Ridurre le Province
In questa legislatura ho presentato due progetti di legge costituzionale che prevedevano un drastico ridimensionamento delle province e una ridefinizione delle competenze delle Province, circoscritte alle funzioni di coordinamento e collaborazione tra i comuni. Purtroppo su questo tema esistono opposizioni trasversali ai partiti e agli schieramenti politici. Il Governo Monti stava per riuscire nell’impresa di ridurre il numero di province e trasformare i consigli provinciali in organi eletti in secondo grado dagli amministratori comunali. Scelta da me già proposta a partire dal 2009, quando questa posizione era assolutamente minoritaria in Parlamento e nel gruppo PD. Per renderla effettiva, ho presentato una proposta di legge elettorale che risolveva i problemi di un’analoga proposta presentata dal Governo. Con la chiusura anticipata della legislatura il decreto di riordino delle province è stato congelato fino al prossimo anno, ma nella prossima legislatura sarà essenziale portare a termine la riforma in modo organico; se sarò rieletto, continuerò a battermi contro le resistenze corporative che finora non l’hanno permesso.
Qui il.progetto di legge costituzionale per un drastico ridimensionamento delle province da me elaborato, sottoscritto anche da altri otto deputati PD. Di seguito un resoconto sul dibattito che si è svolto sull’argomento in Commissione Affari Costituzionali e in Aula alla Camera, tra il 2009 e il 2011. Di seguito le norme contenute a tale riguardo nella manovra Salva Italia. La discussione, all’inizio del 2012, era ripresa in Commissione Affari costituzionali alla Camera, dove era stato costituito al riguardo un comitato ristretto di cui facevo parte.
18 gennaio. È utile tenere a mente questa data per confrontarla con le ultime puntate (25 e 30 maggio e 7 giugno), dell’iter legislativo di cui si tratta.
Il 18 gennaio la Camera avrebbe dovuto esaminare una proposta di legge di revisione costituzionale che prevede l’abolizione delle province, un progetto destinato ad essere rapidamente bocciato dall’Aula perché solo due partiti sono (ufficialmente) schierati su questa linea: l’Udc e l’Idv. Fu invece approvata, su richiesta del Presidente della Commissione Affari Costituzionali, Donato Bruno (PdL), e con il voto del centrodestra, il ritorno in Commissione, con l’obiettivo, si disse, di soluzioni dotate di sufficiente consenso, a metà strada tra l’abolizione “totale” delle Province e lo status quo. I dubbi sulla sincerità degli uni e degli altri li avevo allora e rimangono.
Attorno a questo tema ci sono infatti enormi ipocrisie. Simili a quelle che circondano, per intendersi, la revisione del bicameralismo e la riduzione del numero dei parlamentari. Molti di coloro i quali chiedono, urlando, l’abolizione delle Province lo fanno sapendo che non passerà (ed alcuni tra loro ne sono ben contenti). Non passerà non solo per resistenze corporative del ceto politico locale, ma perché un ente di livello intermedio è strutturalmente necessario, tanto più in presenza di molti comuni di piccole dimensioni. Non esistono paesi in Europa in cui manchi un ente con funzioni di area vasta, di coordinamento e collaborazione inter-comunuale. Difficile dire che le province siano un’invenzione del tutto superflua o eccentrica (mentre è sicuramente vero che non esiste al mondo un altro sistema parlamentare con due Camere perfettamente gemelle per composizione e funzioni come in Italia).
Ciò detto, fino a quando ci saranno in giro solo tifosi (di fede incerta) dell’abolizione totale delle Province, chi vuole mantenere intatto lo status quo può stare sereno. E sono parecchi, ben distribuiti, solidamente al comando e variamente mimetizzati, in tutti gli schieramenti.
Personalmente non penso che le cose dovrebbero rimanere proprio come stanno. Con un debito fuori misura e poche risorse per rilanciare l’economia non possiamo non porci l’obiettivo di snellire lo stato, dove è possibile e giusto. Oggi capita che, in alcuni casi, troppo ricorrenti, le Province si diano obiettivi guidati più dalle esigenze di visibilità, dall’estro o dall’intuito degli amministratori che dagli interessi dei territori (esistono politiche provinciali per la diffusione della cultura locale o della pace nel mondo); i loro apparati amministrativi sono sovradimensionati, rispetto alle funzioni fondamentali che dovrebbero svolgere; i consigli provinciali sono quasi sempre l’arena di dibattiti che svolazzano per l’iperuranio di temi totalmente estranei alle loro concrete prerogative (me lo confermano anche conoscenti che ne fanno esperienza dall’interno). Nei consigli provinciali si discute di testamento biologico e riconoscimento dello stato di Palestina, degli aiuti allo sviluppo o dei contratti Fiat di Pomigliano e Mirafiori, come se ciascuna delle oltre cento Province potesse assommare le competenze del Parlamento nazionale e dell’Onu.
