Il valzer delle alleanze
Sulle alleanze post-elettorali i leader paiono un po’ tutti in conflitto con sé stessi. Di Maio si dice disposto a mettersi con chiunque sottoscriva il suo programma sconfessando il primo dogma del pensiero grillino: governeremo quando avremo il 51% perché non possiamo sporcarci con nessuno. I leader di PD e FI negano come se fosse per loro inconcepibile un accordo che hanno già praticato nelle ultime due legislature sostenendo insieme i governi Monti e Letta. Mentre Renzi dice “mai alleanze con la destra”, fissa come traguardi per il Pd di arrivare primo (dato che ottenere la maggioranza dei seggi è improbabile) e di rimanere al governo. Ma un eventuale futuro governo a guida PD può nascere solo con l’appoggio di eletti nel centrodestra, come del resto è già capitato a Renzi e Gentiloni. Salvini aveva chiesto a Berlusconi di giurare che non farà inciuci e ora dice che se sarà lui il designato parlerà con tutti. Queste contraddizioni non sono solo il riflesso della legge semi-proporzionale e del sistema tripolare. Indicano l’urgenza dei protagonisti di ottenere un qualche risultato, anche se non è ancora chiaro quale, dato che la scombinata elezione del 2018 potrebbe essere la loro ultima chance. Sia Di Maio sia Renzi non potranno più essere leader. A prescindere da tutto il resto, lo statuto del PD limita a due i mandati alla segreteria, a meno che al momento della terza candidatura il segretario uscente non sia anche Presidente del Consiglio. Lo statuto dei cinque stelle dopo due mandati in parlamento vieta qualsiasi altro ruolo. Salvini ha cambiato natura alla Lega per intercettare un’eccezionale ventata anti-immigrati che potrebbe sgonfiarsi. La tenuta di Berlusconi è proverbiale, ma stavolta potrebbe dover passare lo scettro. Quindi, meglio mescolare affermazioni perentorie ad altre che lasciano mani libere e strade aperte.