in quanto, il tasso dei votanti, è sceso sotto il 50%. A Catania ¼ dell’elettorato di centro-destra è rimasto a casa. Allo stesso tempo, questa perdita è stata compensata per 1/3 da voti che, dal centro-sinistra, sono andati al centro-destra. Invece, come già detto, il centro-sinistra, ha perso meno verso l’astensione tant’è che alla fine l’equilibrio tra i due si compensa, ma il significato politico è diverso. Il calo non ha investito tutte le aree con la stessa intensità ma ha colpito, soprattutto, il PDL. Dai grafici complessivi degli svolgimenti cittadini, si individuano le dinamiche dell’astensione Nel nord vediamo che i flussi verso l’astensione del PDL sono grandissimi: circa il doppio di quelli del PD. Tutti i partiti perdono verso l’astensione, ma più di tutti l’attuale maggioranza di Governo. A Bologna, il PDL non ha perso molto e la situazione è rimasta più statica. Gli unici che guadagnano un pò dall’astensione, sono i partiti della Sinistra Radicale. A Firenze il PDL perde quasi 6 punti % ed il PD solo 1,4%. Nel sud ci sono enormi perdite del PDL verso l’astensione ed anche a Roma. All’inizio ci si aspettava che il PD perdesse molto verso l’astensione perché c’era una situazione di demoralizzazione, poi ci si aspettava che perdesse verso l’IDV e verso i Radicali che si sono presentati da soli, ma non era messo in conto che perdesse anche verso il centro-destra. A Torino, per esempio, c’è un forte flusso verso l’UDC. Queste sono stime statistiche ma, il modo migliore per capire i flussi, sono le interviste che si fanno al di fuori del seggio, subito dopo il voto, per verificare come cambia il voto nel tempo. Ad est, le perdite del PD ci sono un pò ovunque. A Brescia c’è una perdita anche verso la Lega; a Padova verso la Lega e l’UDC. In Emilia R. c’è una perdita del PD verso la Lega che è molto significativa e, al centro-sud, una flessione verso il PDL (Roma, Reggio, Napoli e Catania).
Inoltre, sono emersi altri tre elementi interessanti. Un flusso di voti dal PDL verso la Lista Pannella-Bonino – probabilmente si tratta di elettori originariamente Radicali che non avevano accettato la loro affluenza nel PD nel 2008 e che avevano votato PDL e, quando i Radicali si sono presentati autonomamente, sono tornati -. Seconda tendenza minore: gli unici partiti che acquistano qualche voto dall’astensione sono quelli della Sinistra Radicale e questo avvenimento è presente in 6 città su 12. Forse si tratta di un fragile elettorato che si era astenuto nelle elezioni del 2008. L’ultimo elemento da considerare è che, l’UDC, funge da interscambio fra PD e PDL. Un meccanismo interessante si è sviluppato con lo spostamento al centro dell’UDC, che ha fatto perdere voti sia alla sinistra che alla destra. Due considerazioni finali. In un’elezione di secondo ordine, ci si aspetta che i partiti principali perdano elettorato marginale identificato sia verso l’astensione sia di libera uscita dalla stessa area politica. Quindi, il fatto che il PD abbia perso voti soprattutto verso l’area politica, rappresenta l’emergere di una profonda crisi d’identità politica da parte del suo elettorato. Quanto alle perdite del PDL verso l’astensione, questo evidenzia una fragilità rilevante del consenso al partito che non appare sufficientemente consolidato.
Gianluca Passarelli
Partendo dai dati che abbiamo a disposizione, è di notevole interesse concentrarsi sulla distribuzione territoriale del voto ai vari partiti in Emilia Romagna. La prima fase, è quella di guardare il contesto geografico in cui si muove il PD dal 2006 al 2009, cioè il periodo in cui è maturata e si è consolidata la nascita del PD. Le classi sono costruite affinché possano essere comparate in maniera diacronica tra varie elezioni. Nelle politiche del 2006, è evidente la forza del PD nelle zone c.d. rosse (Emilia R., Toscana, Marche, Umbria) con difficoltà al nord, in Sicilia e nel resto del sud ma con qualche eccezione. Nel 2008 il PD, rispetto al 2006, si consolida e si estende nelle aree già a forte insediamento, con delle punte anche al nord e al sud. Nel 2009, il PD, è stato definito da Lazar come una sorta di partito regionale. Si noti che nelle zone storicamente rosse c’è una contrazione non solo geografica – il PD non è più il primo partito nelle Marche e nell’Umbria – , ma proprio di intensità. Adesso il PD si colloca, rispetto al passato, solo sulla dorsale appenninica. Questo è il quadro del PD a livello nazionale. In Emilia R. – anche in questo caso le classi sono costituite per essere comparabili tra più elezioni – l’analisi è fatta sulle Province e sui 341 Comuni in essa presenti. Il PD, nel 1996, risulta avere difficoltà nel piacentino e nel parmense, nelle zone collinari, nel forlinese e nel riminese. Nel 2001 c’è un certo avanzamento di intensità del PD soprattutto nelle zone collinari, però, c’è una percentuale di perdita nelle aree urbane di Bologna e Modena. Nel 2006 ancora un buon risultato nel parmense e poi il consolidamento nelle aree urbane. Nel 2008 la situazione è sostanzialmente uguale a quella del 2006 con un ulteriore avanzamento nelle zone in cui il PD era più debole: Piacenza e Parma soprattutto. Nel 2009 si torna al 1996 per quanto riguarda l’avanzamento geografico. Nell’area PD–centro si evidenzia un arretramento sia geografico che di intensità.
Il PDL è in qualche modo speculare al PD: nel 1996 più forte nel piacentino, nel ferrarese, forlinese e nel riminese. Nel 2001 c’è un ulteriore rafforzamento a Piacenza, Parma, Forlì, Rimini e scende a valle verso Cesena, Modena, Bologna e Reggio E.. Nel 2006 c’è una contrazione rispetto al 2001 in particolar modo nel piacentino e nel reggiano. Nel 2008 il PD perde ulteriormente voti rispetto al precedente insediamento. Nel 2009 il PD va male nel reggiano, piacentino e parmense ma, il PDL, non va così bene come nel 2001 soprattutto nel reggiano e nelle aree urbane di Bologna e Ferrara. Per quanto riguarda la Lega Nord, si fa un’analisi per area geografica e per partito in un periodo di tempo stabilito. Una prima frattura territoriale, che troviamo costante, è che invece di avere una frattura nord-sud, ne abbiamo una ovest-est. Guardando Bologna è eclatante che, dal punto di vista amministrativo della Provincia, nel 1996, la Lega è al di fuori di questo contesto. Nel 2001 la Lega ha una distribuzione geografica territoriale sostanzialmente omogenea con qualche punta avanzata nel piacentino e nel modenese, ma sono casi che possono essere ascritti anche a questioni locali. Nel 2006 si presenta, in maniera meno intensa che nel 1996, l’avanzamento della Lega nel piacentino, nel parmense e nelle colline modenesi. Nel 2008 il colore diventa più denso ma Bologna ancora resiste. Nel 2009 la Lega è alle porte con un suo eccezionale consolidamento. Per quanto riguarda l’IDV nel 1996 non c’è; nel 2001 è esteso in tutto il territorio regionale; idem nel 2006. Nel 2008 il centro propulsore dell’IDV si sposta dal piacentino al bolognese – comunque un voto sostanzialmente urbano – e nel 2009 cresce omogeneamente sotto l’aspetto territoriale, con un avanzamento nelle classi percentuali. Nel 2006, la Sinistra Radicale non ha un andamento significativo dal punto di vista territoriale se non nel parmense, comacchio e forlinese. Nel 2008 raggiunge il suo valore storico più basso e nel 2009 c’è un piccolo recupero che può essere ascritto al problema precedentemente esposto dal Prof. Corbetta. Con riferimento all’UDC, nel 1996 c’è un vuoto che si concentra nelle zone collinari rispetto alle aree urbane di Modena e Bologna. Nel 2001 perde d’intensità ma mantiene le sue roccaforti; nel 2006 cresce dove già era forte; nel 2008 perde su tutto il fronte nord-orientale e, nel 2009, il dato politico non cambia però, questo partito, riesce ad estendersi a valle rispetto al 2008.
