Proporzionale di sinistra?
[Mio articolo su L'Unità:.qui la pagina del giornale]. L’articolo di Massimo D’Antoni pubblicato l’altro ieri trae spunto da un dibattito di grande interesse e rilievo nella scienza politica contemporanea. L’uso politico che ne fa temo ci porti fuori strada. Citando i lavori di Torben Iversen sulle determinanti politiche delle varietà di capitalismo, trae la seguente conclusione: “I sistemi proporzionali […] sembrano incoraggiare l’emergere di coalizioni tra partiti di centro e di sinistra, più propensi a investire risorse in sistemi di assicurazione sociale; nei sistemi maggioritari l’elettore di centro tende invece a favorire con il suo voto le forze conservatrici”. Il proporzionale sarebbe quindi di sinistra (egualitario e redistributivo), il maggioritario di destra (individualista e concorrenziale). Argomenti apparentemente simili sono esposti in un lavoro di Torben e Soskice pubblicato dalla American Political Science Review nel 2006. Ma per capire meglio la questione, anche ai nostri fini, conviene partire da un altro articolo, di Cusak, Torben e Soskice (CT&S), pubblicato dalla stessa rivista nel 2010.
Dopo aver mostrato che esiste una correlazione tra politiche redistributive e proporzionale, i nostri si sono chiesti: cosa viene prima? Hanno quindi dimostrato in modo molto elegante quanto più modestamente ho sempre segnalato ai miei studenti di politica comparata: che, se ne esiste una, la principale relazione di causa-effetto, tra proporzionale e socialdemocrazia, è inversa!
Tra otto e novecento, al momento dell’estensione del suffragio, quasi tutti i paesi europei avevano sistemi elettorali maggioritari. Una buona parte di loro sono passati al proporzionale. Non certo perché decisori illuminati abbiano pensato che così sarebbe stato più facile praticare politiche redistributive. CT&S sostengono che i leader politici chiamati a prendere la decisione si trovarono di fronte a tre alternative teoricamente disponibili: 1) mantenere il sistema maggioritario e dotarsi di una leadership capace di competere credibilmente per voti da raccogliere anche oltre i gruppi di interesse a cui i rispettivi partiti erano collegati; 2) mantenere il sistema maggioritario ma ridurre il grado di competizione elettorale con qualche forma di cooperazione tra i partiti, sotto forma di patti elettorali o fusioni; 3) passare al proporzionale.
La soluzione numero 3, spiegano CT&S, fu preferita dai leader di partiti collegati a forti organizzazioni di interesse, con una larga base popolare, che chiedevano d’essere rappresentate in maniera esclusiva (sindacati operai, organizzazioni cattoliche). I ledaer di quei partiti non avevano bisogno di mettere a rischio il loro consenso (e il loro ruolo) con la soluzione 1 o di imbarcarsi nella faticosa e ugualmente rischiosa soluzione 2.
Quindi, si può dire che “il proporzionale è di sinistra” non tanto perché produca governi egualitari, quanto nel senso che, all’inizio del novecento, fu scelto, per una convenienza di breve termine delle élites politiche, in paesi “protocorporativi” (così CT&S), a dominanza socialdemocratica e/o democristiana. Disincentivando l’alternanza, ha forse favorito, fino agli anni ottanta, il permanere al potere degli stessi partiti e quindi il consolidarsi, nei paesi scandinavi e centroeuropei, del “capitalismo regolato”. Così come ha favorito la permanenza al potere della Dc in Italia. Con una differenza, che nel Nord Europa le politiche redistributive sono state possibili, fino agli anni settanta, perché al governo c’erano partiti disciplinati, dotati di larghe maggioranze parlamentari ed elettorali, che potevano fare accordi credibili con le parti sociali in quanto non traballavano ad ogni alito di corrente.
Lo schema analitico di CT&S, correttamente interpretato, è utile anche per un’altra ragione. È davvero impressionante notare come, riguardo al cambiamento del sistema elettorale, le alternative di fondo siano anche oggi le medesime tre. Seguendo quello schema, potemmo considerare il ritorno al proporzionale utile se concepissimo il PD come espressione di una ben delimitata categoria di elettori, di un ben organizzato gruppo di interesse, ad esempio la Cgil. Con l’effetto a cascata di proporzionalizzare anche la rappresentanza di altri settori dell’elettorato e regredire, come minimo, ai partiti che avevano dato vita al PD … quando fu invece scelta la soluzione numero 2!
Va ricordato, inoltre, che un altro importante segmento della letteratura economica e politologica ha mostrato, con solide prove empiriche, che i sistemi elettorali proporzionali sono correlati con più elevati livelli del debito pubblico e maggiori difficoltà a farvi fronte. Per cui bisognerà pur decidersi. Possiamo scegliere istituzioni deboli, rappresentanza proporzionale ed eterogenei governi di coalizione. Ma non possiamo poi gridare al golpe tecnocratico se l’Unione Europea è costretta a prenderne atto e ci commissaria!
In ogni caso, è da un bel po’ che personalmente credo sia necessario adottare in Italia un sistema elettorale misto, né seccamente maggioritario, né piattamente proporzionale, che tenga viva la dinamica bipolare senza precludere a partiti medi e grandi di presentarsi da soli. Era il principio ispiratore del cosiddetto Vassallum, di cui si discusse sul finire della scorsa legislatura. Credo sia il principio intorno a cui oggi, senza rigidità sulle modalità tecniche, ma rifuggendo da soluzioni stravaganti, si debba tornare a riflettere.