Il “Gelmini” è incostituzionale
Di seguito il mio intervento in Aula circa la pregiudiziale di costituzionalità.(Video dell'intervento)
Signor Presidente, nessuno più di noi democratici ha interesse a favorire una riforma dell'università che promuova l'eccellenza, premi il merito, indirizzi le risorse pubbliche per la ricerca laddove sono utilizzate con maggiore profitto, faccia prevalere le capacità individuali sulle reti di protezione corporativa e familiare.
Una università che valorizzi il talento e premi il merito, che si adegui ai migliori standard in campo internazionale è un obiettivo prioritario per un democratico e per un riformista, perché costituisce un potente motore di crescita culturale, innovazione, competitività economica e mobilità sociale.
Non siamo impensieriti dalla sfida delle riforme. Le riforme, anche quelle che dovessero mettere sotto tensione i rapporti con parti del nostro elettorato, sono il nostro mestiere. Per questo, benché le sue credenziali ai nostri occhi non fossero delle migliori, abbiamo dato credito al Ministro Gelmini, abbiamo riconosciuto nelle sue iniziali dichiarazioni una ispirazione per diversi aspetti condivisibile, ma ci siamo dovuti ricredere.
Si è visto, sin dai primi passi concreti, quale fosse la politica del Governo a questo riguardo: da un lato, un discredito generalizzato verso l'università italiana e, dall'altro, tagli lineari mentre negli altri Paesi si investiva in conoscenza (in Francia, in Germania e negli Stati Uniti), con università prese per il collo nella doppia morsa della delegittimazione mediatica e della stretta finanziaria. A questo bastone è seguita la carota di promesse non mantenibili, come i 9 mila posti da associato comparsi e scomparsi nel corso dell'esame del provvedimento in Commissione cultura. Ma, al di là di questo pessimo metodo, è il merito che non ci convince. Di cosa avrebbe bisogno l'università italiana? Di una valutazione rigorosa dei singoli atenei e delle singole strutture di ricerca e dei dipartimenti, di una piena autonomia di questi atenei e di questi dipartimenti, esattamente il contrario di quello che questo disegno di legge offre.
La valutazione è dichiarata solo a parole: il CIVR è stato frettolosamente accantonato, l'ANVUR non parte, alcuni dei criteri più sbandierati per valutare le università sono stati ritirati in silenzio perché si sono dimostrati inapplicabili.
La quota del Fondo di finanziamento ordinario, che dovrebbe essere dedicato a premiare le eccellenze, si riduce progressivamente invece di crescere, come si dice, e accanto vi è una ipertrofia di norme di livello legislativo (decreti, regolamenti) e una centralizzazione di tutto il sistema…
PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia, chi vuole ascoltare l'intervento lo deve fare, altrimenti veda di trovare un'altra collocazione.
SALVATORE VASSALLO. Si configura un doppio commissariamento del Ministero dell'istruzione da parte del Ministero dell'economia e dell'università italiana da parte del Ministro dell'istruzione. Qui, oltre ad un errore di impianto, ci sono anche vistosi vizi di costituzionalità.
Come è noto, l'articolo 33, sesto comma, della Costituzione dice che le università hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato. Dunque, solo le leggi dello Stato possono stabilire vincoli all'esercizio dell'autonomia ordinamentale dell'università. Al contrario, in questo disegno di legge, si arriva al punto che è una decisione discrezionale del Ministro a stabilire dell'esercizio dell'autonomia statutaria.
Si prevede che solo alcune università, sulla base di criteri che peraltro sono stabiliti non da norme legislative ma da decreti di carattere non regolamentare, possono accedere ad un livello differenziato di autonomia, ma per farlo devono ottenere il consenso specifico del Ministro attraverso un accordo di programma, peraltro viene usato lo strumento dell'accordo di programma in maniera del tutto impropria. È chiaro che l'accordo di programma avrebbe senso se il Ministero mettesse dei soldi per promuovere insieme all'università delle sperimentazioni organizzative, non ha alcun invece senso come metodo per confermare, con l'assenso del Ministro, una scelta di carattere ordinamentale che dovrebbe ricadere nell'autonomia delle università, vincolata solo dalla legge, come dice l'articolo 33, sesto comma, della Costituzione.
Tuttavia, ciò è solo la punta di un iceberg perché, al contrario di quanto prescrive la legge n. 400 del 1988, si fa uso di regolamenti di delegificazione e di decreti non regolamentari anche per normare una materia che – come ho appena detto – è vincolata da una competenza esclusiva della legge statale, da una riserva assoluta di legge. Inoltre, l'articolo 4 istituisce presso il Ministero dell'istruzione un Fondo per il merito per l'erogazione di borse di studio. Anche in questo caso, in diverse circostanze, in particolare con la sentenza n. 308 del 2004, la Corte costituzionale ha chiarito che questa è materia concorrente, ha ricordato una cosa che ai nostri colleghi della Lega dovrebbe essere ovvia: è materia concorrente e quindi non può essere svolta sulla base di decisioni soltanto del Ministero, ma deve coinvolgere la decisione delle regioni. Insomma, con questo disegno di legge si mette in piedi un sistema, un modello dirigista, basato su una pletora di norme prodotte a catena e una centralizzazione di tutto il processo nelle mani del Ministro.
È ancora più grave dunque che questo processo venga avviato. È assolutamente da irresponsabili che questo processo venga avviato mentre ancora non si sa se il Governo rimarrà tale nei prossimi mesi, con il rischio di avviare una riforma destinata a rimanere sospesa e appesa in attesa di decreti e regolamenti che il Governo non sarà nemmeno in grado di emanare. Il Parlamento oggi ha la possibilità di compiere un gesto saggio, imponendo quanto meno una pausa di riflessione, dando al Governo l'opportunità di verificare la consistenza della riforma, di depurare il testo dai più palesi vizi di incostituzionalità. È una domanda che viene fortissima dalle università italiane, non da chi vuole difendere privilegi corporativi o da chi li vorrebbe ottenere ope legis. La preoccupazione è giustificata, è molto diffusa, molto più diffusa di quanto non si possa pensare guardando l'attenzione che dedica all'argomento quest'Aula, tra chi vorrebbe offrire nel migliore dei modi possibili un servizio effettivo per la crescita culturale ed economica del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).