Ora il metodo Renzi-Boschi sul Senato
A fronte dell’infinita serie dei tentativi strampalati o falliti, condotti nelle ultime legislature, l’approvazione dell’Italicum consacra la bontà del metodo Boschi-Renzi. La firma di Mattarella mette la parola fine ai balordi accostamenti con il fascismo e cancella l’onta di una legge elettorale scritta dai giudici, invece che dal Parlamento. Dagli stessi giudici, per inciso, che hanno appena varato una contromanovra finanziaria da 16 miliardi di euro, sottostimando sia il principio costituzionale del pareggio di bilancio sia quello per cui ogni decisione di spesa dovrebbe essere presa da chi contestualmente si assume l’onere di trovare le coperture.
Il metodo Renzi-Boschi ha vinto, contro ogni aspettativa, incassando il meditato entusiasmo della stampa europea, dal Financial Times a El Pais a Politico.com, perché non è stato solo guidato da una chiara visione politica e da una leadership forte, ma anche da una altrettanto chiara comprensione degli aspetti su cui si poteva essere cedevoli, anche al rischio di indispettire i puristi, e di quelli invece non negoziabili, da sottrarre ai soliti pasticci cucinati per ragioni tattiche.
Ora è fondamentale che quel metodo non venga abbandonato all’ultimo miglio, sulla riforma del Senato. Questo sembra voler dire il ministro Boschi quando parla di possibili adattamenti sulla linea del Bundesrat tedesco, dove siedono i governi dei Länder. In questo caso il principio non negoziabile è ben piantato nel DDL costituzionale dove si chiarisce, superando una lunga e interessata ipocrisia, che «il Senato rappresenta le istituzioni territoriali». Il fatto che non rappresenti direttamente gli elettori non é una diminutio. Il Senato serve se porta nel processo legislativo qualcosa di diverso della Camera, che é invece opportuno mantenga l’esclusiva sulla rappresentanza popolare. Serve se porta il punto di vista di chi deve attuare le leggi governando nei territori. Sta lì la sua possibile ragion d’essere e la sua forza.
L’idea di lanciare una gara sulle preferenze tra i candidati al consiglio regionale per ottenere il “titolo” di Senatore, rischia di andare, per comprensibili scopi tattici, in una direzione completamente opposta. Rischiamo di mandare in Senato i Fiorito o nell’ipotesi migliore personaggi a tal punto “radicati nel territorio” che a Roma ci andrebbero una volta ogni tanto a fare passerella, o i figuranti.
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