Populisti. La soluzione francese
Dopo l’Olanda anche la Francia ha scelto, a suo modo, l’alternativa ai populisti. Grazie a circostanze fortunate per Macron e alle regole istituzionali della V Repubblica, si tratta dell’alternativa più netta possibile, come si è visto dalle prime dichiarazioni: da un lato Marine Le Pen che agita lo spettro «della globalizzazione selvaggia e dell’immigrazione di massa» presentandosi come l’unica combattente che può «liberare il popolo francese» e lottare «per la sopravvivenza della Francia»; dall’altro un nitido sostenitore della società aperta e dell’Europa unita.
Marine Le Pen è una figlia d’arte e una politica di professione che si propone come una radicale alternativa all’establishment. Macron è un outsider, come politico, ma tutt’altro che un «anti-sistema». Proviene dalla classica selezione meritocratica delle élite francesi: studi a scienze politiche, all’ENA, poi alto funzionario pubblico, banchiere d’affari e giovanissimo ministro dell’economia. Ha militato in movimenti di centrosinistra e nel PS dai primi anni duemila. È stato cooptato nel 2008 da Jacques Attalì nel gruppo bipartisan voluto da Sarkozy per redigere il rapporto «liberare la crescita», poi dal 2010 ha collaborato con Hollande. Le sue posizioni e gli ambienti in cui si è formato (le Grandes écoles, il socialismo liberale, l’europeismo, la filosofia personalista di Paul Ricoeur) lo collegano idealmente a Jacques Delors. Il giorno dopo il responso delle urne, i mercati finanziari hanno applaudito.
Secondo i dati Ipsos-France, Macron non è andato male tra i colletti bianchi e blu, ma è stato sostenuto soprattutto da manager, professionisti e quadri, dai più istruiti e dalle persone con redditi medi o alti. Ha votato per lui quasi la metà degli elettori che nel 2012 sostennero Hollande o Bayrou e il suo elettorato è composto in larga parte da persone che si collocano nel centrosinistra.
Non a caso, le idee chiave del suo programma assomiglino molto a quelle del Pd del Lingotto (il primo e il secondo): scommessa su cultura e innovazione, lotta alla burocrazia e contenimento della pressione fiscale, politiche di integrazione per gli immigrati e attenzione alla sicurezza, rilancio dell’Ue e capacità di vedere tutti i vantaggi della globalizzazione oltre ai rischi, nessuna gratuita retorica anticasta ma uno sforzo creativo per andare oltre i partiti tradizionali, la consapevolezza che per portare avanti queste priorità e battere i populisti si devono oltrepassare le classiche divisioni destra-sinistra parlando a una platea che va oltre la storica constituency socialdemocratica.
Ora, un po’ di scaramanzia e il timore di demotivare la partecipazione portano a dire: vediamo come va a finire, non si sa mai. Ma i sondaggi stavolta ci hanno preso quasi al millimetro ed è difficile che le previsioni sul ballottaggio siano clamorosamente sbagliate. Alle elezioni parlamentari dell’11 e 18 giugno, invece, si riapriranno i giochi. Nonostante i repubblicani siano rimasti esclusi dalla competizione per la presidenza e il PS abbia perso quasi tutto verso Macron e Melanchon, domenica sono comunque emerse quattro aree politiche con un peso elettorale equivalente, difficili da combinare. Anche se non sappiamo ancora come, il maggioritario di collegio e il doppio turno aiuteranno comunque i francesi a ottenere un risultato chiaro. Beati loro. Che se votassero con un sistema elettorale simile al consultellum, con le due sinistre e le due destre divise, il centro, i verdi e altri partitini sarebbero anche loro di nuovo impantanati nell’impotente instabilità della IV repubblica.
(*) Pubblicato su l’Unità