Mi sono fatto quindi l’idea che occorra circoscrivere rigidamente, in Costituzione, le competenze delle Province alle funzioni di coordinamento e collaborazione tra i comuni. E che occorra stabilire un rapporto più diretto di controllo e rendiconto tra i Presidenti di provincia e gli amministratori comunali, a cui non verrebbe mai in mente di gingillarsi con discussioni prive di senso ma eserciterebbero un controllo un poco più efficace sul modo in cui i governi provinciali spendono i soldi dei contribuenti. Si dovrebbe mantenere l’elezione diretta dei Presidenti di provincia costretti però a confrontarsi con un consiglio espressione dei Comuni.
Nel giugno 2009 ho depositato una proposta di legge (qui il pdf), la prima presentata nella XVI Legislatura che vada in questa direzione: non di una improbabile abolizione totale, ma di una mirata e incisiva razionalizzazione. Quando sono state calendarizzate e discusse le proposte abolizioniste ho ovviamente perorato questa causa che, miracolosamente, si è andata affermando anche tra parlamentari del PdL e della Lega (meno, a dire il vero, tra i commissari PD). Cosicché, il giorno in cui la proposta di “abolizione totale” era sul punto di essere votata in Aula, il presidente della Commissione, Donato Bruno, ha proposto il ritorno in Commissione per un “approfondimento”.
Allora ebbi ovviamente il dubbio che all’ipocrisia degli abolizionisti se ne stesse affiancando una seconda. Il PdL e la Lega con tutta probabilità non hanno nessuna intenzione di razionalizzare alcunché, ma non volevano passare, alla vigilia delle amministrative, per quelli che votano contro (in Aula) l’abolizione delle Province, da loro esponenti a più riprese propagandata.
Ciononostante, ho cercato di non perdere questa possibile occasione e ho chiesto di entrare nel Comitato ristretto della Commissione Affari Costituzionali incaricata di riesaminare l’argomento. La discussione ha ruotato in un paio di occasioni su uno schema che avevo predisposto per mettere in evidenza le posizioni dei vari gruppi e di singoli deputati che hanno presentato progetti a titolo individuale. La rappresentazione che ne emerge è di qualche interesse.
Sul continuum tra cambiamento e mantenimento dello status quo troviamo due posizioni estreme. Da un lato IDV e UDC che, con i dubbi già espressi, sono ufficialmente per l’abolizione assoluta e generalizzata delle Province. Dall’altro la maggioranza del PD che esprime una posizione “onestamente” conservatrice. Il massimo a cui si spingono fino ad ora le proposte e gli emendamenti dei colleghi Bressa, Zaccaria, Giovanelli, Fontanelli (i più esperti e autorevoli all’interno del gruppo sull’argomento) consiste nel prevedere che «La costituzione delle Città metropolitane comporta la soppressione delle Province nel medesimo territorio su cui insistono e il trasferimento delle rispettive funzioni fondamentali». E che «la soppressione delle province o il mutamento delle circoscrizioni provinciali è stabilito con legge della Repubblica sentiti i Comuni interessati». Ho raccolto singoli pareri favorevoli a lavorare sul successivo punto (a) ma una evidente preferenza per interventi che non incidano sull’ordinamento costituzionale, a mio avviso poco efficaci e comunque reversibili.
Nello schema da me predisposto, su cui si era avviata la discussione del Comitato ristretto, sono riportate le posizioni intermedie. Se fossero mantenute dai proponenti, e se magari ci fosse qualche riflettore acceso che richiami alla coerenza chi è “riformatore” sono in campagna elettorale, si potrebbe teoricamente convergere, con gradi decrescenti di probabilità, su quattro possibili innovazioni.
1) La definizione di soglie minime a carattere demografico e/o di estensione finalizzate a ridurre il numero delle province ed impedirne di nuovo la proliferazione;
2) Una definizione della missione delle Province che limiti l’espansione “a piacere” delle loro funzioni amministrative
3) La trasformazione dei Consigli in Assemblee dei sindaci in modo da ridurre i costi e l’entità del personale politico, da raccordare più direttamente le Province con i Comuni, e avere un organismo più efficace di indirizzo e controllo delle Giunte provinciali.
4) Una definizione più chiara delle specificità delle Città Metropolitane, per evitare che siano poco più che Province chiamate in un altro modo.
