Con i collegi uninominali la partita è aperta
Le stime presentate di seguito danno un’idea di come funziona il nuovo sistema elettorale e dei suoi effetti sulla distribuzione dei seggi, considerando diversi scenari, tutti plausibili sulla base dei sondaggi pubblicati negli ultimi due mesi. Prima di procedere nella lettura tenete però bene a mente questo. Se qualcuno vi dice che ha calcolato il numero esatto dei seggi che andrebbero a ciascun partito sulla base dell’ultimo sondaggio diffidate o, meglio, fatevi una risata. Per due ragioni, tutte e due amplificate dalle caratteristiche (positive) della legge elettorale in vigore (cioè dalla sua componente uninominale maggioritaria) e dalla struttura tripolare della competizione.
In primo luogo perché i sondaggi hanno un margine di errore almeno pari al 3%, sempre che siano stati condotti in modo accurato e non siano stati invece riponderati per le più varie esigenze di propaganda o comunicazione. Ora, una variazione del 3% a vantaggio di un partito e a svantaggio di altri può portare, come vedremo, a cambiamenti importanti nel numero dei seggi vinti nei collegi uninominali.
In secondo luogo perché il voto ai partiti si distribuisce come è noto in maniera disomogenea sul territorio nazionale, e per avere dati di sondaggio affidabili con un livello di dettaglio adeguato a stimare il voto per ogni partito nei singoli collegi occorrerebbe un investimento irragionevole per un singolo committente.
Per attenuare il secondo problema si possono usare i risultati delle elezioni 2013 trasposti nei nuovi collegi elettorali per il 2018, in modo da avere una misura della distribuzione territoriale del voto ai diversi partiti e quindi stimare l’impatto delle nuove aggregazioni e delle tendenze grosso modo rilevate dai sondaggi (al livello nazionale o per macro-aree). Le stime presentate di seguito sono basate su questo metodo.
La prima tabella riporta il risultato in seggi delle elezioni 2018 per la Camera, dopo aver elaborato i dati del 2013 simulando flussi di voto plausibili che portano ciascun partito e ciascuna coalizione ai valori medi delle intenzioni di voto stimate dai sondaggi degli ultimi due mesi. Simulare flussi plausibili vuol dire assumere, ad esempio, che Liberi e Uguali (LeU) prendano voti soprattutto da ex elettori di Rivoluzione Civile, SEL e PD o che gli alleati minori del centrosinistra li prendano soprattutto da ex elettori di Scelta Civica, Fare (Giannino), Centro Democratico, UDC, e così via.
Ci sono peraltro ancora incertezze sulla esatta conformazione delle alleanze. Ancora non sappiamo quante liste accompagneranno il PD e non abbiamo alcuna misura affidabile sui consensi della «quarta gamba» appena aggiunta al tavolo del centrodestra. È inoltre difficile prevedere come verranno distribuiti i collegi vincenti tra i partiti della stessa coalizione. In questa e nella successiva simulazione vengono quindi considerati i seggi conquistati dal centrosinistra (PD e alleati) e dal centrodestra (Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia) nel complesso.
A causa della distribuzione territoriale del suo elettorato, il centrosinistra (CS) risulta penalizzato in questa prima stima (Tabella 1). Con una distanza minima in voti, il centrodestra (CD) lo stacca di cinque punti arrivando al 39% dei seggi. Ma è anche vero che, in questo scenario, in 59 collegi uninominali il CS risulta secondo ad una distanza dal primo di meno di 5 punti percentuali. I collegi contendibili sia per i candidati grillini sia per quelli del CD sarebbero invece solo 21. Basterebbe quindi un cambiamento negli orientamenti di voto non percepibile dai sondaggi prodotto dalla prestazione dei candidati di collegio per ribaltare il risultato a vantaggio del CS, o anche accentuare la vittoria del CD. All’epoca della legge Mattarella è capitato spesso che la somma delle percentuali di voto per i partiti del CD fosse superiore ai voti presi dai candidati comuni nei collegi, mentre accadeva il contrario nel CS. In questo caso il voto è unico, non può essere differenziato, ma non sappiamo ancora come si combineranno nel determinare la scelta finale degli elettori il giudizio sui partiti e i loro leader (attualmente misurato dai sondaggi), il giudizio sulle coalizioni e quello sui candidati di collegio.
Se poi uno dei tre “poli” realmente in competizione crescesse di pochi punti percentuali rispetto a questa prima stima e gli altri due ne perdessero solo un paio, l’equilibrio parlamentare cambierebbe in maniera ancora più drastica. Ad esempio, se i LeU sottraessero al centrosinistra tre o quattro punti, a Berlusconi e Salvini basterebbe riattrarre una piccola parte degli elettori di centrodestra andati nel 2013 su Scelta Civica o ai Cinque Stelle per ottenere una maggioranza autosufficiente (Tabella 2). Ovviamente, varrebbe il contrario nel caso in cui LeU dopo l’entusiasmo iniziale si sgonfiasse, e fosse invece il CS ad attrarre una quota maggiore di elettori centristi o grillini. A loro volta, i Cinque Stelle potrebbero vincere sfondando ulteriormente a destra e a sinistra. In tutti i casi citati stiamo parlando di spostamenti di voti del 3-4%, cioè dentro il margine di errore dei sondaggi.
Queste simulazioni dimostrano dunque che il deprecato Rosatellum non funziona univocamente a vantaggio dell’uno o dell’altro campo. Laddove si dovesse creare un orientamento abbastanza chiaro dell’elettorato a favore di uno dei tre poli, e cioè se uno dei tre poli arrivasse al 38-39% dei voti distanziando di circa 9 punti percentuali su base nazionale il secondo, è piuttosto probabile che ottenga la maggioranza assoluta dei seggi. Se la distanza fosse minore, il sistema elettorale darebbe un piccolo “premio” alla minoranza più votata e renderebbe chiaro intorno a quale forza politica si debba formare un eventuale governo di coalizione. Al contrario del sistema previgente, puramente proporzionale, che avrebbe reso lo stallo parlamentare inevitabile, il Rosatellum lascia alla campagna dei prossimi mesi la possibilità di fare una differenza, e agli elettori la scelta.
* Pubblicato su Repubblica online