Come salvare il bipolarismo
[Lettera a Il Foglio]. Secondo questo articolo pubblicato dal Foglio venerdì, sarebbe in corso un pourparler sulla riforma del sistema elettorale che prende le mosse dai contenuti di un documento riservato che ho redatto nel 2007. Il documento in questione è stato in realtà pubblicato da diversi siti Internet. In un mio articolo del gennaio 2008 su lavoce.info ne vengono apertamente spiegati i presupposti politici, vengono fornite stime del suo prevedibile impatto sulla dinamica della competizione elettorale e la rappresentanza parlamentare dei diversi partiti, insieme ai file con tutti i dati e i calcoli utilizzati per elaborarle.
La logica di fondo di quella proposta non solo è ancora oggi attuale, ma sarebbe ora più facile da praticare in Parlamento: consentire agli elettori di scegliere tra candidati da loro ben identificabili (superando le lunghe liste bloccate), disincentivare la frammentazione in troppi partiti senza spingerli a formare a tutti i costi ampi cartelli elettorali inevitabilmente eterogenei.
Anche allora l’obiettivo era superare il “bipolarismo centrifugo”, basato su coalizioni costruite a prescindere dai programmi, composte da alleati tenuti insieme contro gli avversari ma incapaci di condividere un progetto di governo. Una dinamica alimentata, in mancanza di buoni argomenti, per avvantaggiarsi dalla radicalizzazione dello scontro, che non ha portato niente di buono per il Paese. Se non si vuole perdere con quest’acqua sporca il bambino sano del bipolarismo, si tratta di far evolvere (o forse oggi potremmo dire stabilizzare) il sistema politico verso una forma che consenta equilibri molteplici, a seconda delle posizioni programmatiche che concretamente assumono i soggetti politici in gioco. Che consenta, ad esempio, sia la competizione tra due coalizioni composte rispettivamente da uno dei due principali partiti e dalle relative ali estreme (messe però in condizione di non poter costantemente bluffare al rialzo), oppure una competizione senza accordi elettorali preventivi in cui i maggiori partiti siano spinti poi a contendersi l’appoggio in Parlamento di diversi potenziali alleati. Dobbiamo e possiamo passare insomma ad un bipolarismo “centripeto”, in cui le coalizioni si formino su basi programmatiche e siano sensibili verso le preferenze degli elettori più ragionevoli e raziocinanti. Ma, perché il sistema non degeneri in un puro trasformismo parlamentare e non conceda una rendita di posizione assoluta ai “partiti di centro”, è necessario che la legge elettorale promuova il consolidamento di due grandi partiti i quali, tranne casi eccezionali come quello nel quale siamo capitati, siano chiaramente tra loro alternativi, siano dominanti nel rispettivo schieramento e tengano quindi in vita la dinamica bipolare.
Si può abbandonare il premio di maggioranza e si può passare ad sistema elettorale con “formula” proporzionale o misto proporzionale-maggioritario. Ma, se non si vuole buttare il citato bambino, solo se è congegnato in modo da: sovra-rappresentare chi si carica della responsabilità maggiore e ottiene i maggiori consensi; equi-rappresentare i partiti tra l’8 e il 15 per cento; sottorappresentare in maniera crescente i partiti che si allontanano verso il basso da questa soglia, senza escluderli dal Parlamento, a meno che non dimostrino d’essere espressione di una piccola nicchia di ceto politico. Oggi questo schema ha più possibilità d’essere praticato per la semplice ragione che in Parlamento ci sono meno micro-partiti in grado di porre veti. E perché, inoltre, nessuno dei maggiori partiti è condizionato in maniera ossessiva dalla necessità di non scontentare alleati indispensabili per la tenuta del governo o per vincere in imminenti elezioni.
Tra i difetti del tentativo fatto nel 2007 uno certamente non va ripetuto. Oggi sarebbe esiziale. La “riservatezza” che gli si volle dare generò una infinità di maldicenze, forse non tutte infondate. I negoziatori più abili, capaci di tenere relazioni molteplici e parallele, di attribuirsi anche deleghe di cui non dispongono e cambiare linguaggio con ciascun interlocutore ad ogni rotazione di sliding door dovrebbero privarsi di questo loro talento. Se si vuole fare sul serio, si parta chiarendo in pubblico qual è l’obiettivo sistemico che si vuol perseguire. Si discuta, in pubblico, sui modelli alternativi che possono servire allo scopo. Si prenda l’impegno ad un esame vero, non fittizio e arraffazzonato, dei relativi progetti di legge nelle sedi istituzionali preposte (le Commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato). E si chiuda in tempi ragionevoli la questione, ben prima che riprenda l’ansia da prestazione elettorale.
Chi vuole approfondire le mie proposte in materia di riforma elettorale può consultare questo dossier.