Perché ha vinto il No
Letti nel loro insieme, i dati forniti dai più accreditati istituti di ricerca dicono due cose chiarissime. La gran parte degli elettori ha votato al referendum seguendo gli orientamenti del proprio partito. Al netto del sostanziale allineamento tra orientamenti politici e voto referendario, il No ha sfondato tra le categorie e nei territori più periferici o svantaggiati (tra operai, casalinghe, disoccupati; al sud e nelle periferie delle grandi città). Il Sì è andato meglio tra pensionati e studenti, nelle aree del paese più ricche per dinamismo economico e capitale sociale.
Sulla curva del voto per età le rilevazioni per ora disponibili danno indicazioni controverse. Secondo Quorum (per SkyTG24 pubblicato anche da Corriere della Sera) ed Swg (Unità) la tendenza sarebbe lineare e nettissima: più cresce l’età più aumenta il voto per il Si. Secondo i dati Demos (per Repubblica) ciascuna fascia di età si discosterebbe molto meno dal risultato complessivo e comunque ci sarebbe un picco di No tra i quarantenni, mentre tra i ventenni il rapporto si/no sarebbe perfettamente allineato al complesso dell’elettorato. Se le cose stessero come dicono i dati presentati da Ilvo Diamanti, nemmeno l’età in quanto tale conterebbe tantissimo. Il dato per età rifletterebbe fattori già inclusi nelle prime due spiegazioni: tra i trentacinque-cinquantenni c’è la quota più ampia e attiva di elettori 5 stelle oltre che di persone esposte alle insicurezze generate dalla grande recessione, tra gli anziani la quota più bassa.
Alcuni a sinistra continuano ad insistere che la sconfitta dipende dalla cattiva qualità della riforma. Ma sono i numeri a dire che il contenuto, purtroppo, con il risultato del referendum non c’entra niente. Non solo gli allineamenti politici, geografici e generazionali raccontano tutta un’altra storia e spiegano già quasi tutto. All’interno di ciascuna categoria (per fascia di età, area geografica di residenza, orientamento politico) i più istruiti hanno mostrato una propensione maggiore dei meno istruiti a votare Si. Ogni protagonista dell’eterogeneo fronte del No ha fornito ottimi assist alla propaganda di pentastellati e leghisti. Ma i numeri dicono che l’impegno diretto dei tanti intellettuali e politici per il No che si collocano a sinistra nel o del PD, non può avere spostato più di un 3-4 per cento dell’elettorato, contribuendo solo marginalmente alla vittoria congiunta di Grillo e Salvini.
La sonora sconfitta politica di cui Renzi ha giustamente preso atto non è quindi addebitabile al contenuto della riforma. Semmai all’illusione che il merito della riforma potesse spostare valanghe di elettori politicamente distanti e che governare con determinazione per favorire la crescita potesse smontare la politica del risentimento anti-establishment evitando che prendesse a bersaglio chiunque fosse seduto a Palazzo Chigi. Con il senno di poi, se Renzi ha commesso un errore, lo ha quindi commesso nel 2014, quando invece di spendere tutte le sue energie per portare a casa rapidamente una riforma elettorale passabile e chiedere il voto anticipato, ha puntato ad un obiettivo più ambizioso.
La somma di questa ambizione dimostratasi eccessiva e della incredibile ipocrisia di molti oppositori ci consegnano purtroppo un paese ancora avvitato intorno al nodo della riforma elettorale. Ciò detto, il dibattito pubblico e le conversazioni private intorno al referendum hanno elevato la consapevolezza sui limiti delle istituzioni repubblicane mostrando al tempo stesso che le basi della nostra democrazia sono solide, molto più di quanto hanno raccontato i narratori della svolta autoritaria. La partecipazione è stata alta e il responso sul quesito inequivocabile.
Ora, sarebbe ridicolo sostenere che quel quaranta per cento di voti siano tutti “del PD”. Di sicuro, nel complesso, indicano il profilo dell’elettorato a cui la proposta riformista del PD guidato da Renzi appare più convincente. Ne segnalano punti di forza e limiti. Confermano che per dimensione e capacità espansive verso l’elettorato moderato del centro-nord può costituire il nerbo dell’unica proposta riformista di cui oggi dispone il Paese. Alternative non se ne vedono. Se esistono è bene che si facciano avanti raccontando dove potrebbero andare a parare, con quali volti e con quali voti, dato che ora la posta diventa, se possibile, ancora più alta, per il Paese, della riforma costituzionale. Nel Pd il posto per discuterne è un congresso. Nel Paese il momento per decidere sono le elezioni.