Il colbertismo tremontiano
Intervento ad illustrazione dell'ordine del giorno n. 34 sull'Attto Camera A.C. 4307, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, recante disposizioni urgenti in favore della cultura, in materia di incroci tra settori della stampa e della televisione, di razionalizzazione dello spettro radioelettrico, di moratoria nucleare, di partecipazioni della Cassa depositi e prestiti, nonché per gli enti del Servizio sanitario nazionale della regione Abruzzo.
Il rapporto annuale Istat presentato ieri fornisce conferme allarmanti sullo stato del nostro sistema produttivo, sui drammatici effetti sociali di un’economia vulnerabile che non riesce ad uscire dalla crisi. Crollano il potere d’acquisto delle famiglie e la loro propensione al risparmio. Un italiano su quattro è a rischio povertà. Dal 2009 al 2010 gli occupati sono calati in numero assoluto di 532.000. Siamo ai vertici della classifica europea per la percentuale di chi ha smesso di cercare lavoro perché dubita di poterlo trovare. Nel 2010 la produzione industriale è cresciuta del 6,4 per cento, recuperando solo in parte il calo registrato nel 2009 (che era stato del -19% contro il -9% della Francia e il -5% della Germania). La quota dell’Italia sulle importazioni manifatturiere di un gruppo di 49 paesi ampiamente rappresentativo del commercio mondiale si attesta al 4% contro l’11% della Germania. La spesa complessiva in R&S delle imprese rimane bassa, con una distanza dall’obiettivo della Strategia Europa 2020 di circa il 60 per cento. Come pensa il Governo di risollevare la situazione? Con le “riforme liberali” propagandate senza soluzione di continuità dal 1994 fino all’altroieri? Non sembrerebbe proprio. Ormai quelle riforme non vengono più nemmeno annunciate.
Accanto agli interventi diretti a manipolare il mercato nei settori di interesse del Presidente del Consiglio, si va affermando una seconda linea di politica economica: il colbertismo tremontiano, di cui l’articolo 7 del decreto è espressione. Un approccio che pretende di governare l’economia non solo stabilendo le regole e promuovendo il contesto nel quale si svolge la libera attività delle imprese, ma anche selezionando i giocatori, formando le squadre e stabilendo chi deve vincere. Questa è appunto la filosofia che, ammantata di spirito patriottico, pare ispirare l'articolo 7 del decreto.
Esso prevede che la Cassa Depositi e Prestiti possa acquisire partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale, strategiche per il settore in cui operano, i livelli occupazionali che garantiscono, l’entità del fatturato ovvero per le ricadute sul sistema economico-produttivo del Paese. Grazie all’impegno dei parlamentari PD in Senato, è stato almeno specificato che le aziende in questione devono trovarsi «in una stabile situazione di equilibrio finanziario, patrimoniale ed economico e [devono essere] caratterizzate da adeguate prospettive di redditività». Una formulazione che tuttavia lascia mano libera al Ministro di decidere quali società siano da considerate «di interesse nazionale» e possano dunque essere acquisite dalla CDP. Lo farebbe mediante l’emanazione di decreti non regolamentari, evitando così ogni controllo preventivo o parere parlamentare.
Insomma, il Governo da un lato chiede un rafforzamento dei principi della libertà economica con modifiche agli articoli 41, 97, 118 della costituzione, dall’altro vorrebbero usare i soldi degli ignari risparmiatori postali per controllare direttamente pezzi del sistema industriale.
Tutto questo in base ad una giustificazione assai discutibile, e cioè che dovremmo difenderci dagli investimenti esteri. Ha senso? Possiamo permettercelo?
Il Rapporto Italia Multinazionale 2010 dell’Istituto per il Commercio Estero (ICE) rileva che «nel 2009 lo stock di Investimenti diretti esteri in entrata su pil, pari per il nostro paese al 18,6%, era significativamente inferiore a quello medio mondiale (pari al 30,7%), a quello dell’insieme dei paesi sviluppati (31,5%), a quello dell’UE (45,5%), nonché a quello dei nostri principali competitori europei. » La percentuale degli IDE rispetto al Pil al 2009 era pari al 51,7 nel Regno Unito, al 45,9 in Spagna, al 42,8 in Francia, al 21 Germania. E secondo il rapporto ICE «ciò riflette la bassa competitività e dunque attrattività internazionale del paese.»
