Dov’è finito il partito solido?
[Mio intervento su l'Unità]. Mentre la crisi terminale del berlusconismo piega il paese, e mentre in incontri non ufficiali come quelli di Bologna e Firenze si mette in agenda il nuovo inizio necessario all’Italia ventura, i circoli del PD sono stati convocati per esaminare una relazione del Segretario sull’organizzazione interna del partito [tradotta anche in questo documento]. Il tema forse non è in cima alle preoccupazioni dei lettori de l’Unità ma, data l’ampiezza della consultazione, credo sia giusto entrare nel merito, anche esprimendo “opinioni dissenzienti”.
In primo luogo, la retorica pro-primarie che viene spesa in più passaggi è carica di retro pensieri. Mentre il PD nato nel 2007 riconosceva, come suo tratto fondamentale, agli “elettori” la sovranità su alcune scelte, secondo il documento sarebbero ora gli “iscritti” che la detengono e la concedono. Quindi, possono riprendersela. Siccome difficilmente gli iscritti sono davvero in condizione di assumere decisioni del genere, vuol dire che potranno farlo, per conto loro, i dirigenti. Ad esempio, dice il documento, si dovranno distinguere (chi, come?) le primarie buone da quelle cattive, mera «occasione di scontro interno». E bisognerà tendenzialmente arrivare ad una sola candidatura PD alle primarie di coalizione: una circostanza che a dire il vero ultimamente non ha portato molta fortuna né al partito né ai prescelti.
In secondo luogo, il documento contiene diverse autodichiarazioni di inerzia. Si presentano come innovazioni necessarie: a) i referendum interni; b) i circoli online; c) la sfasatura temporale tra l’elezione dei segretari nazionale e regionali per valorizzare l’autonomia di questi ultimi. Tre cose già previste dallo Statuto che aspettano dalla primavera del 2008 solo di essere disciplinate con regolamenti della Direzione e messe in pratica.
In terzo luogo, alcune enunciazioni dovrebbero essere più nette. Si dice che al partito serve una tecnostruttura professionale per alcune funzioni (organizzazione, comunicazione). Diciamo anche che per coprirle il PD deve reclutare figure professionalmente eccellenti e innovative. Si dice che «per le funzioni politiche, noi non vogliamo essere un partito di funzionari». Si stabilisca allora, come è stato proposto a Bologna, che chi svolge ruoli politici, in qualsiasi ambito, non può essere dipendente a tempo indeterminato del partito, e viceversa.
In quarto luogo, rimane irrisolto un problema dell’impianto statutario-organizzativo da molti considerato macroscopico. Nel 2009 fu ferocemente criticata la procedura congressuale (con voce più stridula proprio da chi l’aveva voluta così) perché troppo complessa. Quando, se non ora, che siamo relativamente distanti da una tornata interna, dovremmo riparare all’errore? Nel documento si dice che la scelta del Segretario Nazionale dovrà continuare ad essere affidata a tutti gli elettori. Sarebbe ovvio concludere che, per semplificare, si può eliminare la fase riservata ai soli iscritti, sostituendola con un filtro interno più esigente alle candidature.
Infine, nel documento non si intravede nessuna riflessione o quesito rispetto a quanto è accaduto negli ultimi anni. Non c’è nessuna spiegazione delle ragioni per cui il "partito strutturato e radicato nel territorio", basato sulla centralità delle sezioni (nessun errore lessicale), non sia miracolosamente riapparso, come era stato promesso nel 2009. Pare piuttosto che intorno ai circoli si sia andata ulteriormente affievolendo molta della vitalità che si era creata nella fase fondativa, come credo certifichino i dati sulle iscrizioni. Tutta colpa delle primarie, del contesto avverso o di chi “rema contro”?
Forse la (scarsa) vitalità dei circoli riflette la (in)capacità del partito di promuovere campagne che suscitino speranze e parlino a sentimenti vivi nell’opinione pubblica. Come sarebbe capitato, ad esempio, se i circoli fossero rimasti aperti per la raccolta di firme contro il Porcellum. Una occasione nella quale la Segreteria ha prima frenato e poi preferito regalare “le firme del PD” a Parisi, Di Pietro e Vendola, cui va giustamente il merito principale dell’iniziativa, benché non siano proprio esponenti della società civile.