Bisogna fare, però, anche un’analisi che ha ad oggetto l’antagonismo Veltroni vs Berlusconi. Nel 2008, il dato di maggiore intensità si riferisce allo schieramento sostenuto da Veltroni. Nel 2009 c’è una perdita nel piacentino e nel parmense ma è da segnalare un minore vigore dal punto di vista politico-elettorale, accompagnato da una contrazione geografica. Per quanto riguarda lo schieramento che sosteneva Berlusconi nel 2008, analizzato dal 1996 in poi, si nota che ci sono zone a maggiore intensità come piacentino e parmense – in particolare nel 1996 -. Nel 2001 si consolida; nel 2006 perde un pò nel bolognese e nel reggiano. Nel 2008, in cui vince le elezioni, torna ad affermarsi e nel 2009 vediamo ancora Piacenza e Parma da ascrivere all’avanzata della Lega di cui si è detto in precedenza.
Per quanto riguarda i grafici successivi, si evidenzia: il centro-sinistra nella sua massima estensione; i differenziali di voti tra il centro-sinistra ed il centro-destra. Per il 2009 vediamo come il saldo sia positivo per il centro-destra anche in zone del modenese nelle quali, in precedenza, non era presente. Poi, troviamo la differenza di voti Veltroni vs Berlusconi. Tornando al grafico del 2009, si nota che le zone bianche indicano una situazione di equilibrio, le zone blu un aumento del voto di centro-destra sul centro-sinistra; il rosso indica la prevalenza del centro-sinistra sul centro-destra.
Salvatore Vassallo
Due sono i dati che possono riassumere il significato complessivo dell’esito di queste elezioni 2009. Infatti, il risultato va spiegato anche tenendo conto delle dinamiche europee. Da qui derivano due tendenze piuttosto chiare che, in parte, spiegano il risultato italiano. La prima è la contrazione molto forte di tutte le componenti di centro-sinistra ed in particolare dei partiti che aderiscono al Partito Socialista Europeo. C’è una tendenza abbastanza lineare dal 1989 sino ad oggi al comprimersi dell’area del centro-sinistra ed una crescita del centro-destra. La seconda tendenza è ciclica. I grandi partiti tendono a perdere voti quando si passa dalle elezioni per il parlamento nazionale alle europee. Questo accade perché, nelle politiche, c’è una maggiore propensione a votare per i partiti più grandi – che esprimono anche i candidati alla guida del Governo – mentre, alle europee – svolte con sistema proporzionale – c’è una tendenza degli elettori a spostarsi dai partiti più grandi a quelli più piccoli. E questo, a prima vista, sembrerebbe sufficiente a spiegare il risultato del 2009 almeno in confronto con il 2008 poiché, se si guardano gli aggregati, il peso dei blocchi politico-elettorali di centro destra e di centro-sinistra, assumono varie configurazioni: sia quella stretta Berlusconi-Veltroni, che quella ampia del 2006 in cui i blocchi elettorali del Governo, nel loro complesso, sembrano equivalenti. Ciò significa che, i blocchi registrati nel 2009, sembrano pesare quanto quelli del 2008 con la solo differenza che, secondo quanto ci saremmo potuti aspettare con un andamento ciclico per le politiche, i partiti grandi perdono voti a favore di quelli piccoli. La cosa molto interessante che viene fuori da questi dati è che, al di sotto della stabilità complessiva dei blocchi, ci sono elementi molto significativi che ci dicono due cose: la prima è che c’è una crisi d’identità del PD – che fa perdere voti in tutte le dimensioni – e c’è, poi, una crisi di fiducia personale nei confronti del Primo Ministro che colpisce il PDL ed ha, come effetto, un flusso consistente di elettori che passano all’astensione. La prima è oggi più profonda e più seria della seconda che potrebbe essere l’inizio di una caduta verticale, così come potrebbe essere una passeggera pausa di riflessione. Ma non facciamoci troppe illusioni. Non possiamo certo cullarci nell’idea che, venuto meno Berlusconi, tutto il centro-destra si sfarini come un castello di sabbia. Il centro-destra e il suo elettorato sono cementati da un insieme di temi (tasse, immigrazione, antipolitica), orientamenti di politica pubblica che oggi vanno quasi tutti nella direzione di un ritorno allo stato dirigista, di interessi, mentalità, da un insieme di luoghi comuni (la cultura del fare contro le chiacchiere) e di pregiudizi condivisi. Inoltre, il controllo sull’informazione non verrà meno con l’eventuale uscita di scena personale di Berlusconi.
L’astensione, pertanto, può essere un fatto temporaneo ma, potrebbe anche essere, l’inizio di una frana. L’eventualità per il centro-sinistra, di avere nuovamente un ciclo elettoralmente positivo è ipotecato dal fatto che, al momento, non c’è un’alternativa credibile. La ragione di questo è che abbiamo passato troppo tempo a preoccuparci di problemi interni che non abbiamo mai risolto. Abbiamo parlato poco dei fatti che interessano tutti i cittadini, perdendo credibilità su temi quali la riforma del Welfare, la sicurezza e l’integrazione, la lotta agli sprechi nelle amministrazioni pubbliche, la limitazione dei costi ingiustificabili degli apparati politici, la promozione del merito, la limitazione delle disuguaglianze intollerabili, la stabilità economica e l semplificazione della vita di chi lavora 12 ore al giorno per far andare avanti il tessuto delle nostre piccole e medie imprese.
Siamo stati, invece, molto concentrati su aspetti che non rappresentano il modo giusto per comunicare con i cittadini (regole interne, sistemi di alleanze, collocazione internazionale del PD, definizione astratta della laicità del partito e delle istituzioni). Così, la nostra discussione interna, è stata sovradimensionata e portata avanti per troppo tempo, perdendo plausibilità sui temi che sono più vicini alle persone. Siamo partiti col piede sbagliato perché non siamo riusciti a risolvere tali questioni con nettezza. C’è un grafico interessante che ci fa capire quando è emerso il problema tra il centro-sinistra e l’elettorato. Il dato significativo da riportare, riguarda le elezioni che si sono svolte nel 2007 in 7 province (per il rinnovo degli organi provinciali). Queste hanno sempre votato in modo molto simile al resto dell’Italia. In quelle Province, tra il 2001 ed il 2006 l’area riconducibile al PD ha sempre avuto intorno al 30% dei voti. Più o meno quello che è capitato nel resto dell’Italia. Possiamo quindi assumere che se il resto del Paese avesse votato nel 2007, gli esiti sarebbero statti più o meno simili a quelli registrati nelle Province in questione. Ebbene in quelle sette province l’area PD ha perso nel 2007 otto punti percentuali. Lo stesso è accaduto recuperati in riferimento a tutto l’aggregato del centro-sinistra. Dovremmo quindi dirci con franchezza se i problemi che oggi abbiamo nei confronti dell’opinione pubblica sono nati perché abbiamo costituito il PD o se c’erano prima e abbiamo in qualche modo provato a risolverli con la sua nascita. I dati a disposizione, sembrano dimostrare che questo problema è emerso prima che il PD nascesse per cui, le aspettative che ci erano state rivolte per effetto della crisi del centro-destra, sono precipitate nel 2008 ma sono state, comunque, superiori rispetto al crollo del 2007. Il nostro problema è se tornate all’Unione o tornare all’Ulivo.