Non solo. L’Italia cresce meno degli altri paesi industrializzati e ha l'inflazione più alta. Mentre il Governo pare navigare a vista senza una strategia: un giorno incentiva le rinnovabili, il giorno dopo azzera gli incentivi a rischio di mettere in ginocchio tutta la filiera del fotovoltaico; un giorno taglia le risorse per la cultura, il giorno dopo, subito dopo aver dato il benservito al ministro Bondi, ripiana parzialmente il buco aumentando l'accisa sulla benzina (e così facendo alimenta l'inflazione).
Occorrerebbero una visione e una programmazione di medio periodo, più investimenti diretti esteri, regole certe per le infrastrutture delle grandi reti, uno stimolo ai nostri imprenditori perché prendano il coraggio a due mani e investano in innovazione, perché provino ad entrare in nuovi mercati.
Una sequela di casi hanno già dimostrato d'altro canto quale prosa si sposi con la poetica dell'italianità da difendere. Lo si è visto quando Abn Amro voleva investire sulla Banca Antonveneta e si mobilitò la Banca d’Italia del Governatore Fazio, insieme alle truppe guidate da Giampiero Fiorani. Quando la statunitense AT&T provò ad acquisire Telecom Italia, quando la spagnola Abertis osò fare lo stesso con Autostrade. Abbiamo difeso l'italianità delle Ferrovie e delle Poste. Più di recente il governo ha fatto lo stesso per ostacolare Air France-KLM che volevano rilevare Alitalia, mettendo a carico del contribuente il risanamento della società e a carico dei viaggiatori i costi della ridotta concorrenza sulle tratte nazionali. Questo decreto avrebbe dovuto porre una barriera che si è già dimostrata inefficace contro Lactalis.
Ha senso perseverare? Dovremmo chiederci semmai perché tanto i capitalisti nostrani quanto quelli stranieri investano così poco in Italia. La risposta la sappiamo da tempo. Una pubblica amministrazione inaffidabile, tempi estenuanti della giustizia civile, una regolazione troppo complessa e quindi ostile verso chi vuole fare impresa, costi dell'energia fuori dal mercato internazionale.
Naturalmente abbiamo bisogno di una politica industriale. A quali condizioni la cassa depositi e prestiti può esserne uno strumento?
Può esserlo se serve a irrobustire le nostre infrastrutture e favorire un mercato efficiente. Non se pretende di fare le squadre, mettere fuori gioco i concorrenti insidiosi e stabilire chi deve vincere.
Ha senso – questa è l’indicazione che l’ordine del giorno intendiamo fornire al Governo – che lo Stato investa sulle infrastrutture energetiche, considerando quanto è cara la bolletta che i cittadini italiani pagano per elettricità, autotrazione e riscaldamento. Ha senso ad esempio che lo stato, attraverso la cassa depositi e prestiti, assuma il controllo di una società proprietaria delle infrastrutture energetiche nazionali e transnazionali e che, in particolare, operi per scorporare SNAM Rete Gas da Eni, in modo da garantire una vera concorrenza tra diversi operatori.
Ma, al di la di una ragionata eccezione come questa, perché mai il Ministero dell’Economia e la Cassa Depositi e Prestiti dovrebbero acquisire il controllo di imprese industriali? Negli altri casi, l'investimento di Cassa depositi e prestiti può essere concepito come un aiuto al mercato perché apprezzi le potenzialità di imprese strategiche per il tessuto produttivo nazionale. L'investimento di CDP può essere utilmente concepito per conferire forza ad un progetto imprenditoriale, effettivamente strategico per il Paese, purché quel progetto sia anche credibilmente capace di generare ricchezza nel medio termine con le sue gambe, e di remunerare quindi adeguatamente il capitale pubblico investito.
Con questo ordine del giorno, si chiede insomma al Governo che il decreto non sia la finestra attraverso cui passa un ritorno al capitalismo di stato, di cui il sistema industriale italiano non ha alcun bisogno.
