Perché no il voto ai diciottenni?
Durante l'esame del disegno di legge Meloni sul diritto di voto e la possibilità d'essere candidati al Parlamento, la Camera dei Deputati, seguendo il parere contrario del Governo, ha bocciato un mio emendamento che avrebbe riconosciuto il diritto di voto per il Senato ai diciottenni. A dire il vero, il PD, per bocca del Capogruppo in Commissione Affari Costituzionali, ha contribuito alla bocciatura dichiarandosi per l'astenensione, anche se diversi deputati PD hanno votato a favore. La bocciatura è del tutto in contrasto con la retorica spesa a piene mani nelle ore precedenti sulla maturità dei giovani, sulla necessità di valorizzarne i talenti e di estendere pertanto ai diciottenni la possibilità di essere eletti alla Camera dei Deputati. Ai diciottenni, a cui si riconosce le qualità per entrare a Montecitorio, si nega invece il diritto di votare per il Senato. L'elezione alla Camera è ovviamente una mera eventualità, destinata a verificarsi raramente, come ho dimostrato con dati comparativi. L'estensione del diritto di voto per il Senato sarebbe stata invece una innovazione ad effetto certo. L'argomento usato dalla Ministra Meloni per escluderla (la necessaria equiparazione tra elettorato attivo e passivo) è del tutto inconsistente. La ragione vera purtroppo è piuttosto banale: il tentativo un po' patetico di mantenere una fittizia differenziazione tra le due Camere, una inutile foglia di fico per giustificare l'attuale inutile 'bicameralismo perfetto', sperando che questo agevoli il passaggio della legge a Palazzo Madama. Di seguito i video e il testo dei miei interventi in Aula.
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Resoconto stenografico dell'Assemblea – Seduta n. 522 di mercoledì 21 settembre 2011
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sul complesso delle proposte emendative l'onorevole Vassallo. Ne ha facoltà.
SALVATORE VASSALLO. Signor Presidente, il provvedimento che stiamo discutendo produce un risultato certamente apprezzabile, soprattutto sul piano simbolico, perché segnala l'interesse del Parlamento a valorizzare il ruolo delle giovani generazioni in un Paese che, spesso, è stato giustamente definito un Paese non ospitale per i giovani – di frequente si dice che sia, piuttosto, un Paese per vecchi -, un Paese nel quale ai giovani si affidano condizioni contrattuali nel mercato del lavoro molto peggiori di quelle dei loro genitori e dei loro nonni, con una prospettiva di crescita nel campo professionale molto più complicata e un fardello pesantissimo, in termini di debito pubblico, e posizioni, quelle più ambite, quasi sempre occupate per lungo tempo da persone molto più anziane di loro.
È certamente positivo, quindi, che il Parlamento abbia deciso di approvare una norma che ha questo afflato ed è volta a valorizzare il ruolo dei giovani nella vita pubblica. Credo che, però, questo provvedimento sia stato accompagnato da un'enfasi forse eccessiva riguardo agli effetti che concretamente potrà avere, ed è anche viziato da alcune grandi ipocrisie. È giusto che l'età alla quale si può teoricamente essere eletti alla Camera venga portata a 18 anni e, in questo modo, quindi, venga equiparata all'età prevista per l'esercizio dell'elettorato attivo; però va detto che tutti i Paesi che l'hanno già sperimentato, che hanno già ridotto l'età alla quale si può essere eletti, dimostrano che ciò non ha grandi effetti. Vi è una tabella molto istruttiva, che è stata allegata giustamente al progetto di legge, nella quale sono riportate le età alle quali è fissato il diritto di elettorato attivo e passivo in tutti i Parlamenti europei e dove si vede che, effettivamente, in quasi tutti i Paesi essa è stata riportata a 18 anni. Tuttavia, per un vizio che deriva dalla mia professione, ho cercato di capire anche in concreto che cosa questo voglia dire. Se, per esempio, si considerano solo i grandi Paesi con cui ha senso comparare l'Italia, in Francia, nell'ultima legislatura, i due parlamentari eletti più giovani hanno 28 e 29 anni, in Germania vi è un solo parlamentare che aveva 23 anni al momento dell'elezione, due 24 e tre 25 anni; nel Regno Unito vi è un solo parlamentare eletto, nell'ultima legislatura, che, al momento dell'elezione, aveva 25 anni e in Spagna uno che ne aveva 22 e due che ne avevano 25. Stiamo parlando, nel caso della Spagna, di un Paese che, negli ultimi trent'anni, ha avuto sempre capi del Governo che si sono insediati quando avevano intorno ai quarant'anni e che intorno ai cinquant'anni erano già quasi definitivamente usciti di scena. Sappiamo che la situazione italiana è molto diversa da questo punto di vista e, quindi, francamente, possiamo attenderci che questa modifica non avrà lo straordinario impatto che alcuni dei nostri colleghi hanno raccontato.
