Nuove regole per le primarie?
Il Sole24ore (21/02/10 – con Stefano Ceccanti) | Leggendo su questo giornale l'articolo di Antonio Floridia ("Il Sole" del 9 febbraio) ci è venuto in mente Orazio: "Talora si addormenta anche il buon Omero". Il PD ha fissato in Statuto alcune semplici regole sulle primarie. In due articoli e 753 parole sono contenute tre delle quattro “innovazioni” proposte da Floridia.
Ci sono le quote percentuali (per i membri delle assemblee e per gli iscritti) per presentare candidati e c'è la distinzione per i casi caso in cui c'è un candidato uscente alla carica per la quale si compete (dove la riconferma dovrebbe essere la scelta preferenziale). Senza uscente ricandidato è necessario il dieci per cento dell'assemblea o il tre per cento degli iscritti, altrimenti occorre il trenta dell'assemblea o il quindici degli iscritti. Floridia chiede poi che si fissino i criteri, in caso di primarie di coalizione, per evitare che un partito abbia sempre un solo candidato, ma che non si frammenti eccessivamente. Ci sono già: almeno il 35 per cento dei membri dell'Assemblea o il 20 per cento degli iscritti. La quarta ed ultima “innovazione” proposta (fissare un preciso arco temporale) non è da Statuto, va fatta anno per anno ed infatti è stata stabilita per il 2010 da un apposito Regolamento. Questa volta la questione era complicata perché gli elettori erano già coinvolti dall'elezione del segretario a metà ottobre e, per di più, a causa della concomitanza delle regionali, le amministrative dovevano essere anticipate di due mesi. E' importante fissare una finestra che contempli un intervallo di almeno sei mesi, in modo da avere il tempo di ricomporre efficacemente le fratture. Come giustamente riconosce Floridia, il problema sta nel manico. Nella presunta superiorità della politica. O, meglio, dell’astuzia tattica rispetto a regole considerate troppo rigide e quindi stupide.
Crediamo che oggi pochi possano dubitare che se il PD avesse deciso a monte di svolgere primarie in tutte le Regioni con più candidati, senza tatticismi, la competitività sarebbe maggiore. Due postille. La prima sul cosiddetto Albo degli elettori. Qui si sono addormentati vari dirigenti del Pd, facendo riferimenti erronei agli Usa. Solo in una minima parte degli Stati americani ci si deve registrare in giorni precedenti: lasciare l'adesione fino all'ultimo, come fa il Pd analogamente a molti Stati Usa, amplia la partecipazione e consente di avere una base che rispecchia meglio l'elettorato. La seconda sul rapporto tra autonomia dei partiti e ruolo della legge. Come afferma Floridia la regolazione pubblica può aiutare. Purché non si usi come alibi per non fare le primarie dove essa non vi è ancora. Il legame con la legislazione serve a richiamare anche un'altra evidenza: se il Pd vuole rimanere il partito che ha le primarie nel suo codice genetico, dal momento che questo strumento ha senso soprattutto per la scelta dei candidati alle cariche di governo, esso deve per coerenza sostenere sistemi che portino all'elezione diretta (di diritto o, quanto meno di fatto) degli esecutivi. Se si volesse tornare a sistemi proporzionali non selettivi, che lascerebbero ai partiti dopo il voto la scelta sui Governi, con possibilità di farli e disfarli, non ci sarebbero più le primarie e lo stesso Pd, per lo meno come l'abbiamo conosciuto sin qui. Un Pd che facesse proprio il sistema tedesco negherebbe quindi se stesso. Lo stesso dicasi per la scelta dei parlamentari. E' praticamente impossibile congegnare primarie per lunghe liste bloccate. Con l'uninominale sì che sarebbe possibile.