Personalmente credo che al momento della costituzione del PD sia stato troppo attenuato, sul piano simbolico, il legame all’unica cosa intorno alla quale il centro-sinistra si è trovata insieme con convinzione: l’Ulivo. La nascita dell’Ulivo è stato il momento in cui siamo apparsi più convincenti verso il Paese perché abbiamo espresso in maniera credibili alcuni valori e indirizzi precisi: sobrietà dei comportamenti anche privati di chi fa politica, moralità nell’uso delle risorse pubbliche e nell’esercizio del potere di governo, risanamento finanziario, fiducia nel progetto europeo e conquista di credibilità in Europa, riforma del Welfare, flessibilità del mercato del lavoro e garanzie, laicità matura che non misconosce il ruolo anche pubblico delle convinzioni religiose, senso di riconoscenza per chi viene in Italia e porta vitalità e lavoro, politiche per l’integrazione dei nuovi italiani. Il partito democratico è l’evoluzione dell’Ulivo. Il partito democratico è o doveva essere l’Ulivo diventato partito grazie al contributo di tutti, nessuno escluso. Un partito! È un problema soprattutto di immagine del progetto del PD che avrebbe dovuto forse mantenere un legame molto più forte con l’esperienza dell’Ulivo. È questo che ci interessa recuperare, non l’Unione. Dobbiamo anche ricordare che ci sono state due visioni diverse dell’Ulivo che, nel corso degli anni, si sono confrontate: l’Ulivo come soggetto che sarebbe dovuto diventare baricentro, motore e timone riformista del centro-sinistra, e l’Ulivo concepito come una coalizione di partiti che si accordano per affidare a un soggetto super parte (dunque per definizione non leader di uno di quegli stessi partiti) il ruolo di Primo Ministro. In realtà, il PD nasce come sviluppo della prima concezione dell’Ulivo, per diventare guida dell’alleanza di centro-sinistra. Un altro aspetto che chiaramente ci interessa, è quello di avere un partito federale, che fa scelte differenziate a seconda del contesto e che è capace di ascoltare le richieste specifiche del territorio.
Sono convinto che la discussione ci aiuterà ad elaborare idee più precise ed anche a cominciare a fare della fase congressuale, non tanto un’occasione per contarsi quanto per ragionare su come costruire un partito in grado di rispondere alle domande che provengono dalla società. Questa è la vocazione maggioritaria. Un’ambizione semplicemente ovvia per un grande partito riformista. Un’ambizione senza la quale un grande partito riformista non ha senso di esistere.
Giuseppe Paruolo
Ho sempre percepito una certa ritrosia nel fatto che ci fosse una ciclicità in tutto questo sistema: Unione – Ulivo – PD. Provo a riassumerla. Nel 1994 si presentano gli schieramenti senza un’unità nel campo del centro-sinistra e vince le elezioni Berlusconi. Nel 1996 c’era unità nel centro-sinistra senza una corrispondenza nel centro-destra perché la Lega corre da sola così riusciamo a vincere le elezioni e Prodi va al Governo. Nel 1997-98 succede che Rifondazione abbandona il Governo e si verifica una forte reazione rispetto all’ingovernabilità che ciò ha determinato; passa l’idea che è meglio andare da soli ma con un progetto di governo forte. Nel 2001 ci presentiamo con una proposta solida ma perdiamo le elezioni e, subito dopo, torna l’idea di dover andare in senso ampio, allargato (riferito all’Ulivo, che era una coalizione, e non al PD). Così, nel 2006, vinciamo le elezioni tutti insieme ma, immediatamente dopo, i problemi nella coalizione evidenziano ancora una capacità di deludere rispetto alla coalizione del Governo. A questo punto, in un’altra forma, si ripropone la stessa questione e perdiamo le elezioni del 2008. Ho la sensazione che il nostro dibattito segua esattamente i cicli e, appena vinciamo le elezioni con una coalizione ampia, si prospetta il problema di come riuscire a tenerci collegati e poi, quando le perdiamo, pensiamo di dover essere più inclusivi. È essenziale chiarirsi su questo punto per avere coerenza nell’azione politica.
Silvia Zamboni
Valutando i dati prima menzionati, mi piacerebbe sapere se, i confronti, sono disponibili anche con i voti assoluti oltre che con quelli in % . Questo, infatti, ci darebbe delle indicazioni migliori anche sull’aspetto psicologico. Poi, sarebbe interessante sapere se l’analisi dei flussi elettorali comprende, altresì, un’analisi qualitativa. Cioè: cosa cerca la gente che abbandona il PD? O Su che cosa è scontenta quando preferisce non andare a votare? L’ultimo aspetto riguarda l’osservazione di aver abbandonato l’idea dell’Ulivo. Io non faccio parte dei due partiti fondatori dell’Ulivo (La Margherita e i DS), vengo da un’altra esperienza ma ho accettato un incarico a Bologna come Presidente dell’Ulivo proprio per l’esistenza della sua ala protettiva; quindi sottoscrivo le affermazioni di Vassallo. Il dato negativo che emerge, è quello di un mancato mescolamento culturale. Quindi, la fusione a freddo che si voleva evitare, alla fine è avvenuta a livello di burocrazia di partito e non a livello di fusione delle culture. Inoltre, le tematiche ambientali dentro il PD non sono ancora sufficientemente valorizzate. Bisogna che la green-economy decolli. I dati ambientali proposti dall’ARPA di Bologna sono allarmanti. Questi temi, dato che incidono sulla qualità della vita delle persone, sono certa che incidano anche nell’urna elettorale e fino a quando il PD non darà un’idea di innovazione non ci sarà ricrescita politica.
Piergiorgio Corbetta
Una precisazione. Quando ragioniamo in % degli elettori, è come se ragionassimo sui valori assoluti. Sul sito dell’Istituto Cattaneo si trovano tutte le variazioni in valori assoluti. Così si vede che il PD, tra il 2008 ed il 2009, ha perso 4 milioni e 100 mila voti; il PDL ne ha persi 2 milioni e 900 mila. 1/3 dei voti persi dal PD appartengono a persone che lo hanno votato nel 2008 e poi non lo hanno più votato (una persona su tre) alle europee del 2009. Questo a livello nazionale. A livello dell’Emilia R., il dato scende ad ¼: il 23,5% . Cioè, il PD, ha perso 300 mila voti. Per quanto riguarda l’analisi qualitativa, non ci sono in circolazione dati di questo tipo perché hanno un costo elevato e nessuno finanzia questi studi.
Sen. Walter Vitali
Non vorrei che ci fosse la tendenza a sfuggire ad una discussione seria e libera sull’ analisi del voto. Dobbiamo portare avanti un dibattito che analizzi esclusivamente le esigenze della società. “Il Regno” ha pubblicato un articolo in cui l’esito del voto viene letto come se ci fossero state due sconfitte: da un lato un PD che non riesce a consolidarsi e dall’altro il PDL che inizia ad incrinare la propria forza. Sull’Emilia R., il dato politico rilevante, è che il differenziale del voto tra centro-destra e centro-sinistra si è molto ridotto. Basti pensare all’avanzamento della Lega considerando alcune questioni come il lavoro, la sicurezza e l’immigrazione. I cittadini, infatti, individuano nella Lega un sindacato per risolvere detti problemi sociali; infatti, negli anni scorsi in Emilia R., questo partito non era radicato come oggi. L’errore più grande sarebbe quello di guardare al 2010 con l’occhio di sempre. Dobbiamo insistere sul mantenimento di un certo livello di tutela sociale e di Welfare, senza pensare di fare un’alleanza con l’UDC perché, l’Emilia R., è la Regione rossa per eccellenza. Tale Regione stenta ad assumere il ruolo che, ad esempio, ha la Lombardia per il centro-destra. Ogni territorio è giusto che assuma delle diversità, rispetto alle altre, per la gestione di temi importanti. Questo dovrà emergere a livello congressuale.
