Primarie a doppio turno
[Mio intervento sul Corriere della Sera]. Benché sia riuscito a scavallare a stento l’ennesimo voto di fiducia, la fine politica di Berlusconi attende ormai solo di essere certificata. Nel frattempo il Paese continuerà a tribolare, con una maggioranza risicata e raccogliticcia, minoritaria tra i cittadini, ed un governo pesantemente screditato ad ogni latitudine del pianeta. Sarebbe tutto più semplice se fosse già pronta una compiuta proposta politica alternativa: lo ha detto poco tempo fa, con il suo stile, anche Giorgio Napolitano. Per questo, la recente lettera di Parisi, Di Pietro e Vendola è più che opportuna, anche se incompleta e poco attenta alla lezione francese a cui pure si richiama. Innanzitutto, la richiesta di primarie prima possibile, aperte, veramente competitive, non dovrebbe essere disgiunta da un’altra considerazione. Come ci siamo detti, raccogliendo insieme le firme contro il Porcellum, non si può tornare a votare con l’attuale legge elettorale. Servono dunque tempo e un governo di transizione per consentire lo svolgimento del referendum con il ritorno ai collegi uninominali.
D’altro canto, senza i collegi uninominali verrebbe meno una componente essenziale dello schema che PDV implicitamente propongono. Per vincere, convincendo gli elettori che stavolta non sarà come con l’Unione nel 2006-08, bisogna offrire una proposta intellegibile e maggiore coesione. La vocazione maggioritaria, come ambizione del PD d’essere il faro riformista di quel campo, è stata purtroppo prima interpretata con eccessiva cautela, poi irrisa e infine buttata alle ortiche. Altrimenti oggi una proposta forte e adeguata al contesto, capace di parlare anche ai delusi del berlusconismo, ci sarebbe già. Ma si sa che la storia raramente lascia riprendere per i capelli le occasioni mancate. Né basterà l’attivismo di vecchie e nuove associazioni, interne ed esterne ai partiti, comprese quelle a cui personalmente aderisco (MoDem) o attendo con interesse di vedere all’opera (Renzi, Civati). Sicuramente non basta l’attuale insufficiente equilibrio, buono forse per chi è appostato davanti alla segreteria del PD in attesa che lì si compilino le liste per il prossimo Parlamento.
Dobbiamo dunque imparare dai francesi, dopo che loro, imparando da noi, sono riusciti a sollecitare una partecipazione inimmaginabile, a mettere in scena una competizione viva, che ha unito la gauche, storicamente iperframmentata e radicaleggiante, intorno al candidato più capace di parlare anche agli altri. Oltre che aperte a tutti gli elettori, quelle del nuovo centrosinistra dovrebbero essere primarie a doppio turno.
In una prima variante, basterebbe anticipare di poco il “Congresso” del PD, che non avrebbe senso convocare tre mesi dopo le elezioni. Per semplificarne il complicato procedimento, voluto nel 2007 proprio da chi l’ha poi criticato più aspramente nel 2009, si potrebbe abolire la fase preliminare interna, a cui partecipano solo gli iscritti, sostituendola con requisiti più stringenti per filtrare le candidature. Alle primarie di coalizione, poche settimane dopo, ci andrebbe per il PD solo il segretario appena eletto o pienamente ri-legittimato. In alternativa, si potrebbero fare primarie di coalizione a due turni in senso stretto, ma senza vincoli di partito. D’altro canto anche in questo caso, verosimilmente, il primo turno selezionerebbe la candidatura democratica più forte.
Accusate ripetutamente di essere un gioco da apprendisti stregoni, le primarie hanno dimostrato d’essere il metodo giusto per unire un campo politico largo e plurale, per metterne a confronto gli orientamenti politici e alla prova i leader. Solo passando da lì, proprio perché senza garanzia di risultato, si può far prevalere nel centrosinistra italiano la cultura e una guida riformista. L’unica condizione alla quale, dopo aver vinto convincendo, il centrosinistra potrà anche governare per rimettere in moto il Paese. È l’ambizione che hanno coltivato in modi diversi e fortune alterne l’Ulivo di Prodi e il PD di Veltroni. Detto per inciso, dagli incontri convocati dai giovani leader democratici già citati, credo ci si debba attendere niente di meno se non idee chiare e distinte adeguate al livello di quella ambizione.