Il dilemma liste-primarie?
[Mia intervista sul Corriere fiorentino: qui la pagina del giornale] «Oggi la casa brucia». Salvatore Vassallo, politologo e deputato Pd, è restio a parlare di primarie, in un giorno come quello di ieri. «Con i tassi di interesse al 7 per cento siamo dentro la bancarotta. Non c'è nessun paese in questi 50 anni che abbia resistito. Mi sembra l'ultimo dei problemi».
Però la situazione potrebbe precipitare anche dal punto di vista politico, portando al voto entro breve.
«Se saremmo costretti a votare tra tre mesi, cosa che francamente il Paese non si può permettere, faremo quello che si può fare. Ovviamente, se si vota, non ci possiamo permettere un parlamento delegittimato come questo attuale. La cosa migliore sarebbe cambiare legge elettorale. Se non sarà possibile, dovremo comunque trovare un modo per far nascere un meccanismo dal basso. Ma sconsiglio di usare le primarie per scegliere i deputati».
Perché?
«La cosa è complicata tecnicamente. E politicamente. Da un lato è del tutto evidente che c'è una legittima domanda di avere un meccanismo di selezione dal basso, tanto più forte quanto il sistema elettorale è, come quello attuale, inderocosamente blindato nella mani di chi compone le liste. Ma proprio per il modo in cui è fatto il sistema, diventa complicato fare primarie in senso proprio».
Il problema nasce, forse, perché la selezione deve portare ad una lista regionale.
«Esatto. In quelle usate normalmente per candidare il premier o il sindaco, la dinamica è chiara e semplice. C'è una persona da scegliere in un dato territorio tra un numero relativamente piccolo di candidati, su cui tutte le persone si fanno un'opinione, e questo fa sì che ci sia molta gente che partecipa anche tra chi non è impegnato in politica. E il primo che arriva vince».
Qui i candidati da scegliere sarebbero molti di più, ovviamente.
«Esistono solo due modelli alternativi: primarie con un unico collegio regionale, o primarie "territoriali", con collegi provinciali o simili a quelli uninominali. Nel primo, si sceglie la logica del Porcellum: dobbiamo ordinare i nomi di 40 persone in una lista di ambito regionale, avremo 80-100 candidati, e questi si vanno a raccogliere voti in tutti la regione, come si farebbe con le preferenze. Sistema lineare dal punto di vista del risultato, chi prende più voti è più in alto in lista e più sicuro di essere eletto. Ma…».
Ricorda molto le preferenze.
«Con diverse differenze. Intanto, i candidati sono un numero esagerato, difficilmente i simpatizzanti li potranno conoscere tutti. Ci sarà la ricerca di voti con gli aspetti più deteriori della preferenza, senza che siano regolate dal ministero degli interni ma da una organizzazione più fragile: pensate a quello che potrebbe succedere in Campania».
Oddio, a Napoli è già successo per le primarie a sindaco…
«E con un numero di candidati enormemente minore. In questo caso, invece, una organizzazione strutturata, anche con pochi voti, può mettere un candidato in lista».
L'alternativa?
«Costruire artificialmente dei collegi, facendo finta che quei 40 nomi siano espressioni di cluster provinciali, più piccoli, o uninominali. In quelli provinciali c'è comunque qualche effetto simile al collegio unico regionale. Ma comunque la competizione sarebbe più simile a quella "originale" delle primarie. Ma come comporre poi la lista definitiva? Con la percentuale di voti espressi? Facciamo un esempio: in un collegio dove il centrosinistra ha il 10 per cento di voti vince un candidato con l'80 per cento delle preferenze alla primarie, perché non c'è competizione; in un collegio dove il centrosinistra è forte, magari ha il 50 per cento dei voti, vince in una competizione più serrata un candidato con solo il 30 per cento. Chi si mette prima in lista? Come si concilia con il rispetto dell'equilibrio uomini-donne nelle liste? Chi continua a spingere per primarie per i deputati evidentemente non ha riflettuto o lo ha fatto in modo irresponsabile».
Ma in Toscana però le primarie per il Consiglio regionale le hanno tenute.
«Con scarso risultato di partecipazione, pochi voti sono arrivati fuori dal ristretto giro della politica. Meglio di niente, ma c'entrano poco con l'esperienza delle primarie di Milano, di Bologna. O di Firenze».