On. Donata Lenzi
Il rischio da evitare è quello del settarismo. Così si provocano le scissioni e si perdono i voti. Bisogna, invece, moltiplicare le occasioni di discussione e di confronto. Non condivido molto della valutazione che riguarda il perché della sconfitta. Dovremmo capire come mai il crollo del PD dal 51% al 46% si è verificato in un solo anno. Vanno considerati degli aspetti complessivi come il crollo europeo della sinistra ed una difficoltà nostra sia a livello nazionale che regionale. Questi elementi, però, devono tenersi distinti. Nella discussione dobbiamo concentrarci su temi diversi dalle regole interne del PD (gli Statuti ad esempio) perché, altrimenti, rimarremo fermi. La nostra situazione è grave. Attualmente, su ogni tema rilevante socialmente, vince il centro-destra. La relazione lavoro-immigrazione è molto importante e non va sottovalutata. Molti si spostano verso il centro-destra perché non si sentono protetti da noi. Inoltre, non riusciamo a trovare una strada definita sui temi della tutela del lavoro. La terza questione è quella della buona amministrazione. Un tempo questa era la nostra caratteristica. Dobbiamo fare una politica di partita che premi chi vale sul territorio; è quello che fa la Lega. La qualità dell’amministrazione deve tornare ad essere per noi un punto centrale, altrimenti non ci riusciremo a risollevare.
Sen. Paolo Nerozzi
Sarebbe interessante che l’analisi sui flussi elettorali venisse fatta anche sui ceti sociali. Il lavoratore dipendente privato non vota più per la sinistra in quasi tutta l’Europa, tranne che in Grecia ed, in parte, in Spagna. Anche nel nostro Paese, il lavoro dipendente vota a destra e, spesso, l’estrema destra ed i partiti xenofobi. Questo fenomeno è nato nel 1992 ed ha avuto vari flussi. Si è fermato due volte: nel 1996 e nel 2006 e, nel 2008-09, ha avuto un’accelerazione molto forte verso la Lega. Su questo evento incidono molte questioni oltre alla sicurezza del lavoro come il fatto che questo, nel nostro Paese, non conta più da quando si è conclusa l’esperienza dei grandi partiti di massa. Allora, quanto conta il lavoro sia nella sua forma indipendente che dipendente? Bisogna costruire dei riferimenti su questa valutazione. I risultati elettorali sono preoccupanti perché incidono negativamente proprio sul lavoro. Bisogna valutare le condizioni materiali dei lavoratori, gli elementi di innovazione ed anche la condizione della crisi in cui ci troviamo e che produce molta disoccupazione. Mi sembra che il dibattito su questi punti sia quasi assente. Come è stato già evidenziato, abbiamo un serio problema nella P.A.. L’ultima considerazione è che sono rimasto impressionato del dato che esponenti del sindacato votano centro-destra e Lega. C’è una rottura tra rappresentanza sociale e rappresentanza politica che va studiata e compresa. Dovremmo fare, quindi, una riflessione sui contenuti che proponiamo sia a Roma che a Bologna.
On. Giulio Santagata
Dopo la crisi credo che il lavoro, i beni di consumo e le imprese torneranno ad essere come li abbiamo conosciuti. Il tempo dovrà farci migliorare in questi settori a fronte di un maggiore impegno da parte del partito a realizzare coesione sociale perché, in questo modo, aumenta la competitività e la dinamicità. Se saremo in grado di farlo, allora potremmo tornare a vincere. Noi, infatti, non siamo sconfitti per natura, ma è un problema che non possiamo risolvere solo con l’organizzazione di partito e con la leadership. Infatti, l’organizzazione del partito è utile al radicamento territoriale, ma questo è un’altra cosa: la capacità del partito di riconoscere e dare spazio e dignità all’autorganizzazione autonoma di parti della società.
Luca Foresti
Quello che si evince dall’esito elettorale, è una classe dirigente stanca che non riesce più ad intercettare le esigenze sociali. La classe politica che abbiamo è inadeguata. Inoltre, i giovani non votano più PD. Il nostro problema non sono le idee del partito, non sono tanto i contenuti ma i soggetti. Nel prossimo Congresso, infatti, si presenteranno persone che sono in politica già da 20 anni. Il problema è: come fare a ricostituire la classe dirigente? Ci sono due strade: la prima è che il ceto dirigente in questione faccia un passo indietro, senza scomparire, ma creando le condizioni per innovarsi. Ma questo è utopico. La seconda possibilità è che la nuova classe dirigente, senza bussare alla porta, la sfondi direttamente. In tali circostanze, il gruppo dirigente si sente toccata e reagisce in maniera scomposta. Se abbiamo le persone sbagliate con le idee giuste faremo sempre male; se abbiamo le idee giuste e le persone giuste faremo benissimo; se abbiamo le persone giuste e le idee sbagliate, dopo un pò di tempo quelle persone cambieranno le loro idee. Questo è il paradigma verso il quale un partito democratico moderno dovrebbe andare.
Pilotti
Siamo in pieno dibattito congressuale ed io sostengo la terza candidatura che è quella di Ignazio Marino. Questo perché non vogliamo più vedere lo stesso film. Sulla base delle dinamiche e delle alleanze passate ed attuali della sinistra e di molti politici, che tutt’ora gravitano intorno al PD, mi chiedo quale sia la politica. Il tema delle alleanze non è la politica. Marino è un soggetto che si è costruito al di fuori della politica, nella società civile. Inoltre lui rappresenta la pluralità del PD perché è un cattolico che ha fatto una battaglia laicista e questo fa la differenza.
Dal punto di vista strettamente politico, non possiamo pensare che la questione della fiscalità identifichi esclusivamente la Lega. E questo vale anche per altri temi. Non dobbiamo andare al Congresso per inerzia. Non dobbiamo scadere nell’antipolitica.
Bastico
L’interessante analisi del voto propone alcuni dati di grande criticità e preoccupazione, sia a livello nazionale, sia regionale: l’aumento consistente dell’astensionismo tra gli elettori PD; il calo enorme in valori assoluti dei voti PD rispetto alle Politiche 2008; la perdita di voti non solo verso l’astensionismo, ma verso tutte le forze politiche. D’altro canto, chi ha fatto campagna elettorale sui territori ha percepito con grande chiarezza il distacco e l’indifferenza di intere fasce sociali nei confronti del PD: operai e i soggetti più deboli, ceti produttivi, giovani.
Ho avuto più volte la sensazione che il PD, anche in Emilia-Romagna, sapesse parlare solo al proprio elettorato tradizionale – sempre più esiguo – non riuscendo a conquistare soggetti nuovi. Non c’è alcuna consolazione nei risultati elettorali dell’Emilia-Romagna rispetto a quelli nazionali: c’è lo stesso trend, le stesse dinamiche di dispersione del voto PD a 360°, un allarmante avvicinamento del risultato del centro sinistra dell’Emilia-Romagna a quello nazionale (46,4% regionale rispetto al 44,1% nazionale) in rapporto a divari che nelle precedenti elezioni andavano dagli 8 ai 15 punti percentuali. L’Emilia-Romagna, dove il centro sinistra è tradizionalmente più forte, non può assolutamente accontentarsi di seguire il trend nazionale, magari consolandosi per qualche piccolo vantaggio percentuale.
È giusto analizzare dettagliatamente il voto, discuterne, per individuare con rapidità le strategie del cambiamento. Mi rammarico che ciò non sia stato fatto ancora nelle sedi politiche preposte, le direzioni provinciali e regionali. Queste valutazioni non sono contro qualcuno, ma unicamente volte a costruire il PD di cui ha bisogno il Paese e per prepararci adeguatamente alle elezioni regionali 2010.
