La riforma dell’articolo 41
[Mio intervento su Europa]..Mentre il Paese patisce la peggiore crisi dal dopoguerra, la Camera ha investito l’intera settimana e ha ipotecato la prossima su una pseudo-riforma, pensata per parlare ad una parte o, meglio, ad uno stato d’animo del mondo imprenditoriale che non c’è più. Ad un mondo che non crede più alle favole del Governo, che non si diverte più ad ascoltare le barzellette del Cav e nemmeno fa più finta, che non si appassiona a discussioni surreali sull’articolo 41 fatte per ingannare il tempo mentre il decreto sviluppo rimane un’araba fenice.
Si dice che questa proposta dovrebbe liberare le imprese da lacci e lacciuoli, e il problema esiste, eccome. La libertà di iniziativa economica nel nostro paese è compressa da molti fattori. L’Index of Economic Freedom, elaborato dalla Heritage Foundation, una think tank americana di orientamento conservatore, e dal Wall Street Journal ci vede quest’anno all’87°posto.
A livello mondiale, l'indice ha registrato un aumento rispetto al 2010. Nel mondo, insomma, dicono i dati, la libertà di iniziativa economica è generalmente cresciuta: ma non in l’Italia, che in un solo anno, con l'attuale governo, ha perso 13 posizioni. Tra le componenti dell’Index of Economic Freedom spiccano alcuni indicatori che segnalano le differenze più marcate tra l’Italia e gli altri paesi dell’Euro: le dimensioni complessive della spesa pubblica, in crescita rispetto al 2010; il peso della corruzione, percepita con sempre maggiore preoccupazione dagli operatori economici; la tutela dei diritti di proprietà, messa in crisi soprattutto dall’inefficienza della giustizia civile. Rispetto al 2010, sono sempre le analisi della Heritage Foundation a dirlo, crescono inoltre l’inefficienza dell’amministrazione e la complessità del sistema normativo: la rivoluzione Calderoli-Brunetta non è pervenuta!
D'altro canto, nessuna, proprio nessuna, delle iniziative legislative che avrebbero potuto rendere il sistema giuridico-amministrativo meno ostile all’iniziativa economica sarebbero entrate in contrasto con l’articolo 41. Come hanno chiarito Augusto Barbera e Valerio Onida, l’art. 41 non ha mai motivato la censura da parte della Corte costituzionale verso norme liberalizzatrici, mentre ha consentito più volte di espungere dall’ordinamento norme limitative della libertà di impresa.
La possibilità di una regolazione attenta allo sviluppo sarebbe peraltro gravemente peggiorata da un testo come quello partorito mercoledì 19 ottobre in diretta, in una pausa della Commissione Affari Costituzionali, dal ministro Calderoli in persona. La prima e la seconda proposizione del comma 2 sono in esplicito contrasto tra loro. Prima si afferma che l’iniziativa e l’attività economica privata “non possono svolgersi in contrasto con l’utilità sociale”, poi che “la legge non può stabilire limitazioni all’iniziativa e alle attività economiche se non quando è necessario a tutelare la sicurezza, la libertà, la dignità umana.”
Ma se non può farlo la legge, chi dovrebbe garantire che l’iniziativa economica non si svolga in contrasto con l’utilità sociale? E come verrebbero tutelati tutti gli altri principi costituzionali che richiedessero ragionevoli limitazioni all'esercizio dell'attività economica? Si rischia, per paradosso, come ha notato Giuliano Amato con riferimento ad un’altra versione che aveva lo stesso vizio, di affidare un potere amplissimo alla magistratura! E che fine farebbero le leggi vigenti, anche di derivazione comunitaria, che, tutelando principi diversi dai tre citati nel “nuovo” comma 2, incidono sull'attività economica? Dovrebbero essere tutte in blocco disapplicate al momento dell'entrata in vigore della riforma?
La prima parte della Costituzione fu, come è noto, un meditato compromesso tra posizioni ideologicamente contrapposte. Ed è proprio per la sua capacità di conciliare libertà economica e diritti sociali che rimane ancora oggi preziosa, ancorché non immutabile. In un altro contesto, sarebbe stato possibile ad esempio integrare il testo vigente con principi moderni a tutela della concorrenza, degli interessi dei consumatori o per sancire che i rapporti tra le amministrazioni pubbliche e le imprese, quando queste ultime sono sottoposte a controlli, devono essere ispirati a fiducia e leale collaborazione. Purtroppo la fase decadente del berlusconismo ci impedisce di guardare alle riforme liberali necessarie per rimettere in moto l’Italia. L’immagine dell’intero Governo piantato in Aula a votare un provvedimento confuso, destinato a impantanarsi o già morto, uno spot elettorale venuto male che una maggioranza ultrarisicata in Parlamento e ultraminoritaria tra i cittadini pretende di stampare sulla Carta Costituzionale, certifica una sola cosa. Per il bene del Paese, è tempo che se ne vadano.