Come funziona l’ungherese
Si torna a parlare di riforma del sistema elettorale per Camera e Senato. Sacrosanta ambizione, se si considera com’è fatto l’attuale, anche se ad oggi è difficile dire quante siano le possibilità di trovare in questa legislatura una maggioranza per approvarla, senza produrre danni ulteriori. Siccome.si racconta che qualcuno nel Pd avrebbe in animo di proporre un sistema elettorale simile a quello in uso in Ungheria, vari appassionati dell’argomento mi hanno chiesto delucidazioni. Francamente del progetto Pd non so. Qui mi limito, per rispondere alle curiosità degli appassionati, a dire in sintesi quello che i politologi sanno dell’ungherese.
Tra i politologi comparatisti il sistema elettorale adottato in Ungheria è noto perché combina in modo abbastanza ardito una molteplicità di meccanismi e principi rappresentativi. Chi l’ha studiato meglio, Kenneth Benoit, un ricercatore giustamente reputato nel settore, scrive che “è, dimostrabilmente, il più complicato al mondo” (p.235). Rinvio per ogni dettaglio al.paper da cui sono tratte questa e le seguenti citazioni, pubblicato in un importante volume (The politics of electoral systems, a cura di Michael Gallagher e Paul Mitchell, Oxford University Press), ma messo dallo stesso autore a disposizione dei navigatori.
Stando agli elementi essenziali:
- 176 dei 386 seggi disponibili per l’unica camera di cui si compone il parlamento ungherese sono assegnati in collegi uninominali con doppio turno di voto. Al secondo turno, che si svolge laddove nessuno dei candidati abbia raggiunto la maggioranza assoluta dei voti al primo, sono ammessi i tre meglio piazzati e comunque tutti quelli che abbiano ottenuto almeno il 15% dei voti. Ciò vuol dire che al secondo turno si può vincere anche con la maggioranza relativa.
- Una seconda quota di 152 seggi è ripartita, con una formula proporzionale simile al d’Hondt, sulla base di una competizione tra liste bloccate di ambito regionale. Gli elettori votano distintamente per i candidati nei collegi uninominali e per le liste di questa seconda quota.
- Infine, 58 seggi sono assegnati tra liste bloccate di ambito nazionale, con formula proporzionale diversa dalla precedente.
- L’accesso alla ripartizione dei seggi della seconda e della terza quota è riservato ai partiti che hanno raggiunto almeno il 5% dei consensi. I voti considerati ai fini della ripartizione dei seggi a questi due livelli sono depurati da quelli usati per eleggere deputati nei livelli precedenti.
È sempre Benoit a ricordare che “la legge 34 del 1989 è una leggenda negli annali della politica dei sistemi elettorali, sia per le circostanze responsabili della sua ideazione, sia per i complessi e spesso imprevedibili modi in cui partiti e candidati hanno modificato le loro strategie per rispondere agli incentivi che essa esercita” (p. 231).
Questo complicato sistema fu inventato nell’estate del 1989, durante colloqui durati alcuni mesi tra gli esponenti del regime comunista e i vari nascenti partiti di opposizione. Fu il frutto di infinite mediazioni tra aspettative contrastanti e di elaborazioni svolte senza la bussola di una conoscenza comparativa dei sistemi elettorali e dei loro effetti politici.
A ragione delle sue peculiari caratteristiche (tre diversi livelli di ripartizione dei seggi, con tre formule di conversione dei voti in seggi e tre diverse soglie di accesso alla rappresentanza), il sistema elettorale ha prodotto esiti altalenanti e talvolta bizzarri. “È stato responsabile di strani esiti”, dice Benoit. Come si vede dalla tabella che segue, nel 2006, ad esempio, ha prodotto una ripartizione pressoché proporzionale dei seggi rispetto ai voti. Nel 1990, nel 1994 e nel 2010 ha notevolmente sovra-rappresentato il primo partito. Sia nel 1998 che nel 2002, casi ancora più “strani”, ha dato la maggioranza relativa dei seggi al partito arrivato secondo.