Ci sono enormi potenzialità davanti a noi per ragioni di carattere politico, economico e sociale. La fiducia nei confronti del Premier Berlusconi è in forte calo, come è evidenziato dall’alto astensionismo dei votanti PDL, ma il PD non ha mostrato la credibilità capace di attrarre quegli elettori delusi. È vero, inoltre, – come ha sottolineato Santagata – che sono risultati “perdenti” i cardini su cui si basa il tessuto economico e sociale dell’Emilia-Romagna: lavoro e impresa; il sistema dei servizi è vissuto, da un lato come acquisizione definitiva, quindi non più da conquistare, dall’altro è considerato insufficiente e “minacciato” da una domanda elevata e concorrenziale degli immigrati; ma è altrettanto vero che dopo questa gravissima crisi non sarà possibile tornare alla situazione precedente, magari partendo da un punto più basso. Se impresa e lavoro – sostenuti da forti investimenti sulla formazione e sui saperi – torneranno ad assumere – come auspico – un ruolo centrale nel sistema regionale e nazionale, sono convinta che non potranno essere il medesimo tipo di imprese e il medesimo lavoro. Così sarà necessaria una ridefinizione del sistema del Welfare. Si determineranno cambiamenti profondi, con nuovi e più avanzati equilibri sociali, ambientali e culturali (multiculturalismo): è di questi processi che le istituzioni regionali e locali e il PD dovranno essere promotori e accompagnatori, non semplici spettatori, anche superando alcune tendenze a un rassicurante conservatorismo. È questo il grande spazio politico e sociale non ancora adeguatamente coperto dal PD: il Congresso, pertanto, deve avere questo obiettivo e deve individuare un progetto politico coerente e un programma di governo credibile e convincente, a livello nazionale e regionale, accompagnato da un forte radicamento territoriale dell’organizzazione del partito e da criteri ed obiettivi di selezione di una innovata classe dirigente. Radicamento non significa semplicemente una modalità organizzativa, ma è dato dalla presenza di persone del PD impegnate e partecipi, quali referenti organizzativi nei quartieri, nelle scuole, negli ospedali, nelle Università, nei luoghi di lavoro, capaci di ascoltare, discutere, comprendere e proporre, in una parola di coinvolgere. Penso ai circoli territoriali e ai luoghi di lavoro diretti da gruppi dirigenti che hanno la capacità e la passione di ascoltare, di proporre e sperimentare ed abbiano credibilità. È in questi luoghi e nelle istituzioni pubbliche, quali i quartieri, i consigli e le giunte comunali, che si formano i nuovi dirigenti: conosco tantissimi segretari di circolo, componenti dei comitati di circolo, assessori e sindaci bravissimi, che hanno queste caratteristiche e che stanno svolgendo esperienze di grande valenza formativa. Il PD deve saperli valorizzare e non disperderli, perché questa è la sua unica possibilità di radicamento e di innovazione della classe dirigente. I nuovi dirigenti non si incrociano casualmente per strada; si sperimentano e si dà loro la possibilità di formarsi e di avere opportunità di percorso politico. Un partito radicato nel territorio è necessariamente federale, per valorizzare le specificità territoriali e regionali, pur in un quadro di unitarietà nazionale. Tutto ciò deve essere fatto con grande lucidità e rapidità: il riferimento per misurare il futuro del PD e la sua credibilità per il governo sono le elezioni regionali del 2010. Il Congresso è la tappa decisiva per l’identità del PD, come partito riformista di governo, capace di affrontare il futuro.
Sen. Rita Ghedini
Alla domanda “com’è andata?” alla Elezioni Europee ed alla Elezioni Amministrative, in Italia e in Emilia Romagna, i dati proposti ed analizzati dall’istituto Cattaneo mi portano a rispondere: “non bene, anzi male”. Certo, avevamo forse dentro di noi aspettative anche peggiori e, certo,in Emilia Romagna abbiamo tenuto la maggior parte delle Amministrazioni e abbiamo tenuto Bologna, ma con riferimento alla quantità di consensi raccolti nelle due competizioni dai diversi partiti in rapporto al PD, l’unico elemento relativamente positivo è un elemento “passivo” rispetto all’azione del PD medesimo, cioè l’arresto della crescita del PDL. Non voglio analizzarne qui le motivazioni, che sono certamente varie (diminuzione della credibilità personale del premier, effetto “fondazione” del nuovo partito [NB: il PD sembra essere stato l’unico partito ad andare in controtendenza alla sua fondazione], “secondarietà” della competizione UE, etc). Resta il dato rilevante della “perdita” di numerosi territori amministrati dal Centro Sinistra, alcuni e significativi anche nella nostra Regione. Si dice che “si è ristabilito un equilibrio” dopo un risultato, quello del 2004 “anormalmente” positivo. A me non sembra che sia così: l’analisi dei numeri che ci è stata proposta, e la loro distribuzione “sulla carta geografica” nella nostra regione (impressionante l’avanzata da ovest ad est della Lega!) collocano per noi il risultato complessivo di questa competizione elettorale, al netto delle oscillazioni, all’interno di una tendenza che evolve chiaramente in senso negativo.
Le oscillazioni positive di questa curva, nel periodo considerato (1996-2009), in particolare in Emilia Romagna, si collocano nella fase di “costruzione” dell’offerta elettorale di nuove aggregazioni/soggetti nell’area del Centro Sinistra: il consenso cresce relativamente in corrispondenza alla proposta dell’Ulivo, dell’Unione e, infine, del Partito Democratico, per poi calare nelle fasi successive, siano esse di esercizio di governo o di opposizione, come quella presente. Forse un po’ semplicisticamente, si potrebbe dire che i progetti delle forze aggregate del Centro Sinistra hanno vinto, ma la loro pratica è perdente. Quest’ipotesi, non so quanto valida sul piano della “scienza della politica”, trova comunque, a mio avviso riscontro, nel diffuso sentimento di delusione che di tempo in tempo ha “travolto” ed allontanato iscritti ed elettori, un sentimento che ha a che fare con il problema della coerenza fra le proposte e le pratiche. Sul piano amministrativo mi pare che il risultato registri la fatica dei cittadini, degli amministratori e del Partito ad affrontare con categorie conosciute e con strumenti usati scenari e fenomeni nuovi ed in rapido mutamento: il profilo demografico delle nostre comunità, polarizzate tra invecchiamento e ripresa della natalità tutta legata alla popolazione immigrata; la crisi produttiva, già in essere all’esplodere della crisi finanziaria ed economica, a causa della globalizzazione; gli squilibri di un Welfare “pensato per il maschio adulto lavoratore dipendente” e non per le tante e tante categorie di lavori e per le esigenze di generi e generazioni che poggiano su risorse e protezioni assai differenziate, quando non assenti, hanno aumentato la “competizione sociale” e favorito l’individualismo, fino all’egoismo e alla xenofobia. Su questi problemi e su altri ancora, maggiormente rilevanti sul piano dell’adesione ideale e della mobilitazione delle coscienze, quali ad esempio la laicità dello Stato, la trasparenza e l’efficienza nelle Istituzioni, etc, il PD non è stato in grado- o non lo è stato in maniera sufficiente ad aggregare maggior consenso – di passare dalla proposta del Manifesto costituente, dai contenuti del proprio programma elettorale del 2008 a pratiche coerenti e adeguatamente aggiornate alla situazione politica (essere all’opposizione nazionale e fare opposizione! Essere al governo sui territori e governare coerentemente alla propria proposta!) ed al mutare della condizione socio-economica in cogenza della crisi.
