Indecisi al bivio
Il Pd è a un bivio, ma la sua classe dirigente non è in grado di decidere. Uno: prendere atto che il popolo sovrano ha redistribuito i pesi parlamentari in modo inatteso e prendere sul serio la proposta di Di Maio, sapendo che è un passo molto rischioso. Significherebbe ammettere che oggi è lui a rappresentare una parte dell’elettorato di centrosinistra, sapendo che domani potrebbe rappresentarlo tutto. Due: aspettare che affondi per inettitudine come ci si aspettava della Raggi, rimanendo sulla posizione “mai alleati dei 5 Stelle”. Chi propende per la seconda strada sottovaluta la profondità del cambiamento negli orientamenti politici che si riflettono nel risultato e sopravvaluta le differenze tra PD e 5S, in particolare con riguardo all’Europa. I 5S sono sempre stati ondivaghi, ambigui e per questo difficili da collocare. Hanno scelto forse consapevolmente di mandare segnali ambivalenti. Questo lascia loro mani libere e una notevole possibilità di adattare le posizioni di governo alle necessità. Non mi stupirebbe un Di Maio che diventa più macroniano di Renzi. Del resto, aveva provato ad essere ammesso alla corte di Macron, quando ancora non aveva vinto le elezioni. Ma per fare un passo così rischioso servirebbe un partito coeso e con una leadership forte e lucida. Invece l’attuale dirigenza del Pd è fatta, da un lato, di figure che andrebbero subito con Di Maio per convenienze di breve termine (Emiliano sa che al Sud è finita senza un accordo con i 5S; Franceschini e Zanda forse aspirano ad incassare qualche presidenza di aula o di commissione; Bersani forse riuscirebbe a restare a galla), dall’altra di figure per le quali l’accordo è inaccettabile perché significherebbe una fine politica immediata (Renzi in primis). Non è escluso che nel tiro alla fune a un certo punto la corda si rompa e che del Pd rimanga ancora meno.