Chi ha paura del referendum?
[Mio intervento su Il Fatto quotidiano]. Quel che è stato – fino ad ora, del referendum – è stato. Chi lo ha promosso ha avuto ragione. Chi si è impegnato nella raccolta delle firme ha dato ai cittadini l'occasione per esprimere una domanda di cambiamento di cui l'Italia ha disperatamente bisogno. Chi è rimasto alla finestra ha dimostrato di non capire quella domanda o di non volerla interpretare. Più di un milione e duecentomila firme indicano una intenzione più forte di quella registrata nel 1993, per il referendum che travolse la Prima Repubblica, quando se ne raccolsero poco meno in molto più tempo. Ora si tratta di investire nel migliore dei modi il capitale accumulato. Soprattutto, si deve rspettare la volontà espressa dai cittadini che hanno firmato e dai molti, molti, molti di più che avrebbero firmato se solo avessero trovato un banchetto nel loro quartiere, magari davanti ai circoli del Pd.
Non sarà una passeggiata. L'imponente segnale lanciato dai cittadini rende più probabile la dichiarazione di ammissibilità dei quesiti. I dubbi espressi sul piano giuridico sono infatti fragili e controvertibili, mentre la Corte ha dimostrato più volte, ad esempio pochi mesi fa riguardo al nucleare, di far prevalere la sostanza delle domande poste dai ed ai cittadini rispetto a cavilli irragionevoli. Ma, tanto maggiore la probabilità che l'obiettivo di cambiare il sistema elettorale si realizzi, tanto più ciniche e sfrontate saranno le manovre di chi vuole conservarlo com'è.
In questo caso, le alternative sono nette e gli opposti schieramenti, quindi, facilmente identificabili. È del tutto ovvio che il porcellum si cambia solo con il referendum. Se il referendum si tenesse la prossima primavera, i Sì sarebbero una valanga. Segnerebbero, come nel '93, una cesura che va oltre la legge elettorale, imponendo un ricambio profondo della "classe dirigente" e quindi chi vuole congelare l'equilibrio malato esistente ha due possibilità: a) premere sulla Corte Costituzionale perchè non ammetta i quesiti; b) provocare lo scioglimento anticipato delle Camere.
Al primo sport si stanno già dedicando in parecchi. Ma, posto che la Consulta decida in scienza e coscienza, il vero discrimine sarà la data delle elezioni. Tenerle di nuovo con l'attuale sistema sarebbe come uccidere il Parlamento, già segnato da una riprovazione sociale senza limiti. Significherebbe costituire un Governo già azzoppato, destinato a subire, ad un anno dall'investitura, l'onta di una sconfessione di massa verso il sistema con cui si è formata la sua base parlamentare.
Naturalmente, sarebbe meglio battere e mandare a casa il centrodestra subito. Come accadrebbe nel Paese normale che purtroppo non siamo. Al punto in cui siamo, per cambiare pagina, per superare il ventennio berlusconiano, è indispensabile passare attraverso il bagno referendario. Servono un anno di transizione e un Governo di responsabilità nazionale che, messo da parte Berlusconi, ristabilisca la credibilità dell'Italia sul piano finanziario, attenui la sfiducia generalizzata verso le istituzioni, includa le parti sociali in un Patto per la crescita, come fece il governo Ciampi, consentendo al tempo stesso ai cittadini di esprimersi sulle modalità per scegliere chi li rappresenta. Il PD non può rimanere anche stavolta in mezzo al guado. Dovrebbe dire "senza sè e senza ma" che questa è la strada maestra, e agire di conseguenza, qualora se ne creino le condizioni.
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