Ci sono stati e ci sono, rispetto a questo obiettivo problemi di merito e di metodo. Parto dal merito perché ritengo che la visione, se condivisa, le idee debbano sempre far premio sugli strumenti e che occorra perseguire in maniera chiara e trasparente la finalità politica del Partito, abbandonando il tatticismo ed il cinismo che spesso lo accompagna. Il PD deve fare chiarezza sul modello di sviluppo che intende perseguire per il Paese. Credo occorra una lettura più chiara delle trasformazioni e delle vocazioni produttive dei territori, delle vocazioni imprenditoriali dei soggetti, del modo in cui essi si relazionano con le nuove dimensioni delle reti e credo occorra orientare decisamente il loro intervento – con adeguate politiche incentivanti e facilitanti – nella direzione della sostenibilità, dell’innovazione tecnologica ed organizzativa, della responsabilità sociale. In tale direzione – anche nella nostra Regione, che pure presenta elementi di eccellenza – ciò impone un ripensamento complessivo del modello di Welfare, pensato non solo in termini di rete di servizi per cittadini e famiglie, ma come condizione e motore di sviluppo economico, qualità sociale e, quindi, di sicurezza. Ripensare il Welfare significa metter mano al sistema dell’offerta formativa, dall’infanzia all’età adulta, alle politiche del lavoro e al sistema delle tutele, perché, come detto, è insopportabile ed insostenibile che un genere, quello femminile, ed una generazione, ormai quella degli under 40, siano posti in condizione di grave disparità, quando non di esclusione dalla condizione che è alla base della cittadinanza: il diritto al lavoro e all’equa retribuzione. Non sono certo temi nuovi, ma su di essi, pur avendo molte proposte, non siamo riusciti a fare sintesi, ad indicare la declinazione dei valori, forse su questi stessi non siamo riusciti ad essere comprensibili e coerenti. Non siamo riusciti, inoltre, ad instaurare con i soggetti organizzati della società, con i cosiddetti “corpi intermedi”, un dialogo sociale che non poggi sulle categorie del “collateralismo” o del “lobbysmo”, ma sia improntato alla chiarezza, alla reciprocità ed alla continuità (oltre le fasi elettorali e a prescindere da esse!) finalizzandolo a condividere i “quadri di riferimento” per consentire, nella distinzione ed autonomia delle parti, la fondazione e l’esercizio di “patti di responsabilità” (non già di scambio, come fa il Governo) per la crescita del nostro Paese. Ciò vale anche, e forse in particolar modo, per la nostra Regione, in cui l’obiettivo di governo deve passare prioritariamente attraverso la definizione e la pratica delle “politiche”, sulla quale soltanto basare la politica delle alleanze. Per operare nel merito occorre operare anche in direzione di alcune correzioni di metodo, che ritengo essenziali. Il lavoro di costruzione dell’identità del Partito deve essere svolto attraverso un costante esercizio di democrazia sostanziale, non formale, che faccia del confronto intelligente e non pregiudiziale la prassi costante: troppo spesso, infatti, abbiamo assistito e certamente anche agito, giustapponendo o contrapponendo posizioni che prescindono dal merito dei contenuti, ma fanno riferimento solo ad “appartenenze” di varia natura (partito di provenienza, corrente, relazioni, …). Il confronto deve essere praticato fino alla definizione di una posizione,che va sostenuta con lealtà: non si tratta di essere dogmatici, ma di essere in grado di esprimersi in maniera chiara e coerente: la costruzione dell’identità del partito implica la capacità di generare sintesi alte ed evolutive tra le culture che lo compongono.
Occorre, infine, “mettere tutti al lavoro”: il radicamento del partito nei territori e nei gruppi sociali si persegue non tralasciando nemmeno una risorsa, un’occasione, una disponibilità ed operando scelte nella rappresentanza poggino su impegno (nelle Istituzioni locali, nelle formazioni sociali,…) merito, competenza e responsabilità: non possiamo immaginare di promuovere questi valori nella società, se non li pratichiamo prima di tutto dentro il Partito, nel processo di costruzione e rinnovamento del suo “personale politico”.
C’è molto lavoro da fare, molto da pensare, molto da discutere; per questo non avrei voluto il Congresso; non ora. Abbiamo bisogno di stare sul merito, di discutere prioritariamente e approfonditamente di idee e di politiche e, solo dopo aver raggiunto la sintesi più alta, più convincente per il maggior numero di noi, più convincente per i cittadini, di scegliere le persone adatte a rappresentarle e a realizzarle. Vorrei che ci “consultassimo” e ci “contassimo” sulle idee, prima che sulle persone. Può sembrare un processo astratto, inconciliabile con la dialettica politica e le categorie del potere; forse è così. Ciò nonostante non rinuncio a sperare che ciascuno possa interrogarsi fino in fondo su quale sia la priorità per ora, ma soprattutto per andare avanti. Per me la priorità continua ad essere l’interesse generale e poiché ritengo che quello del Paese non possa prescindere dal Partito Democratico, per me la priorità è il PD.
Sen. Sangalli
La riflessione che siamo chiamati a svolgere sui risultati elettorali deve essere condotta in modo rigoroso e severo. Ciò è tanto più vero in Emilia Romagna dove gli andamenti elettorali si uniformano a quelli nazionali, ma ciò deve essere motivo di ulteriore preoccupazione e non certo di rassicurazione. Farò alcune brevi considerazioni nello spirito della conversazione schematica che consigliano i tempi di questo dibattito.
1. Ho sentito commentare da più parti in modo rassicurante i dati (la cosiddetta tenuta) e devo dire che, se non fosse perché le preoccupazioni della vigilia erano evidentemente peggiori, non è veramente comprensibile giudicare un 26% una tenuta dopo avere avvalorato il 33% delle politiche come una grave sconfitta. E’ invece evidente che, se non fosse accaduto tutto quanto abbiamo contribuito che accadesse, e, con un partito in campo sulle grandi questioni del paese piuttosto che impegnato in regolamenti interni lontanissimi dal sentire della gente, avessimo confermato la “sconfitta” del 33,4%, ora saremmo ad un punto e mezzo dal PDL. Sarebbe diversa la psicologia della politica italiana di questi giorni, che vedono gli inizi della crisi del premier e l’incombere di una crisi economica i cui effetti peggiori sulle imprese, sul lavoro e sulle famiglie si devono ancora evidenziare negli aspetti più gravi. Saremmo a un punto e mezzo dal partito di maggioranza e con un potenziale politico enorme da esprimere. Sopratutto saremmo una opposizione di riferimento per il paese ed anche un sicuro ancoraggio per la democrazia.
2. Come e’ ovvio non si fa politica con i “se” e con i “ma”, tuttavia vi e’ una grave responsabilità che incombe sulla intera classe dirigente che ha degenerato il dibattito ad una resa dei conti interna e personalistica, decadente e avulsa, priva di quella nobiltà che impone che la politica si misuri sulle grandi questioni e nel merito delle questioni trovi le ragioni del confronto e se necessario dello scontro.
3. Il partito democratico nasce per interpretare e guidare un paese in profonda trasformazione, che già da molto tempo aveva visto un capovolgimento delle categorie storiche che avevano motivato il confronto tra destra sinistra. Fin dal 1983 con la sconfitta della CGIL di Lama nel referendum sulla scala mobile, si afferma una nuova egemonia culturale che ben si configura nella mega convention “Orizzonti 90” di Confindustria in cui si delineano i paradigmi ideali e di riconoscimento sociale del cosiddetto “capitalismo personale”. È la sanzione della fine del paradigma fordista ed anche di una concezione egemonica del rapporto tra capitalismo e classe operaia. Ovviamente grandi eventi storici meglio evidenziano la crisi delle grandi ideologie di provenienza ottocentesca e convalidano un processo già in corso di mutamento di identità sociale e di protagonismo personale che induce la nascita e soprattutto l’acquisizione di una forte soggettività sociale del ceto medio produttivo.
4. Con la fine della prima repubblica si afferma l’ottimismo berlusconiano, cui non siamo mai stati in grado di contrapporre un ottimismo riformista, ma anzi è passata un’idea di incapacità di marcare una ipotesi credibile di visione sociale compatibile con il nuovo paradigma dimeno stato e più mercato che di quell’ottimismo costituiva la strategia cardine. Ci si è attardati a ricercare le “particolarità” negative” (che non mancano nel premier), ma si e’ perso di vista il comune sentire divenuto insensibile a tali negatività. Mentre si osserva il premier non si vede la società occidentale che muta la scala di valori e giudica veniali colpe individuali ,tanto più quando esse sono spesso ritenute valore generale e stimolo alla crescita, in grado di liberare le energie sopite dallo statalismo, ormai privo dei valori collettivi, propugnato a sinistra. La sinistra non da un messaggio di innovazione ma tende a conservare lo status quo, protegge i garantiti, alza barriere al dispiegarsi della flessibilità, del mercato, della concorrenza e non vede di buon occhio la crescita numerica del protagonismo dei piccoli imprenditori. Esprime una concezione dell’interesse generale non compatibile con il sentire comune, burocratica, priva di un progetto di rilancio e di una concezione dello sviluppo in cui gli interessi dei singoli e quello generale possano convergere. La sinistra sistema i conti pubblici ma non ne rende evidenti le virtù collettive, porta l’Italia nell’Euro ma lo rende una necessità” piuttosto che evidenziarne l’opportunità, che rimane materia di consessi ristretti, non si impegna in una “pedagogia europeista”ma in prediche astratte sui vincoli che l’Europa propone.
