La strada stretta del Quirinale
Abbiamo messo un piede nel baratro e ci siamo ancora. Con tassi di interesse sui Btp ben oltre il 7%, in due o tre anni bruceremmo tre punti di Pil e, già oggi, siamo condannati dalla storia economica alla bancarotta. Dopo diciassette anni di menzogne, illusioni, furbizie, fin qui ci ha portato Silvio Berlusconi. Mentre la casa comune era in fiamme, ancora pensava agli affari di famiglia, a gestire le elezioni, a comprare mercenari o a vendicarsi dei traditori. Grazie al cielo, la sapiente lucidità con cui Giorgio Napolitano ha gestito l’esito del voto di martedì sul rendiconto dello Stato, davanti ai segnali sempre più minacciosi dei mercati finanziari, apre la strada per una nuova fase. Sabato voteremo alla Camera la legge di stabilità, Berlusconi dovrà rassegnare le dimissioni, e il Presidente della Repubblica potrà dare un nuovo incarico.
Difficile non interpretare la nomina di Mario Monti a Senatore a vita come una premessa. Così da un lato si evita, almeno sul piano simbolico, che il Parlamento risulti commissariato, dall’altro si chiarisce che Monti non potrà essere né il capo del governo né tanto meno il futuro candidato di uno specifico schieramento politico. Malauguratamente, siamo dovuti arrivare oltre il ciglio del burrone. Tuttavia, ora esiste la concreta possibilità di dar vita a quel governo di responsabilità nazionale, che alcuni di noi, ed in particolare Walter Veltroni, indicano da mesi come la soluzione più utile per l’Italia in questo momento drammatico.
A nessuno sfugge che il “senso di responsabilità” di vari parlamentari sarà direttamente proporzionale alla loro paura di tornare subito al voto. Senza questo ingrediente non sarebbe stata possibile nemmeno la manovra del Governo Amato che ci tirò per i capelli fuori dalla tempesta valutaria nel 1992. Ma non sarà sufficiente.
Serve innanzitutto un esplicito, severo e sincero riconoscimento da parte delle componenti politiche “responsabili”, che la situazione in cui ci troviamo non è frutto del complotto di diabolici operatori internazionali di borsa: che i tassi di interesse salgono principalmente perché oggi non siamo debitori credibili; che l’indice della borsa di Milano scende perché ad oggi non esistono ragionevoli attese di crescita per il nostro sistema paese. Serve un esplicito, severo e sincero riconoscimento che le indicazioni della Bce non sono dettate dalla malevola volontà di umiliare l’Italia (basterebbe considerare i volumi valutari impressionanti pompati da Mario Draghi per raffreddare i tassi sui Btp) né da astratto furore tecnocratico e tardivo ossequio all’ortodossia neo-liberista (come dice qualcuno anche nel PD). E che sono invece il nocciolo duro di un processo non rinviabile di aggiustamento strutturale dei nostri conti pubblici e dell’economia italiana. Senza il quale l’Italia, e a catena l’Europa, rischiano di tornare ad essere mere espressioni geografiche.
In secondo luogo, occorre prendere atto che di questo compito, nell’immediato, non può farsi carico un esecutivo diretta espressione di una o più forze politiche. La coalizione che ha vinto le elezioni del 2008 non c’è più, e quel che ne resta non dispone della maggioranza parlamentare. Ma non c’è neppure una maggioranza “alternativa” a PdL e Lega, e se anche avesse i numeri, una tale maggioranza non sarebbe legittimata in questa legislatura ad assumere in proprio la responsabilità del Governo, nemmeno per accompagnare il ritorno anticipato alle urne. Una “grande coalizione” alla tedesca è impensabile, dati i modi in cui si è consumata la fase decadente del berlusconismo. Occorre prendere atto, dunque, che c’è spazio solo per un esecutivo tecnico in senso stretto, composto integralmente da personalità che non ricoprano attualmente incarichi di partito, fuori o dentro le istituzioni. Un esecutivo che si presenti alle Camere, senza preliminari negoziati, per chiedere la fiducia su un programma di riforme, stringato e solido, almeno quanto quello contenuto nella lettera della Bce. Sapendo che, come ha già dato ad intendere il Presidente Napolitano, in assenza di sufficiente responsabilità, non resterebbe che andare rapidamente al voto. La strada è stretta, ma è tracciata.