Il cammino riprende
Veltroni con le sue dimissioni ci ha messo tutti di fronte alle nostre responsabilità. Il progetto del PD poteva naufragare, all’indomani delle elezioni europee, insieme con la sua leadership, dilaniato tra la spinta a farne un tradizionale “partito (democratico) di sinistra” ed altre nostalgie centriste. Facendosi da parte, ha imposto a tutti di dire, in maniera esplicita, dove vogliono andare.
I primi salutari e concreti effetti dello shock sono stati il clima preoccupato ma concorde che si è respirato durante l’Assemblea di sabato scorso alla Fiera di Roma, il confronto serio e civile che si è svolto intorno alle due opzioni: convenzione e primarie subito oppure elezione in assemblea di un nuovo segretario con mandato fino ad ottobre.
Personalmente ho sostenuto la prima opzione, pur riconoscendo che i tempi stretti avrebbero causato qualche forzatura data la coincidenza tra “congresso”, amministrative ed europee, pur vedendo l’asimmetria che si sarebbe verificata tra chi, come i dalemiani di ReD, aveva già un candidato in Bersani (che ha tuttavia rinunciato anche stavolta a farsi avanti) a chi avrebbe dovuto cercarlo. Preso atto che è largamente prevalsa la seconda opzione, ho votato senza dubbi per Franceschini. Dario consente al PD di mantenere la rotta e si è impegnato a farlo. Con l’intervento finale di sabato scorso, la bella scelta simbolica di giurare sulla Costituzione a Ferrara, le posizioni pubbliche dei giorni successivi su testamento biologico ed election day, sta dando prova di capacità di leadership forse sottovalutate, aiutato anche dal silenzio, per ora, dei professionisti della polemica interna (un altro effetto benefico dello shock provocato da Walter). Le scelte sulla composizione degli organismi dirigenti del resto sono state guidate, con tutta evidenza, dall’obiettivo di attenuare le diffidenze delle varie anime e articolazioni del partito.
In cammino continua, dunque, almeno fino a quando rimarranno fermi gli obiettivi per i quali il PD è stato fondato. L’impegno per costruire un partito plurale, capace di elaborare, laicamente, attraverso il dialogo razionale, il pensiero nuovo che serve per affrontare i dilemmi etici inediti posti dall’evoluzione tecnologica in campo medico (e non solo). Un partito meno oligarchico di quelli ereditati dal secolo scorso, in cui gli incarichi sono contendibili, che sa aprirsi alla partecipazione di tutti i suoi elettori per la scelta dei candidati alle principali cariche di governo, dell’indirizzo politico e la leadership nazionale. Un partito capace di proporre un programma di riforme per modernizzare l’Italia, come quello esposto nel discorso del Lingotto, superando pigrizie e conservatorismi tipici tanto della destra quanto della sinistra. L’impegno per un “nuovo bipolarismo”, per un centrosinistra meno frammentato, reso più forte dalla presenza di un grande partito di massa quale il PD vuole e può essere.
Per il momento non mi scoraggio, e inviterei a fare altrettanto. Nemmeno mi dilungo perché mi ritrovo del tutto nella riflessione, a cui rinvio, che ha proposto Giorgio Tonini in una riunione pubblica, tra parlamentari del PD, tenuta mercoledì durante la pausa pranzo (si veda ad esempio cosa ne ha scritto Repubblica). Credo sia stata una iniziativa utile e che avrà un seguito.