Bene. O meglio, non prorio. Sono passati più di quattro mesi dalla data citata all’inizio, quattro mesi non proprio stressanti per l’agenda parlamentare. Nella riunione della Commissione Affari Costituzionali di mercoledì 25 maggio, contrariamente alle (apparenti) premesse, è andata in scena una rappresentazione che pare a tutti gli effetti il prologo dell’epilogo. Il Presidente Bruno, che in questo periodo non ha esercitato alcun impulso effettivo affinché il comitato ristretto svolgesse il lavoro istruttorio da lui stesso proposto, nel giro di trenta secondi: a) prende atto che il tempo concesso per l’istruttoria è scaduto; b) che non c’è disponibilità da parte dell’Idv a concordare su una ulteriore proroga; c) che per il 30 di maggio è fissata la ripresa dell’esame in Aula; d) mette pertanto ai voti il primo emendamento, integralmente soppressivo del progetto IDV, sottoscritto dai capigruppo Pd, PdL e Lega, che viene ovviamente approvato a larga maggioranza. L’IDV potrà dire nei prossimi giorni della campagna elettorale che “tutti gli altri”, coalizzati, hanno “votato contro il progetto di abolizione delle Province”. Lo potrà dire solo perché ha scelto deliberatamente di rompere e di NON raggiungere quindi nessun risultato. Mentre d’altro canto i dubbi sulla volontà riformatrice degli altri, fino a prova contraria, in effetti non vengono meno.
Bisogna tener presente che la data del 30 maggio era puramente figurativa. Si sapeva già al momento in cui si riunì la Commissione che degli oggetti all’ordine del giorno per il 30 si sarebbe trattato solo il primo. E la (non) abolizione delle province era all’ultimo posto. Idem nel caso della seduta del 7 Giugno: il punto era di nuovo all’ordine del giorno dell’Aula, sempre all’ultimo posto. Nonostante le premesse, ho presentato tre emendamenti al progetto di legge (AC 1990) che rappresentano la posizione che avevo maturato nel mesi precedenti.
Dopo l’esame in Aula, il voto del PD contro l’abolizione delle Province ha provocato molte reazioni negative anche tra gli iscritti. In coerenza con la posizione tenuta in Commissione, ho inviato un messaggio a tutti i deputati del gruppo. Alla lettera è seguito un lancio dell’Ansa e di altre agenzie, ripreso dal Sole 24 Ore e da Europa, che ha pubblicato al riguardo anche un mio articolo sabato 9 luglio. Il 13 luglio ho depositato un nuovo progetto di legge, di cui sono primo firmatario, sottoscritto anche da altri 8 deputati del PD.
Il Governo Monti è poi intervenuto sulla materia con il cosiddetto Decreto Salva Italia. Ecco come.
Decreto Legge 6 dicembre 2011, n. 201, come modificato dalla legge di conversione 22 dicembre 2011, n. 214, recante: «Disposizioni urgenti per la crescita, l’equita’ e il consolidamento dei conti pubblici.». Art. 22, commi 14-22
14. Spettano alla Provincia esclusivamente le funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.
15. Sono organi di governo della Provincia il Consiglio provinciale ed il Presidente della Provincia. Tali organi durano in carica cinque anni.
16. Il Consiglio provinciale è composto da non più di dieci componenti eletti dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel territorio della Provincia. Le modalità di elezione sono stabilite con legge dello Stato entro il 31 dicembre 2012.
17. Il Presidente della Provincia è eletto dal Consiglio provinciale tra i suoi componenti secondo le modalità stabilite dalla legge statale di cui al comma 16.
18. Fatte salve le funzioni di cui al comma 14, lo Stato e le Regioni, con propria legge, secondo le rispettive competenze, provvedono a trasferire ai Comuni, entro il 31 dicembre 2012, le funzioni conferite dalla normativa vigente alle Province, salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, le stesse siano acquisite dalle Regioni, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. In caso di mancato trasferimento delle funzioni da parte delle Regioni entro il 31 dicembre 2012, si provvede in via sostitutiva, ai sensi dell’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, con legge dello Stato.
19. Lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, provvedono altresì al trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali per l’esercizio delle funzioni trasferite, assicurando nell’ambito delle medesime risorse il necessario supporto di segreteria per l’operativita’ degli organi della provincia.
20. Agli organi provinciali che devono essere rinnovati entro il 31 dicembre 2012 si applica, sino al 31 marzo 2013, l’articolo 141 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Gli organi provinciali che devono essere rinnovati successivamente al 31 dicembre 2012 restano in carica fino alla scadenza naturale. Decorsi i termini di cui al primo e al secondo periodo, si procede all’elezione dei nuovi organi provinciali di cui ai commi 16 e 17.
20-bis. Le Regioni a Statuto speciale adeguano i propri ordinamenti alle disposizioni di cui ai commi da 14 a 20 entro sei mesi dall’entrata in vigore del presente decreto. Le medesime disposizioni non trovano applicazione per le Province Autonome di Trento e di Bolzano.
21. I Comuni possono istituire unioni o organi di raccordo per l’esercizio di specifici compiti o funzioni amministrativi garantendo l’invarianza della spesa.
22. La titolarita’ di qualsiasi carica, ufficio o organo di natura elettiva di un ente territoriale non previsto dalla Costituzione e’ a titolo esclusivamente onorifico e non puo’ essere fonte di alcuna forma di remunerazione, indennita’ o gettone di presenza, con esclusione dei comuni di cui all’articolo 2, comma 186, lettera b), della legge 23 dicembre 2009, n. 191, e successive modificazioni.