Infatti, è del tutto evidente che non basta aprire un piccolo varco teorico in basso se, invece, il tetto in alto rimane intoccabile. Certo, più efficace sarebbe stata, per esempio, una norma, di cui riconosco la discutibilità sul piano costituzionale, che impedisse la non reiterabilità dei mandati oltre un certo limite.
Dunque è un provvedimento certamente giusto sul piano simbolico, un po' forse enfatizzato nei suoi effetti concreti – un qualche effetto potrà averlo la riduzione da 40 a 25 dell'età per l'elettorato passivo nel caso del Senato – però nasconde anche alcune pesanti ipocrisie.
La prima riguarda l'oggetto a cui si applicavano emendamenti che ho presentato e che sono stati dichiarati inammissibili. Come lei ha correttamente ricordato, ad oggi questi emendamenti sono tecnicamente inammissibili e lo erano anche al momento in cui li ho presentati in Commissione. Ma non lo sarebbero stati se quando ho suggerito, ad esempio prima che fosse approvato un testo base in Commissione, che questa poteva essere un'occasione per affrontare in tempi brevi e in maniera efficace la questione del numero dei parlamentari, la questione fosse stata presa in considerazione dal Ministro, dai gruppi politici, dal presidente della Commissione perché sarebbe stato possibile, ad esempio, in quella fase ampliare l'ambito di applicazione dei progetti ed eventualmente rivedere l'intesa che so che esiste tra Camera e Senato riguardo alla competenza su questa materia. Era possibile farlo in un momento nel quale era necessario dare un forte segnale all'opinione pubblica: mentre ci stavamo impegnando ad approvare una pesante manovra, avremmo potuto rapidamente, come era opportuno, dare un segnale proprio su questo versante.
La stessa idea peraltro è richiamata implicitamente dalla medesima tabella di cui parlavo prima. Infatti se uno scorre questa tabella vede rapidamente che non ci sono altri Paesi in Europa, ripeto non ci sono altri Paesi in Europa nei quali esistano due Camere entrambe elette direttamente con piena prerogativa di potestà legislativa e con la capacità di dare o ritirare la fiducia al Governo. L'esistenza di due Camere che facciano il medesimo lavoro è un unicum assoluto nelle democrazie con forma di Governo parlamentare. Se poi si considera il numero dei parlamentari in rapporto alla popolazione anche questi numeri dichiarano l'urgenza di un serio ripensamento. Basta dire che in Germania con 82 milioni di cittadini sono 603 i deputati eletti direttamente che esprimono la fiducia al Governo, con rapporto di un eletto ogni 137 mila abitanti e in Italia questo rapporto è di 1 a 60 mila.
Dunque, c'è un po' di ipocrisia nell'approvazione di questo progetto perché non si è voluto – oggi non è tecnicamente possibile – ma nel corso dell'esame non si è voluto deliberatamente caricarlo di un contenuto assai più incisivo come quello della riduzione del numero dei parlamentari. Credo che vi sia anche qualche problema che nasconde un'ulteriore ipocrisia nella non perequazione dell'elettorato attivo e passivo nel caso della Camera e del Senato, perché si è giustamente deciso di abbassare il diritto dell'elettorato passivo da 40 a 25 anni nel caso del Senato, rendendo di fatto evidente che si tratta sostanzialmente di una Camera gemella, identica a quella nella quale oggi ci troviamo, ma non si è voluto per qualche ragione fare il passo successivo, cioè di ridurre anche in quel caso il diritto all'elettorato attivo a 18 anni e su questo verte un mio emendamento che non riguarda l'articolo 2 e quindi lo riprenderò. Qui però credevo fosse opportuno, credo sia stato opportuno ribadire l'importanza ma anche i limiti, nel senso dell'efficacia circoscritta di una iniziativa come questa (lo dimostrano i dati).
