Riforme istituzionali
[Mio articolo su l'Unità. Cliccare qui per la versione pdf] L’accordo sull’ABC delle riforme istituzionali è un altro importante risultato raggiunto sotto l’ombrello del governo Napolitano-Monti. Il fatto stesso che una qualche intesa sia stata raggiunta segna un importante passo avanti. Rimangono tuttavia aperte due questioni che discriminano un buon accordo da un fallimento. La prima riguarda il bicameralismo, la seconda il sistema elettorale.
Sulla riforma del Parlamento, Alfano, Bersani e Casini hanno scelto per ora la via più facile: una spuntatina al numero degli eletti da una parte e dall’altra, mantenendo però una perfetta simmetria dei poteri tra le due camere, due distinti corpi elettivi e due burocrazie parallele. Verrebbero cioè mantenute tutte le inutili duplicazioni di oggi, per giustificare le quali, dando al tempo stesso la parvenza di un cambiamento, si adotterebbe un assetto ancora più eccentrico dell’attuale. In base all’accordo ABC, si invererebbe, ad esempio, il sogno di Berlusconi di dare ai soli capigruppo il potere assoluto. I capigruppo non voterebbero sulle singole leggi, ma eserciterebbero un potere che normalmente è assegnato alle costituzioni: deciderebbero di volta in volta quale delle due camere deve decidere. L’alternativa, praticata in tutti gli altri paesi europei, è che una sola camera, composta ad elezione diretta, abbia il potere di conferire e ritirare la fiducia al Governo e di approvare in via definitiva le leggi. L’altra potrebbe essere composta nel nostro caso da delegati delle Regioni e da sindaci (non da altri eletti) con il potere di proporre, con l’occhio di chi deve darne attuazione in periferia, emendamenti alla legislazione statale. Il processo legislativo e il rapporto con il Governo sarebbero più lineari e si potrebbe unificare l’amministrazione del Parlamento, realizzando una riduzione vera dei costi, economici e decisionali.
Anche sul sistema elettorale le alternative cominciano a restringersi. Riguardo alla modalità di presentazione delle candidature e quindi alla scelta dei singoli parlamentari da parte dei cittadini, è giustamente condivisa l’dea che si segua l’esempio tedesco. Una metà dei seggi sarebbe attribuita nell’ambito di collegi uninominali ai candidati del partito che, in ciascun collegio, ha preso più voti. L’altra metà sarebbe distribuita in modo da realizzare una compensazione proporzionale, sottraendo quindi dal computo dei seggi spettanti a ciascun partito quelli già presi nei collegi. Gli elettori darebbero un solo voto valido per i candidati di collegio e per le liste circoscrizionali di uno stesso partito. In ogni circoscrizione (grande come una o due medie province), gli elettori dei partiti piccoli sarebbero rappresentati dal primo e forse dal secondo candidato della relativa lista circoscrizionale; gli elettori dei partiti più grandi, in aggiunta, potrebbero avere anche un rappresentante di collegio. In entrambi i casi l’elettore saprebbe “cosa sta comprando”: chi sono i parlamentari che contribuisce ad eleggere se vota per un determinato partito. E i partiti verrebbero quindi dissuasi dal proporre candidature impresentabili, non potendole più infilare di soppiatto nel “titolo tossico tutto compreso” delle lunghe lista bloccate del Porcellum. Sarebbe inoltre assai facile svolgere elezioni primarie per la scelta dei candidati, come minimo nei collegi uninominali. Verrebbe ristabilita una relazione più immediata e diretta tra elettori e singoli candidati, senza tornare alle preferenze.
Il nodo, davvero cruciale, ancora non sciolto riguarda la modalità di ripartizione dei seggi tra i partiti. Fino ad ora i negoziatori dell’ABC sembrano orientati a prevedere che sia effettuata sulla base del totale dei voti ricevuti in ambito nazionale. Torneremmo così ad un sistema puramente proporzionale, come quello della Prima Repubblica, che dovrebbe quindi essere corretto da una serie di marchingegni aggiuntivi. Per frenare la frammentazione, sarebbe aggiunta una soglia legale di sbarramento. Ci sarebbe poi una quota di seggi distribuita in premio ai soli partiti più grandi. Questa soluzione rischia di chiudere per sempre la stagione del bipolarismo ed è inutilmente complicata. Soglie e premi stabiliti ad hoc generano sperequazioni vistose e ingiustificabili. Ad esempio, chi ottiene il 4,9% dei voti verrebbe escluso, mentre chi prende il 5,1 potrebbe diventare determinante (come si dice dopo). Inoltre, quanto maggiore è la quota riservata al premio, tanto maggiore la probabilità che il premio abbia senso. Se infatti il premio è troppo piccolo e non aiuta la formazione di maggioranze politicamente coese, si risolve in un mero “regalo” in seggi ai partiti più grandi. Ma, tanto maggiore è la quota riservata al premio, tanto maggiore e meno giustificabile la sperequazione tra chi, di poco, supera la relativa soglia e chi, di poco, rimane sotto. Quindi, con tutta probabilità, il premio sarebbe piccolo e inutile, il sistema piattamente proporzionale.
L’alternativa consiste nel ripartire i seggi circoscrizione per circoscrizione, senza recupero dei resti, come si fa in Spagna. La soglia contro la frammentazione e il premio per i partiti più grandi sarebbero prodotti in maniera implicita e graduale. L'ispano-tedesco, applicato in circoscrizioni in cui si assegnino in media 14 seggi, sette dei quali in collegi uninominali, crea una “barriera naturale” alla frammentazione perché, per conquistare uno dei circa 14 seggi in palio, bisogna avere intorno al 5% dei voti. Con il 10% dei voti si ottiene grosso modo una uguale percentuale di seggi; se la quota di voti cresce, cresce gradualmente la probabilità che il partito venga sovra-rappresentato, e viceversa.
Con il tedesco iper-proporzionale, ad un partito collocato al centro basterebbe poco più del 5% dei voti per essere indispensabile a qualsiasi maggioranza di governo. Sarebbe il leader del partito di centro, piuttosto che gli elettori, a decidere quale maggioranza si deve formare. Con l'ispano-tedesco, potrebbero più facilmente formarsi maggioranze alla sinistra o alla destra del partito di centro che lo escludano, o comunque maggioranze politicamente coese di tre o di due soli partiti. Premiando le integrazioni, l’ispano-tedesco stimolerebbe il riassetto del sistema politico intorno a 5-6 partiti e manterrebbe viva la dinamica bipolare attraverso la competizione, decisiva, tra i due più grandi.
Insomma, molto bene che sia stato avviato il percorso delle riforme. Ma abbandoniamo davvero il bicameralismo perfetto e salviamo il bipolarismo.