Cosa c’è dietro (e oltre) le fake news
L’atto di accusa di Joe Biden va ben oltre i riferimenti al referendum costituzionale italiano. Mette nero su bianco, con il peso dell’ex vice di Barack Obama, un problema geopolitico di prima grandezza, che in realtà finora non ha visto solo chi non voleva vedere. «Il governo russo sta sfacciatamente assaltando le fondamenta della democrazia occidentale in tutto il mondo. Sotto il Presidente Vladimir Putin, il Cremlino ha lanciato un attacco coordinato attraverso molti strumenti – militare, politico, economico, informativo – utilizzando una varietà di mezzi, in modo palese e segreto». Ha invaso Georgia e Ucraina per evitare che si avvicinassero alla Nato. Ma «in maniera più frequente e insidiosa, ha cercato di indebolire e sovvertire le democrazie occidentali dall’interno usando come armi le informazioni, la rete, l’energia e la corruzione».
Non stiamo parlando solo della disinformazione teleguidata sui social network. Il capitalismo di Stato rende Putin particolarmente influente nei confronti sia degli oligarchi russi che fanno affari in Europa sia delle compagnie europee che beneficiano in Russia della sua benevolenza. Gli uni e le altre diventano quindi potenziali canali di finanziamento per attività politiche benviste dal Cremlino. E «un bel po’ dei loro soldi è andato a candidati o movimenti anti-establishment in Europa che sostengono un partenariato più stretto con la Russia o che pubblicamente mettono in discussione il valore dell’appartenenza alla Nato o all’UE. Per il Cremlino, poco importa quale sia l’ideologia specifica di questi candidati o movimenti; l’obiettivo più importante è indebolire e dividere internamente le democrazie occidentali».
Biden lo scrive in un saggio pubblicato su Foreign Affairs, tra le più importanti riviste di politica internazionale al mondo, firmato insieme a Michael Carpenter nella loro attuale veste di Presidente e Direttore del «Penn Biden Center for Diplomacy and Global Engagement», la think thank creata dallo stesso Biden all’interno dell’Università della Pennsylvania. Non si tratta di gossip, ma di una analisi articolata, che trae fondamento da fatti accertati da strutture di intelligence non solo americane coerenti con la visione che Putin persegue da anni.
Con la lodevole eccezione de La Stampa, i grandi giornali italiani hanno rapidamente spostato la notizia alla dodicesima pagina, con toni dubitativi, come se fossero in gioco solo “la sfida tra Renzi e Di Maio”. Il Corriere pare averla chiusa con una intervista a Berlusconi, che esattamente come Trump, a dispetto della montagna di prove accumulate dai servizi di intelligence occidentali, rassicura tutti sulla base della cordiale intesa che lo unisce al capo del Cremlino: il caro amico Putin è un tipo perbene; lui con la fabbrica delle fake news e con i troll made in Russia non c’entra niente.
Putin ovviamente non è il motore primo delle difficoltà in cui si dibattono le democrazie liberali. Non è stato lui a creare Trump o i populisti europei, che si sono affermati sfruttando un malessere reale. Ma ha un oggettivo interesse a sfruttare a sua volta il loro successo e favorirlo. I fondamentali della sua strategia, gli interessi sottostanti e le debolezze europee in cui si insinua sono documentati in maniera tanto efficace quanto preoccupante da James Kirchick in The End of Europe: Dictators, Demagogues, and the Coming Dark Age (La fine dell’Europa: dittatori, demagoghi e l’era buia che sta arrivando), pubblicato dalla Yale University Press a marzo di quest’anno.
Come ha ricordato Kirchick, la politica di Putin è ancora oggi guidata da quanto aveva detto nel famoso discorso tenuto alla Conferenza di Monaco sulla Sicurezza nel 2007. Per l’ex ufficiale del KGB, la sconfitta sovietica nella guerra fredda e il mondo “unipolare”, con la conseguente perdita di identità della Russia e il netto declino della sua posizione dominante in “Eurasia” sono ferite che devono essere rimarginate. In quello stesso anno il Cremlino lanciò la sua politica revisionista di riscrittura dei manuali scolastici per riabilitare Stalin e l’Unione Sovietica. Allo stesso tempo, l’ideologia guida comunista è stata sostituita da un nazionalismo illiberale ammantato della difesa della «civiltà cristiana» contro le degenerazioni libertarie europee e l’attacco dell’Islam. Accanto alla facciata di procedure elettorali democratiche, il potere di Putin si è consolidato, all’interno, attraverso l’eliminazione con vari metodi dei dissidenti, la cooptazione di altri parlamentari di opposizione, l’intimidazione dei media, la repressione delle manifestazioni di massa contro il governo. Verso l’esterno, Putin ha un oggettivo interesse ad indebolire l’Unione Europea, la quale, con l’allargamento ad Est, ha contribuito a smembrare il blocco sovietico, ed oggi costituisce un ostacolo per la riaffermazione di una egemonia russa a cavallo dei due continenti. Dunque, la Brexit, la secessione della Catalogna, l’affermazione di movimenti politici che moltiplicano sfiducia e risentimento verso le istituzioni, producono instabilità e impediscono il riavvio del progetto europeo su nuove basi sono benedette.
Senza una politica energetica comune, l’UE continuerà ad essere ostaggio dei gasdotti russi. Senza una forte politica comune di difesa, ben connessa con la Nato, sarà più facile ripetere interventi militari come quelli in Georgia e in Ucraina. Se il mercato comune viene messo in crisi e gli scambi intra-comunitari dovessero crollare, per la Russia di Putin sarà più facile stabilire relazioni bilaterali asimmetriche con singoli paesi europei. Per di più, fino a due anni fa, l’Ue poteva contare su una sponda abbastanza solida oltre oceano. Ma nella visione di Trump la sicurezza dell’Europa non è così cruciale, e anche per lui l’Ue è un inciampo. È più importante per Trump stabilire un accordo con il Cremlino sulla gestione dei conflitti e la mappa del potere in Medio Oriente.
In tutto questo, la settimana scorsa, la “massima esperta” di questioni europee dei Cinque Stelle, alla domanda posta da Lilli Gruber a Otto e Mezzo su cosa voterebbe in un referendum sull’uscita dall’Euro convocato dal suo stesso partito, in prima battuta ha risposo che «non si dice per cosa si vota». Poi, incalzata dalla conduttrice incredula a dire cosa secondo lei sarebbe meglio per l’Italia, conclude: «veramente non lo so»!
Ora, se è vero che ha interesse ad avere intorno a sé una Europa debole e confusa, per chi volete che tifi Vladimir Putin?
(*) Pubblicato su Democratica