La transizione chiusa dai giudici
Dopo la vittoria del No, era abbastanza ovvio che la Consulta si sarebbe comportata come ha fatto. A prescindere da ogni altra considerazione, il mantenimento del bicameralismo paritario ha reso irragionevole l’assegnazione con il ballottaggio di un premio che avrebbe concesso la maggioranza dei deputati a un partito con meno del 40% dei seggi al Senato. Un premio che, con due camere titolari del rapporto fiduciario, sarebbe quindi risultato quanto più elevato tanto più inutile. Il premio rimane, solo per la Camera, laddove una lista superi la soglia del 40%, anche se allo stato dei fatti appare difficile che questo accada.
Non è la prima volta e non è un caso che, a fronte di un sistema politico reso sistematicamente incapace di decidere sulle riforme istituzionali a causa dai veti incrociati, la Corte gioca un ruolo determinante, attraverso sentenze a loro volta visibilmente influenzate dal contesto. Avrebbe potuto considerare inammissibile il referendum del 1991 contro le preferenze (in quanto riguardante la materia elettorale) e ancora di più quello del 1993 per l’uninominale maggioritario (perché manipolativo). Ma si sarebbe messa in quel momento in rotta di collisione con un sentimento debordante nell’opinione pubblica. Ha poi invece impedito lo svolgimento del referendum proposto nel 2011 da un milione e mezzo di cittadini che avrebbe cancellato completamente il porcellum facendo rivivere la Mattarella. Successivamente, con la sentenza n. 1 del 2014, quando era dubbio che esistessero i presupposti procedurali per una sua pronuncia, non ha soltanto trasformato l’impianto della legge elettorale da maggioritario a proporzionale aggiungendo il voto di preferenza anche per il Senato, dove non era mai esistito. Ha di fatto inibito lo scioglimento anticipato del Parlamento. Oggi si chiude il cerchio.
La transizione verso una normale democrazia dell’alternanza iniziata con la richiesta popolare di abolire le preferenze e superare il sistema elettorale proporzionale – considerati allora a ragion veduta causa di corruzione e instabilità – rischia di concludersi con la restaurazione per via giudiziaria del proporzionale e del voto di preferenza. Nel frattempo, nonostante i ripetuti tentativi di emendarle, le due principali anomalie del disegno costituzionale adottato nel 1947 – la debolissima posizione del presidente del consiglio e il bicameralismo perfettamente paritario – sono rimaste inalterate. In aggiunta, i partiti populisti antieuropei hanno raggiunto e consolidato un consenso che supera il 40% dei voti. In assenza di fatti nuovi, gli unici governi vagamente plausibili, si dice, sarebbero formati da Pd e Forza Italia costretti a coalizzarsi sotto la spada di Damocle di una infinita sequenza di scioglimenti anticipati. Per ulteriore paradosso, Berlusconi ritornerebbe quindi centrale, a dispetto di tutto, grazie alla campagna per il No dei suoi nemici girotondini. Sempre che i numeri parlamentari lo consentano e che i partiti populisti non superino la soglia della maggioranza assoluta.
Mentre nel mondo Trump, Putin e gli entusiasti della Brexit lavorano per cancellare il ruolo politico dell’Europa, a difesa dei loro interessi, un’Italia ancora più debole farebbe perfettamente il loro gioco condannando sé stessa e l’Europa all’irrilevanza, oltre che definitivamente al declino. Senza mettere nel conto altro: la contraddizione tra la crescente domanda dell’uomo forte, misurata inequivocabilmente dai sondaggi, e regole istituzionali che rendono i governi debolissimi rischia prima o poi di generare mostri, anche da noi. Lo abbiamo già visto.
Ora, ci sono tre strade. La prima: si prende tempo, imbastendo un negoziato su varianti di dettaglio, riguardo alle soglie e gli apparentamenti, per aggiungere toppe al Consultellum ritagliate su misura per questa e quella forza politica, con l’unico effetto significativo di scavallare il quarto anno del mandato parlamentare.
Ma questa strada il Pd l’ha già scartata. Quindi ne rimangono due. Si prende atto che lo status quo fissato dalla Corte in Parlamento è imbattibile e ci si avvia a votare con la legge scritta dai giudici. Oppure si torna all’ultimo sistema elettorale certamente legittimo, voluto dagli elettori con il referendum del 1993 e allora approvato a larga maggioranza dal Parlamento, su cui in momenti diversi si sono detti d’accordo anche partiti attualmente all’opposizione. Un sistema elettorale certamente non scritto per favorire questo o quello tra i giocatori di oggi. Si torna al confronto faccia a faccia nei collegi uninominali e, prima o poi, a una democrazia normale.