5. Il modello politica della sinistra rimane uguale a se stesso e legato alle ideologie dell’ottocento. Ciò le impedisce di interpretare la nuova stratificazione sociale mentre logora i rapporti coi corpi intermedi, non comprende le nuove sfide, le nuove incertezze, le nuove paure, si rinchiude in enclave di tradizionale insediamento, perde contatto con il nord ed il sud del paese. Anzi fa di più e peggio: esorcizza il nuovo, il capitalismo dei piccoli per i quali sa solo evidenziare valutazioni approssimative dal punto di vista economico e sentenze etiche che ne evidenziano la distanza quando non il disprezzo. E ciò si traduce in ostilità del ceto medio produttivo che percepisce della sinistra la distanza, l’autoreferenzialità, la subalternità a valori magari giusti, ma vissuti con il disagio di chi si sente giudicato e lasciato sempre solo. Solo di fronte al nuovo, solo di fronte allo Stato, solo di fronte alla propria insicurezza e paura. Così capita che 6.000.000 di imprese, imprenditori, e relativi collaboratori e familiari costituiscono la grande riserva elettorale delle varie destre, siano esse liberiste, tecnocratiche, etnico localistiche.
6. Non e’ stato un problema solo italiano, ma europeo e ciò avviene quando le due più grandi democrazie del mondo (USA e INDIA) affermano una nuova concezione dello sviluppo e sembrano in grado di dare interpretazioni nuove alla politica del terzo millennio. Forse per la prima volta nell’era moderna l’Europa è più indietro, più lenta, più logorata nei suoi fondamentali, più conservativa che innovativa ed anche di fronte alla recessione stenta a valorizzare la sua fisionomia equilibrata coesa e democratica. 7. Il dibattito congressuale sembra figlio degli stessi timor: è incentrato sul CHI mentre manca quasi completamente un serio sincero non strumentale confronto sul COSA. Il congresso deve parlare al fuori e rendere il popolo partecipe di un confronto sull’Italia, sul suo futuro, sui grandi temi (economia e lavoro, visione internazionale, clima, riforme dello Stato e delle sue istituzioni, sicurezza e stabilità sociale, valorizzazione del merito, dei diritti e doveri, difesa e rilancio delle istituzioni democratiche, laicità).
8. In una fese di pesante crisi economica la concezione liberista ha fallito, anzi: ci ha portato sull’orlo del baratro. Mentre i governi si preparano a contenere la disperazione di chi viene emarginato , è a rischio, come negli anni trenta, la democrazia. Il nostro partito non può rinchiudersi in un dibattito senza tempo, sospeso tra un passato che non passa ed un futuro che stenta ad arrivare. È onestamente illusorio pensare di guidare la macchina in strade nuove guardando nello specchietto retrovisore. E non è questione solo di età: è piuttosto questione di capacità innovativa, di prospettiva, di giovinezza ed esperienza, di voglia di farcela, di determinazione e rigore, di partecipazione e democrazia. 9. È soprattutto dove il partito è più forte che deve dimostrarsi più innovativo. Il rischio di involuzione, di autoreferenzialità, di autosufficienza è evidente e riduce la necessaria lucidità nell’analisi critica, le nomenclature si arrabattano non nella ricerca di nuove soluzioni, di nuove traiettorie, ma nel rassicurante e inutilmente crudele scontro interno. Perdono di vista, mentre si distinguono in correnti, la corrente della storia. Non danno impulso, ma anzi frenano ogni esperimento innovativo. Come nella Roma assediata dai barbari,come nella Versailles il giorno prima della rivoluzione. Il rischio è la dispersione di un patrimonio di affidabilità e di fiducia positivamente costruito negli anni. A rischio è la reputazione di buon governo capace di preconizzare e affrontare i nuovi eventi, le nuove tendenze, i nuovi problemi. Il rischio è anche qui, in Emilia Romagna, di privilegiare il chi al cosa. Il rischio è inseguire la vittoria fine a se stessa, mentre in democrazia vincere non è il fine ma il mezzo per fare del proprio mondo un luogo dove valga la pena vivere. 10. Un’ ultima avvertenza sulla probabile imminente fine del “sogno” di Berlusconi. Non è scontato che la fine di un’era ne apra una migliore, né essa va attesa come risolutiva per i problemi dell’opposizione. Non c’è nella vita, come nella politica, nulla di automatico. Se non si è pronti, utilmente radicati (e non come taluni vorrebbero “insediati”nei territori), aperti al nuovo senza dover rassicurare che manterremo perenne la memoria del vecchio (cioè il ricordo rassicurante, piuttosto che l’esperienza critica di ciò che è stato il passato), si rischia di finire travolti dalla fine stessa del paradigma del nostro contrario. Deprivati del senso della nostra essenza di oppositori, potremmo vagare alla ricerca di un nemico come capitava a quei soldati giapponesi che, dispersi nella giungla delle proprie certezze, non hanno mai incontrato la pace.
Occorre una forte identità per possedere il tempo di cui solo disponiamo cioè il nostro futuro.
Fabbri
Dal mio punto di vista, il rapporto con gli elettori si è rotto dopo la caduta del primo Governo Prodi. Il centro-sinistra ha dimostrato, per la prima volta, di non essere all’altezza delle aspettative sociali. Io, stando nella P.A., ho vissuto l’inizio del declino ma anche le importanti riforme di questo periodo. Da quel momento non siamo stati più credibili: quello che dicevamo non corrispondeva ai fatti. Abbiamo preferito ragionare dell’architettura istituzionale, politica e partitica e, così, c’è stato un evidente calo della nostra capacità di valutazione politica. Il voto del 2008 è stato, comunque, il momento di maggiore risultato elettorale del PD dal 1996 ad oggi. Il problema è stato la gestione di quel voto che veniva considerato un fallimento rispetto alle aspettative che avevamo. C’è una responsabilità corale della classe dirigente del PD. Abbiamo continuato a non fare una discussione nel merito. Il rischio è che se non stiamo attenti, perderemo anche l’Emilia R.. Il voto del 2009 è un voto di tenuta territoriale, cioè, si vota il candidato e di riflesso il PD. Se cambia il candidato, si cambia il partito da votare perché non c’è più la fidelizzazione al partito. Questo si evince nell’elezione dei Sindaci per il secondo mandato. Questo ci fa capire che il voto è ormai diventato personale. Nelle prossime elezioni i Sindaci non ci saranno, e la competizione sarà aperta. Il Congresso deve essere gestito in maniera onesta senza organizzarsi prima a tavolino, ma avendo il coraggio di confrontarsi su un piano ampio. Bisogna intervenire anche su temi locali caldi quale, ad esempio, il futuro delle Comunità Montane e la questione del turbo-gas. Non si può continuare a guardare a queste problematiche soltanto dal punto di vista economico.
Noi non parliamo più all’anima delle persone; i nostri discorsi non trasmettono più niente. Dovremmo ritornare a fare politica e non strategia.
Borghi
È necessario che, a partire dall’Emilia R., ci sia una maggiore consapevolezza di coloro che hanno responsabilità. Ormai veniamo considerati come non più utili e questo genera l’astensionismo. O riusciamo a dare una consequenzialità a questa consapevolezza, oppure non saremo più in grado di aiutare questo partito che già è in condizioni molto difficili. In due anni non mi è mai capitato di verificare come un confronto, su qualsiasi tema, interno al partito abbia prodotto iniziative successive nelle sedi istituzionali. Anzi, rispetto a questa crisi, che riguarda nello specifico alcune Regioni (Emilia R. e Veneto), c’è stato un grave atteggiamento di chiusura. Il partito non ha bisogno solo di autoreferenzialità, ma di confrontarsi con la società. Anche il Welfare locale merita coraggio rispetto alle sfide che abbiamo di fronte.
