Mantenere la promessa del PD
Il risultato delle europee e del primo turno delle amministrative si può riassumere in poche parole. L’equilibrio complessivo tra le aree politiche registrato alle elezioni del 2008 è rimasto sostanzialmente invariato, nonostante il Governo abbia potuto esibire per mesi sondaggi nei quali il suo gradimento risultava ben più esteso di quello misurato dalle elezioni parlamentari del 2008. Non è, ovviamente, un risultato di cui l’opposizione possa gioire, dato che alle politiche 2008, nel suo insieme, il centrosinistra ha registrato il peggior risultato degli ultimi quindici anni. È anche evidente che, ovunque, in entrambi gli schieramenti, i partiti grandi, ed in particolare il PD, hanno ceduto voti ai partiti più piccoli e più radicali, come era in parte prevedibile dato che stavolta non era in gioco Palazzo Chigi.
Le elezioni amministrative sono andate, dal punto di vista elettorale, esattamente come le europee. La sconfitta è apparsa però più cocente perché in questo caso il termine preso a riferimento sono state ovviamente le elezioni provinciali del 2004, anno di massima contrazione elettorale del centrodestra. Gli effetti politici sono stati più evidenti e negativi per il centrosinistra perché il sistema elettorale per le amministrative fa corrispondere, giustamente, al cambiamento degli equilibri elettorali un cambiamento dei capi e delle coalizioni di governo. Comunque, da questo punto di vista, un bilancio finale si potrà trarre solo dopo il secondo turno, per il quale ora occorre mobilitarsi.
Ci sono tuttavia due segnali abbastanza chiari che vengono dalle elezioni. Il consenso a Berlusconi e al centrodestra comincia ad incrinarsi. C’è un indizio a questo riguardo rilevato da analisi accurate dell’Istituto Cattaneo sui flussi nelle grandi città. Il PdL, che per altri versi continua ad attrarre voti di elettori mobili di altri partiti, perde una notevole quantità di suoi elettori verso l’astensione. Il dubbio che la statura morale di chi guida il governo non sia adeguata al ruolo e che le risposte alla crisi siano propaganda comincia a diffondersi tra chi ha votato per Berlusconi nel 2008. Un fenomeno simile è già capitato tra il 2004 e il 2005 e sta per verificarsi di nuovo, aprendo la strada nuovamente ad una possibile alternanza.
Il problema – il secondo segnale – è che nel centrosinistra non c’è oggi un soggetto politico ritenuto credibile per farsi carico della responsabilità del governo, per fare da baricentro autorevole di una coalizione alternativa all’attuale maggioranza. Il PD era stato creato per questo. Per essere una alternativa solida e credibile alla destra sul piano programmatico, una alternativa reale anche nel modo di intendere la politica, l’esercizio del potere, la partecipazione dei cittadini. Oggi si capisce ancora meglio, dopo il voto delle europee, se si ripensa al clima della campagna elettorale del 2008 e al risultato che il PD aveva ottenuto, quanto fossero preziose le basi che erano state poste allora. E si capisce ancora meglio quanto male siano stati spesi i mesi successivi, nei quali molto del peggio della vecchia politica si è messo in moto per logorare quel progetto invece di farlo crescere.
Oggi molti, comprensibilmente, hanno dubbi che la promessa del PD, partito nuovo, popolare, riformista, adatto alla responsabilità del governo, sia stata mantenuta. Anche per questo, nell’ambito della Fondazione Scuola di Politica, abbiamo promosso una prima inchiesta sul rispetto dello Statuto e del Codice etico del PD e abbiamo chiesto ai democratici di dire come credono che il progetto possa essere rilanciato.
Per chi crede che non si possa tornare indietro, che all’Italia serve un Pd come quello che ci siamo promessi nella fase costituente, c’è una prima eccellente occasione per cominciare a riflettere su come riprendere il cammino. Si terrà il 2 luglio a Roma, con interventi di Francesca Baracciu, Sergio Chiamparino, Paolo Gentiloni, Pietro Ichino, Andrea Martella, David Sassoli, Aldo Schiavone, Debora Serracchiani, Walter Veltroni. Io ci sarò sicuramente.
Per chi crede che i cittadini meritino una legge elettorale migliore della “porcata” approvata dal centrodestra nel 2005, c’è una possibilità di far sentire la loro voce votando tre sì ai referendum. Le ragioni le espongono nitidamente Augusto Barbera, Sergio Fabbrini, Michele Salvati ed altri studiosi in un lucido appello al riguardo.