D'altro canto, i dati corrispondono ad una comprensione che altri colleghi hanno esposto con termini che io non riuserei ma che nella sostanza condivido. Lo dico sulla base di un'esperienza, ancora una volta, professionale. I diciottenni di cui si sta parlando dovrebbero essere, nella mia percezione e nella mia esperienza personale, i miei studenti universitari della laurea triennale di scienze politiche e, pur trattandosi in quel caso di persone che, avendo scelto una facoltà di scienze politiche, hanno dimostrato un particolare interesse per la materia, francamente, non sono persone a cui consiglierei, in una fase delicatissima della loro formazione personale, nel tentativo di costruire una propria identità professionale, di professionalizzarsi così precocemente alla vita politica. I dati europei, del resto, ci dimostrano che, anche quando questo è possibile, non si verifica.
Quindi, lo ripeto, è giusto dare questo segnale: in linea di principio, consento sull'idea che vi sia una corrispondenza e, comunque, sia portato a 18 anni l'elettorato passivo anche per la Camera. Mi permetto di sottolineare che non è questo il modo attraverso cui si risolvono i problemi di cui parlavo all'inizio – cioè, di un Paese invecchiato ed ostile nei confronti dei giovani -, che vi sono problemi più importanti di cui questo provvedimento si sarebbe potuto far carico e che, per un'inerzia deliberata e politicamente voluta, questo non si è verificato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
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PRESIDENTE. Chiedo al presentatore se acceda all'invito al ritiro dell'emendamento Vassallo 3.5 formulato dal relatore.
SALVATORE VASSALLO. Signor Presidente, non intendo ritirare il mio emendamento 3.5 e cercherò di esporne le ragioni. Com'è noto, l'Assemblea costituente cercò di trovare giustificazioni diverse al bicameralismo italiano, ipotizzando un Senato rappresentativo degli interessi corporativi o degli enti territoriali o eletto con un sistema maggioritario rispetto alla Camera. Nessuna di queste funzioni fu adottata e le uniche giustificazioni che, poi, ressero la scelta di un sistema bicamerale furono l'elezione cosiddetta a base regionale e l'età maggiore dei senatori rispetto a quella dei deputati, che avrebbe dovuto conferire al Senato una maggiore capacità riflessiva.
Noi sappiamo benissimo che sia l'elezione su base regionale sia la maggiore età non hanno prodotto alcuna differenza nell'operatività e nell'attività del Senato ed oggi temo che la proposta che ci avanza il Governo serva solo a mantenere una di queste foglie di fico. Infatti, si dice che vi è, in fondo, una differenza tra Camera e Senato, che sarebbe data – guardate un po' – dal fatto che alla Camera si può votare e si viene eletti a diciotto anni, mentre al Senato a venticinque.
Questo tentativo di mettere una foglia di fico genera, però, una contraddizione ancora più evidente: da un lato, diciamo che i diciottenni sono a tal punto maturi da poter essere parte di quest'Aula, essere a pieno titolo membri della Camera dei deputati, dall'altro lato, però, diciamo che essi non possono votare, appellandoci ad un principio che non esiste, cioè al principio secondo cui, in assoluto, dovrebbero essere sempre e comunque equiparati l'elettorato attivo e passivo. Lo ha ricordato un attimo fa l'onorevole Zaccaria: non tutti coloro che lo votano possono essere Presidenti della Repubblica; la nostra Costituzione riconosce che devono avere almeno cinquant'anni. Si discute di riforme del Senato che prevedono, ad esempio, l'elezione solo di coloro che abbiano svolto attività amministrativa, laddove si vuol dare al Senato una certa «torsione autonomistica», ma naturalmente potranno votare anche coloro che non hanno svolto attività amministrativa.
Quindi, se proprio si vuole mantenere questa foglia di fico per cui bisogna avere un Senato con persone elette più tardi, perché questo conferirebbe al Senato stesso maggiori capacità riflessive, non si capisce perché i diciottenni che votano per la Camera non dovrebbero votare anche per il Senato. Ciò, tenendo conto di un altro fattore, che è ben noto e, cioè che, oggi, questa fittizia difformità, forzosa difformità nell'elettorato di Camera e Senato può generare una difformità nelle maggioranze delle due Camere, benché entrambe le Camere, com'è noto, abbiano il potere di conferire la fiducia. Quindi, riportando il diritto di voto per il Senato a diciotto anni, non solo sanciremmo un'ovvietà che abbiamo già condiviso – e, cioè, che i cittadini italiani che hanno diciotto anni hanno tutte le qualità per poter esprimere e domandare rappresentanza tanto per la Camera quanto per il Senato -, ma faremmo anche venir meno uno dei vizi attuali della formazione della rappresentanza politica, quello cioè che può generare una difformità di maggioranze tra Camera e Senato.