Guerini
In seguito alle elezioni, si è verificato un vuoto di dibattito. Quel voto ci dice che è stato poco soddisfacente sia a livello nazionale che regionale. Anzitutto, è stato difficile presentarsi alle urne a pochi mesi di distanza dall’abbandono del nostro leader che, all’inizio, ci chiedeva fiducia. Il risultato dell’Emilia R. è inquietante soprattutto per quanto riguarda i vantaggi ottenuti dalla Lega. Anche le categorie produttive ci abbandonano. Allora qual è la parte sociale a cui ci rivolgiamo? Come dare rappresentanza al motore del Paese? Probabilmente rilanciando il metodo democratico. Questo partito non ha mai avuto un Congresso fondativo, né organi che avessero una loro continuità. In prospettiva del prossimo Congresso, ci sono due temi da affrontare: chi dovrà guidare il partito e chi dovrà governare la Regione. Nella commistione di questi due problemi si annida il pericolo di perdere l’Emilia R. il prossimo anno. Ciò perché, in alcune Regioni, ancora dobbiamo vedere la seconda parte della crisi e questa realtà va adeguatamente affrontata. Il PD deve far esplodere le contraddizioni che si nascondono nella maggioranza. Il berlusconismo volge al termine anche solo per motivi di età; ma che succederà dopo? Quali saranno le forze politiche che resteranno in campo? Mi auguro che questo Congresso sia veramente fondativo anche per i giovani che si affacciano alla carriera politica e devono conoscere il percorso che, all’interno del PD, li porterà alla classe dirigente.
On. Sandra Zampa
Mi piace credere a due note di speranza. La prima è quella che sostiene che il PD non è andato così male e che quindi non si può pensare di tornare al passato; la seconda è che la sinistra può ritornare a vincere. Di fronte a noi ci sono due grandi opportunità: la crisi e il Congresso – che è un grande appuntamento di confronto -. L’Economist scrive che il Governo si sta lasciando scappare l’opportunità di fare riforme che possano davvero risollevare il Paese. Bisogna ricominciare a capire cosa l’Italia si aspetta da noi piuttosto che interessarsi degli amici-nemici che ruotano intorno al partito. Sicurezza, immigrazione, costi della politica e crisi economica sono i temi su cui il PD non è più credibile e questo è un dato sconvolgente che si desume da un’intervista condotta recentemente e di cui ha parlato Diamanti. Riguardo all’Emilia R., dico che non basta confrontare i dati. Dovremmo andare a vedere come ci siamo comportati laddove siamo stati chiamati a rinnovare le amministrazioni locali. Anche qui bisogna prendere atto che si è vinto dove si è salvata l’unità del centro-sinistra. Il problema nella Regione è l’avanzamento della Lega che, con la sua grande capacità comunicativa, si fa percepire come se fosse una forza di opposizione rispetto a noi che lo siamo davvero. L’altro punto è il radicale cambiamento della società italiana che non ha più elementi di coesione e che sta smarrendo persino il senso della carità – basti pensare a come ci poniamo verso l’immigrazione -. Stiamo perdendo il senso della civiltà. Credo bisognerà passare, in prospettiva congressuale, a valutare non chi ma cosa proponiamo perché, così facendo, si salvano le oligarchie ma si distrugge il partito.
Barbieri
Noi abbiamo vissuto per molto tempo sugli allori del passato pensando che, in Emilia R., la Lega non sarebbe mai arrivata. Dobbiamo cercare di invertire il declino. Mi rimane grande insoddisfazione dalle ultime elezioni perché funzioniamo in modo schizofrenico. Abbiamo fondato male il PD, sino ad ora abbiamo fatto solo le prove generali! Dobbiamo anzitutto cominciare a parlare di una politica dei salari, degli alloggi. Sul Congresso penso che è giusto che si concretizzi ma dobbiamo smetterla con il tifo da stadio per sostenere i candidati.
Castaldini
Ho percepito una carenza nei temi specifici nel dibattito interno. Non possiamo continuare a ragionare sulla base dei nostri partiti di provenienza. Ci sono temi nuovi che vanno affrontati: questione ambientale e crisi economica, ad esempio. Sulla ricerca scientifica, penso che nessun partito di area progressista potrà mai fare nulla se non punta proprio sulla cultura e sull’Università. Come facciamo, altrimenti, a rispondere a problematiche di carattere scientifico come è il problema energetico? E cosa diciamo noi su questi temi? Senza una chiara posizione sull’incentivazione della ricerca, non possiamo avanzare alcuna proposta non avendo le conoscenze adeguate. La cultura, in Italia, la sta facendo il centro-destra, e questo succede da anni. Perché noi non siamo in grado di produrre i nostri temi? Su questo c’è un vuoto preoccupante.
Bertuzzi
Quando vediamo questi esiti elettorali l’errore, che continuiamo a fare come partito, è che non riusciamo a prendere una lente di ingrandimento e valutare che l’esito di partito e di coesione continua a tenere anche se, in luoghi circostanti, ci sono diversità. Parlo, nello specifico, dell’Emilia R.. Dire che le cose continuano a funzionare significa che l’interruzione del rapporto tra eletto ed elettore continua a tenere. Gli elementi che permettono questo, nella nostra Regione, sono i servizi ad esempio. C’è lealtà nei confronti dell’elettorato che, nonostante tutto, continua a mantenere il rapporto fiduciario e c’è l’orgoglio di aver affrontato una sfida che è quella di voler costruire un modello che non sta nelle verità dei singoli ma nelle parole di tanti, nella consapevolezza della complessità che la società si trova ad affrontare oggi. Non è vero che siamo d’accordo sui contenuti e la gente non capisce perché molte risposte non sono state date. Dalla fase congressuale mi aspetto una sorta di patto deontologico di comportamento perché, la cosa fondamentale, è ritrovare un progetto dietro il quale ci possiamo riconoscere tutti. Nessuno ha la soluzione a portata di mano, ma dobbiamo sforzarci di prendere coscienza dei dati elettorali, soprattutto dell’Emilia R., per cogliere tutte le occasioni di confronto.
Minganti
Siamo un partito a vocazione maggioritaria per cui, gli ultimi esiti elettorali, sono stati negativi. Mi concentro sul dato regionale. Credo sia corretto, più che confrontare il dato delle ultime elezioni locali con quello di 5 anni fa, confrontare il dato elettorale che emerge dai voti per le elezioni europee con quello delle comunali. Sul voto di appartenenza, è chiaro, che c’è una flessione costante a livello nazionale anche se, localmente, ci sono delle differenze; ma questo non gioca a nostro favore. Quindi, i dati che restano rilevanti sono: il giudizio retrospettivo e la qualità delle candidature e credo che sia più corretto valutare, per quanto riguarda i Sindaci al secondo mandato, l’aspetto retrospettivo e per gli altri quello relativo alla qualità della candidatura. Anche a livello locale c’è da dire che, in certi casi, non abbiamo amministrato bene. Dobbiamo iniziare seriamente a porci in chiave strategica, non più guardando al breve ma al medio-lungo periodo. Impegnamoci a rendere più forte la classe dirigente che abbiamo sui territori e, per fare questo, non è sufficiente fare qualche seminario. Forse la classe dirigente ha più bisogno di sapere come si analizzano i dati elettorali e di essere autonoma nel fare questo tipo di valutazioni sviluppando competenze nell’ambito della comunicazione e del marketing elettorale. Questo, in un partito come il nostro, deve essere una priorità. Se un giorno riusciremo ad avere una strategia di lungo periodo, dovremmo impegnarci a risultare vincenti su ognuno dei 4 fronti precedentemente citati.