Il testo dell'Ordine del Giorno
La Camera, premesso che:
in questi anni sono state notevolmente ampliate le funzioni della Cassa depositi e prestiti SpA, che si è trasformata da istituto erogatore, attraverso il risparmio postale, di mutui e prestiti ad enti locali a strumento di sostegno alle imprese;
l’articolo 5 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, ha disposto la trasformazione della Cassa depositi e prestiti in società per azioni non quotata, di fatto determinandone l’uscita dal perimetro della pubblica amministrazione ma al contempo condizionandone la gestione attraverso la partecipazione di maggioranza da parte del Ministero dell’economia e delle finanze;
l’articolo 7 del provvedimento in esame inserisce il comma 8-bis all’articolo 5 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, consentendo a Cassa depositi e prestiti SpA di assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale, in termini di strategicità del settore di operatività, di livelli occupazionali, di entità di fatturato ovvero di ricadute per il sistema economico-produttivo del Paese, i cui requisiti sono definiti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze di natura non regolamentare;
il citato decreto, emanato lo scorso 3 maggio 2011, ha definito in modo eccessivamente ampio e vago il “rilevante interesse nazionale”, che possono essere legati al settore (sono considerate di rilevante interesse nazionale le società di capitali con significative prospettive di sviluppo che operano nel settore della difesa, della sicurezza, delle infrastrutture e dei trasporti, delle comunicazioni, dell’energia, delle assicurazioni e intermediazione finanziaria, nonché della ricerca e dell’innovazione e quelle dei pubblici servizi e ad alto contenuto tecnologico), ovvero alle dimensioni (fatturato annuo netto non inferiore a 300 milioni di euro e numero medio di dipendenti non inferiore a 250), in assenza dei quali rilevano l’indotto e i benefici per il sistema economico-produttivo, una formula assolutamente generica;
era già possibile a legislazione vigente, per Cassa depositi e prestiti, acquisire partecipazioni azionarie – e di fatto ne possiede di rilevanti come ad esempio in ENI e in Terna – tanto che, con nota del 15 aprile 2011, il Ministro dell’economia e delle finanze ha chiarito che l'intervento normativo in discussione è sostanzialmente volto ad ampliare la tipologia e la possibilità di intervento della Cassa depositi e prestiti;
l’utilizzo della Cassa depositi e prestiti come strumento di politica industriale avrebbe meritato una discussione ampia e approfondita, mentre l’attuale provvedimento mina la trasparenza e la certezza delle regole lasciando eccessiva discrezionalità al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, senza alcun ruolo per il Parlamento;
la disposizione prevista dall’articolo 7 potrebbe somigliare al Fonds stratégique d’investissement (FSI) che, in Francia, la Caisse des Dépôts et Consignation, insieme al Ministero dell'economia, ha istituito, nel 2008, al fine di aumentare la competitività del Paese attraverso l’ingresso nel capitale di società strategiche;
il Fondo francese, tuttavia, differisce da quello in esame in quanto non è riferito ad un vago concetto di interesse nazionale, ma fa un esplicito richiamo al concetto di competitività del Paese; il Fondo francese inoltre è volto a favorire i co-investimenti e non agisce come investitore unico; inoltre esso sostiene le imprese nel medio e lungo termine entrando in possesso di quote partecipative minoritarie e non di controllo;
è necessario organizzare questo strumento di intervento dentro una vera strategia di politica industriale evitando che quanto avvenuto in passato in merito alle partecipazioni statali italiane che, rispetto i buoni risultati iniziali degli anni Cinquanta e Sessanta, persero successivamente di vista la missione dello sviluppo e iniziarono ad avere una governance non più attenta all'equilibrio gestionale e alla redditività delle imprese:
impegna il Governo
ad adottare indirizzi volti ad assicurare che le partecipazioni della Cassa depositi e prestiti SpA, ai sensi dell’articolo 7 del presente provvedimento, possano garantire una posizione di controllo sulle società partecipate esclusivamente nei confronti di quelle proprietarie di infrastrutture energetiche nazionali e sovranazionali, anche al fine di contribuire, anche tramite operazioni di fusione tra le società acquisite e partecipate da CDP S.p.A. stessa, alla costruzione di un mercato interno concorrenziale, tramite la separazione proprietaria di SNAM rete gas da ENI, alla sicurezza degli approvvigionamenti, allo sviluppo di mercato unitario dell'energia a dimensione europea, tramite la realizzazione delle necessarie infrastrutture di interconcessione.
9/4307/34 Vassallo