Populisti. La soluzione olandese
Nell’ultimo decennio ogni paese occidentale ha visto crescere il suo bubbone populista. Dal 2006 l’Olanda ha il Partito per la Libertà (PVV) di Geert Wilders. Un politico di lungo corso che fino al 2004 è stato componente del partito liberal-conservatore (VVD) oggi guidato dal primo ministro uscente Mark Rutte, il vincitore delle elezioni. Da allora, Wilders diffonde pochi messaggi, semplici e inquietanti: l’Olanda è degli olandesi e non sarà mai una casa per i mussulmani. Paragona l’islam nel suo insieme al nazismo e propone una specie di pulizia etnica che include: chiudere le moschee, bandire il corano, estradare gli stranieri o le persone con doppia cittadinanza che subiscano una condanna. Ripete frasi come: loro, anche se hanno la cittadinanza, non sono olandesi; l’Olanda è nostra; qui decidiamo noi. Una versione fiamminga di Trump e Le Pen, ma meno emotiva, più algida, che come in Usa e Francia parla ha chi pensa di aver perso qualcosa: identità, sicurezza, reddito, opportunità di lavoro. Ed è disposto ad addossare le colpe su immigrati e Unione Europea. Wilders è, tecnicamente, l’unico componente del suo partito. Nemmeno i parlamentari eletti nelle liste del PVV ne fanno parte. In questo modo controlla completamente programma, strategie e finanziamenti. Ricorda qualcosa?
La buona notizia è che ciascun paese occidentale sta anche cominciando a mettere in moto i suoi anticorpi. In Olanda il fiume in piena ha incontrato una diga. Stavolta sono stati gli elettori preoccupati per la deriva populista a mobilitarsi in dimensioni inattese e a ridimensionare il demagogo nazionale.
Sono stati però i leader di centrodestra a ottenere i risultati migliori mentre i partiti del centrosinistra sono quasi scomparsi. Liberali e democristiani hanno tenuto, da un alto riaffermando i rispettivi valori fondamentali e l’utilità della prospettiva europea, dall’altro incorporando nei loro discorsi alcune delle preoccupazioni su cui Wilders ha fatto leva. Ad esempio, Mark Rutte ha detto degli immigrati cose come «comportatevi bene o andatevene», mentre il leader dei cristiano democratici ha proposto che sia obbligatorio cantare a scuola l’inno nazionale. I laburisti del PvdA, invece, che sono stati il primo partito in parlamento dal 1994 al 2002 con il loro leader Wim Kok primo ministro, e che ancora alle elezioni del 2012 erano al 24,8% ora crollano al 5,7. Sono sfidati come molti classici partiti socialdemocratici dai populisti sul terreno sociale, tra quel che fu l’elettorato operaio. Ma sono stati soprattutto vittima della sindrome dell’alleato minore, costretto a pagare tutti i costi di una collocazione politicamente complicata, in un governo a guida liberale, senza godere della centralità mediatica attribuita al primo ministro. Cosicché, la somma dei rivoli in cui si è diviso l’elettorato di centrosinistra (laburisti, verdi, democratici 66, socialisti) è diventata parte del problema invece che della soluzione.
Per fare il governo servono 76 dei 150 seggi della Camera. Quindi dovranno mettersi insieme almeno quattro partiti. Il vantaggio degli olandesi è che sono abituati a gestire in maniera molto ordinata la politica di coalizione. Il nome del primo ministro non è oggetto del negoziato: è il leader del partito che ha più seggi. Inoltre, nel corso degli anni, tutti hanno fatto alleanze con tutti. La Dc olandese è stata il primo partito per tutto il dopoguerra, tranne che dal 1994 al 2002, quando prevalsero i laburisti. Dal 2010 sono invece arrivati primi i liberali di Mark Rutte che nel 2010 si è alleato con la CDA, nel 2012 con i laburisti e ora sarà costretto a cercare una nuova geometria. In base a una prassi introdotta nel 2012, le consultazioni prenderanno avvio con un voto parlamentare. Uno o più «informatori» verificheranno quale formato è più praticabile e promuoveranno la scrittura di un dettagliato accordo di coalizione, che verrà discusso, emendato e infine votato dai gruppi parlamentari della possibile maggioranza. Solo allora, entrerà formalmente il gioco il «formatore», l’equivalente del nostro Presidente del Consiglio incaricato, per selezionare i ministri e dare vita al nuovo governo. Ci sarà da aspettare, ma la quadra si troverà.
(*) Pubblicato su l’Unità