Lo sguardo corto sul suolo
Nelle ultime settimane Repubblica Bologna ha meritoriamente dato voce ad un importante dibattito sul governo e il consumo del territorio, cui hanno partecipato, tra gli altri, Paola Bonora, Giacomo Venturi, Simone Gamberini. Non credo si possano nutrire dubbi sulla correttezza e la buona fede degli amministratori che hanno autorizzato progetti come il centro sportivo di Granarolo o l’Art Science Center di Casalecchio. I dubbi sull’estensione e la localizzazione di quegli interventi mi paiono invece ben motivati. In ogni caso, se la principale attrattiva, dal punto di vista imprenditoriale, di interventi simili, continua ad essere costituita dai metri di terreno vergine resi impermeabili o edificabili, un problema lo abbiamo. Anzi, ne abbiamo due.
Le scelte sulla loro localizzazione, riguardo all’utilità di uno scambio tra concessioni e oneri di urbanizzazione, le valutazioni sull’equilibrio della singola opera nel contesto territoriale più ampio che dovrebbe servire, meriterebbero d’essere trattate da un autorevole governo di livello metropolitano, con spalle sufficientemente larghe e sguardo abbastanza lungo da potersi confrontare senza complessi con gli interessi di breve termine di chi opera nel settore edilizio. È stato già fatto qualche progresso con il passaggio da 60 “piani regolatori” comunali a 6 “piani strutturali” elaborati in forma associata, ma servirebbe una vera cessione di poteri in questo campo, oltre che sulle politiche per la mobilità, i servizi a rete, le infrastrutture tecnologiche e gli interventi per la ricerca, alla città metropolitana: dall’alto (Regione) e dal basso (Comuni). L’unica condizione, peraltro, alla quale avrebbero senso tutti gli sforzi necessari per crearla, dotandola di una elezione popolare diretta del “Sindaco metropolitano”. Le ragioni per cui questo progetto stenta a decollare mi paiono chiare: una totale inerzia della Regione; resistenze per ora silenziose dei comuni minori, soprattutto dell’imolese; la mancanza di una iniziativa chiara, forte, lineare, determinata da parte del Sindaco di Bologna, risucchiato dai problemi incombenti del giorno per giorno, dopo aver alzato la voce, tempo fa, per invocare il suo ruolo di primus inter pares.
Ma c’è un secondo aspetto della questione troppo spesso sottovalutato, che riguarda la struttura delle imprese edilizie. Bologna ha una spiccata specializzazione in questo settore, il primo in termini relativi, che però soffre di un deficit ricorrente: la dimensione delle aziende è troppo piccola, gli investimenti in innovazione languono, le conoscenze più evolute non sono diffuse a sufficienza. Limiti che ormai non mettono in difficoltà solo chi ha sempre dovuto confrontarsi con il mercato globale, perché anche nel settore delle costruzioni, ad esempio, la frontiera oggi più avanzata dei prefabbricati di elevata classe energetica rischia di spiazzare imprese ben “radicate nel territorio”.
Come è noto, costruire su terreno vergine è più facile, ha costi più prevedibili, richiede un know how ormai consolidato. Così come governare il territorio tenendo conto del processo di invecchiamento del costruito – più rapido ad esempio per gli edifici cresciuti rapidamente negli anni sessanta rispetto a quelli storici – richiede conoscenze sofisticate da parte delle amministrazioni. Peccato che un progetto teoricamente utile a questi fini come quello dei tecnopoli sia stato concepito e continui ad essere praticato dalla Regione Emilia-Romagna secondo la logica del “policentrismo burocratico”, un poco a tutti, una sede in ogni provincia, senza nessuna vera valutazione sulla domanda e sull’offerta di ricerca applicata. Bologna potrebbe essere un centro di eccellenza proprio sulle costruzioni ma già si pensa di collocare a Modena una parte delle attrezzature funzionali al settore dell’ingegneria sismica, per ragioni simboliche e “distributive” che si scontrano palesemente con ovvie esigenze funzionali.
La mia opinione, in sintesi, è che se non si opera per la conversione delle imprese edilizie verso la riqualificazione del costruito, con vincoli regolativi sensati e sostegni all’innovazione, le pressioni verso il consumo di suolo continueranno ad essere forti. Se non si cambia la governance metropolitana, lo sguardo degli amministratori continuerà ad essere corto.