Un big bang per la politica?
[Firenze, Stazione Leopolda. Qui un estratto del video] – Il prossimo presidente del consiglio dovrà innanzitutto dire la verità agli italiani sullo stato della Nazione. Il nostro è un magnifico Paese che sta da tempo sulla china di un declino che pare irreversibile. Negli anni settanta lo Stato ha cominciato a spendere più di quanto avrebbe potuto e i conti pubblici ancora non tornano, da dieci la nostra economia non cresce, negli ultimi due chi ci governa ha gettato fango sull'immagine dell'Italia nel mondo. Le furbizie del passato, come la svalutazione e il debito, non sono più disponibili o non sono più tollerabili. Se vogliamo mantenere il nostro livello di benessere ci aspetta un compito immane. Servono riforme profonde, per superare monopoli e professioni chiuse, ridurre i tempi della giustizia civile, combattere l’evasione e alleggerire la pressione fiscale per chi le tasse le paga, introdurre flexsecurity nel mercato del lavoro, …. Con le risorse disponibili, si potranno fare solo pochi investimenti mirati (banda larga, formazione e ricerca) per valorizzare il nostro patrimonio più prezioso (noi stessi) e stimolare chi può a investire capitale di rischio nella nascita di nuove imprese creative.
Per un compito così impegnativo serve una politica più sobria, efficiente, autorevole. Capace di decidere e di fare a sua volta meglio con meno. Va semplificata la rete degli enti territoriali. A partire dai comuni, il vero pilastro dell’amministrazione tra i cittadini, che sono troppi e in molti casi troppo piccoli per sopportare le loro responsabilità. Attraverso fusioni o unioni devono raggiungere una dimensione minima di 5.000 abitanti. Più di 100 province non ce le possiamo permettere. Le province vanno abolite o create solo in territori con almeno 500.000 abitanti come enti di secondo grado in cui l’indirizzo è affidato all’assemblea dei Sindaci.
Ma, soprattutto, dobbiamo riformare il Parlamento. La massima sede della rappresentanza, nella quale si riflette e si esercita la sovranità popolare, è oggi una tra le istituzioni più denigrate e discreditate, anche perché è inefficiente. Un parlamento con quasi mille componenti e due camere che fanno lo stesso mestiere aveva poco senso già nel 1948. Nel frattempo buona parte delle funzioni legislative sono migrate verso i consigli regionali, il parlamento europeo, le autorità indipendenti, il governo. Diciamolo finalmente senza mezzi termini: una delle due camere va semplicemente abolita. Al suo posto è sufficiente un organo di raccordo tra lo Stato e i governi regionali e locali che possa anche proporre emendamenti a qualsiasi provvedimento approvato dalla Camera su cui quest'ultima decide a maggioranza qualificata. Un parlamento monocamerale con non più di 500 componenti, eletti in collegi uninominali, nei quali i candidati siano scelti con primarie previste e regolate per legge. E, se non si elimina il Porcellum, le primarie per i parlamentari rischiano di essere un miraggio o una truffa.
Le primarie sono vere se le alternative sono chiare e rendono contendibile la leadership, se servono a scegliere la persona che nel momento dato e con riferimento alla carica in questione, può fare meglio. Vale anche per le prossime primarie nazionali del centrosinistra che non possono essere la ratifica di una decisione presa nel 2009, in un contesto completamente diverso. Se Bersani vuole essere l’unico candidato del PD dovrebbe dunque convocare lui stesso un Congresso di poco anticipato rispetto alle scadenze statutarie. Oppure consentire che si candidino anche altri, magari prevedendo primarie a doppio turno come quelle appena tenute in Francia dai socialisti.
D’altro canto, sarebbe ben strano che proprio le idee fondative del PD, di un partito schiettamente riformista, capace di parlare ad una larga parte del Paese e non solo ai tradizionali elettori della sinistra, a quell’appuntamento non ci fossero. Qualcuno le dovrà pur rappresentare. E possibilmente dovranno vincere, se vogliamo poi convincere gli elettori italiani di avere un progetto di governo credibile. Per cambiare la politica, restituirle autorevolezza e far tornare l’Italia a crescere.
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