Meglio ripartire dalla Segni-Mattarella
Si sta discutendo di varie ipotesi di riforma del sistema elettorale. L’anomala decisione della Corte rende ancora più difficile arrivare ad un buon compromesso. D’altro canto, rende l’approvazione di una nuova legge ancora più impellente. Bene ha fatto Matteo Renzi a dimostrare determinazione sull’obiettivo e flessibilità riguardo ai mezzi per realizzarlo. Ora si tratta di trovare una soluzione politicamente e tecnicamente sostenibile. Ho provato a lavorare sui dati elettorali e sulla legislazione, con un po’ di consapevolezza storica e comparata. Questo è il punto a cui sono arrivato. Ogni commento è benvenuto. Scarica il documento. Scarica il file con i dati e le funzioni di calcolo per elaborare le stime. Qui di seguito un mio intervento pubblicato su Europa.
Ha fatto benissimo il segretario del Pd a fissare il termine della fine di gennaio per cambiare la legge elettorale e a proporre diverse alternative, tutte improntate al principio maggioritario, dimostrando determinazione sull’obiettivo e flessibilità sui mezzi per raggiungerlo. Ora però dovrà trovare anche un punto di caduta tecnicamente e politicamente e sostenibile.
Una soluzione che risponda alle imposizioni della Corte costituzionale, dia a chi vince le elezioni la possibilità di governare, trovi il consenso parlamentare necessario per essere approvata, porti a una disciplina compiuta e immediatamente applicabile (indipendente cioè da eventuali future revisioni costituzionali o da successivi atti normativi del governo). Una missione difficile ma non impossibile. Ne va della reputazione del nuovo corso Pd, ma ancora di più della tenuta della nostra democrazia parlamentare.
A giudicare dalla formulazione che lo stesso Renzi ha usato nelle sue dichiarazioni pubbliche, una delle tre soluzioni prospettate difficilmente soddisfa questi requisiti. Il “modello del sindaco”, in senso stretto, consiste in un sistema perfettamente proporzionale, con voto di preferenza, a cui è aggiunto un premio di maggioranza di dimensioni variabili (più elevate del Porcellum) assegnato in un eventuale secondo turno se al primo nessuno ottiene la maggioranza assoluta dei voti.
Ma, in regime di bicameralismo perfetto, il “doppio turno nazionale di coalizione” è inconcepibile. Perché nessuno può assicurare che il risultato sia identico per la camera e per il senato. Al secondo turno potrebbero arrivare addirittura due diverse coppie di sfidanti. Questo sistema va bene ai sostenitori della continuità del governo Letta perché presuppone la revisione del bicameralismo, cioè tempi lunghi.
Va molto bene ad Alfano perché gli consentirebbe di tornare con Berlusconi mantenendo la sua autonomia, grazie appunto alla combinazione del premio di maggioranza dato alle coalizioni con l’iper-proporzionalismo garantito ai partiti che le compongono.
La seconda soluzione piace a una parte di Forza Italia per la ragione opposta. Il “sistema spagnolo” applicato in collegi di 5 o 6 seggi, pone una soglia implicita piuttosto elevata all’ingresso, ma distribuisce in modo proporzionale i seggi disponibili a chi la supera. Metterebbe fuori gioco il Nuovo Centrodestra, così come i potenziali alleati del Pd e gli eventuali sfidanti di Grillo sul terreno dell’antipolitica. Ingesserebbe il formato a tre poli, forse quattro dove la Lega resiste, richiedendo un premio esplicito ben superiore al 15%, se si vuole evitare il rischio di replicare pari pari quello che è successo nell’attuale legislatura.
Non a caso, è per lo spagnolo la componente di Forza Italia più interessata a tornare centrale in uno scenario di grande coalizione (togliendo di mezzo Alfano) che a riattivare la dinamica maggioritaria “chi-vince-governa” (temendo stavolta di perdere). Sulle liste bloccate, ancorché corte, del sistema spagnolo pende inoltre la spada di Damocle della Corte costituzionale. Le “piccole circoscrizioni” andrebbero disegnate ex novo.
Se in Forza Italia (cioè nella testa di Berlusconi) prevalesse la componente realmente interessata a riattivare la dinamica maggioritaria, la strada maestra sarebbe la terza: tornare ai collegi uninominali della Mattarella. Anche per Alfano sarebbe un buon compromesso, perché il gruzzolo di voti che gli assegnano i sondaggi verrebbe rimesso in gioco. E sulla Mattarella dicono di convergere anche Sel e Grillo. Naturalmente non in tutte le possibili varianti. La più efficace consiste a mio avviso nel prevedere una ripartizione tra il premio di maggioranza e il cosiddetto “diritto di tribuna” (i seggi assegnati su base proporzionale per garantire a forze politiche di media grandezza altrimenti escluse dal parlamento) meno rigida rispetto a quella (15% + 10%) proposta in prima battuta da Renzi.
Ho cercato di spiegarlo, con simulazioni e riferimenti normativi, in un documento scaricabile cliccando qui. Ma, al di là di queste tecnicalità, non irrilevanti, la Mattarella ha un vantaggio. Nella peggiore delle ipotesi, laddove nessun miglioramento risulti praticabile rispetto all’originale, rimane disponibile la soluzione della pura reviviscenza. Eventualmente usando la Mattarella-Senato anche per la camera ed eliminando lo “scorporo”, allegerendo così l’impatto della compensazione proporzionale.
Una cosa è certa. Senza una chiara bussola, tattica e tecnica, il rischio che ci si impantani come è già capitato, tra veti incrociati, doppi e tripli giochi, aperture fittizie e bluff dei negoziatori più navigati, liturgie parlamentari abilmente utilizzate per perdere tempo, è elevatissimo. Ed è ovvio che i detrattori, interni ed esterni, del nuovo corso Pd non aspettano altro.