La colpa è dei comunicatori?
Non mi pare ci sia da stupirsi, se si “scopre” che i giovani hanno abbandonato i partiti tradizionali, e che la rete, come canale di una nuova partecipazione politica, è rimasta negli ultimi dieci anni in larga parte appannaggio di Grillo. A prescindere dal voluminoso capitolo, mai veramente squadernato, dei costi della politica, i due partiti principali hanno continuato a puntare sulla nostalgia, mentre buona parte dell’elettorato, di destra e di sinistra, anche tra gli anziani, chiedeva un cambiamento di facce, stili, linguaggi.
Era ovvio che Berlusconi, dopo vent’anni sulla scena politica e acciacchi di ogni tipo potesse rivolgersi, per risalire la china, solo alla parte più sedentaria di chi lo aveva sempre votato. Il PD era nato, nel 2007, provando a invertire la rotta. Adottando un modello di partito aperto, che con le primarie intendeva non solo richiamare e includere persone normalmente distanti dalla politica, ma anche favorire un vero, profondo ricambio basato sulla competizione, piuttosto che sulla cooptazione.
Dal 2009 ad oggi, quel progetto è stato però interpretato in maniera piuttosto conservativa. La forza delle organizzazioni ereditate dal passato ha frenato il cambiamento, invece di favorirlo. Si è puntato molto sui richiami al partito “strutturato e radicato nel territorio” o alle feste de l’Unità. E su un elettorato di lunga data che in effetti ha continuato a garantire la continuità degli equilibri interni. Non a caso, il 56% degli elettori di Bersani alle primarie del 2012 aveva più di 55 anni (tra gli elettori di Renzi quella percentuale era di venti punti più bassa).
E non a caso, quando i dirigenti, pur giovani, che hanno assunto la guida del PD ad ogni livello hanno dovuto scegliere i loro responsabili all’organizzazione, non hanno puntato su geniali “nerd” (il termine del lessico contemporaneo che meglio si attaglia a uno come Casaleggio): su persone intellettualmente curiose, abili conoscitrici delle nuove tecnologie. Hanno invece puntato su, pur giovani, tradizionalissimi amministratori delle vecchie macchine del consenso. Addestrati, piuttosto, a dettare istruzioni ai segretari di circolo o a portare, in pullman all’occorrenza, il numero di persone necessarie a riempire un teatro.
Pensare che il risultato delle ultime elezioni sia solo frutto di una campagna di comunicazione sbagliata è un po’ semplicistico. Perché dietro allo stile della comunicazione ci sono sempre un disegno organizzativo, una leadership e un linea politica.