Riforma elettorale
[Mio articolo su L'Unità: qui la pagina del giornale]. Quanto avevo scritto l'altroieri mi pare trovi conforto nelle dichiarazioni che il Presidente Napolitano ha rilasciato ieri al termine delle consultazioni, laddove ha affermato: "non si tratta ora di operare nessun ribaltamento del risultato delle elezioni del 2008 né di venir meno all’impegno di rinnovare la nostra democrazia dell’alternanza attraverso una libera competizione elettorale per la guida del governo."
Ha fatto benissimo l'Unità a mettere tempestivamente la riforma del sistema elettorale nell'agenda di quest'ultimo scorcio di legislatura. Speriamo tutti, con tutto il cuore, che il Governo Monti ci aiuti a riabilitarla in extremis, la XVI legislatura, dopo tre anni e mezzo di tempo sprecato e di danni forse irreparabili inferti al Paese. Si intende: sul punto ha ragione chi, anche nel centrodestra, chiarisce che il tema in questione non potrà essere parte del programma del nuovo esecutivo. Non può che essere oggetto di un confronto aperto tra le forze politiche rappresentate in Parlamento. Anche perché non avrebbe senso mettere a repentaglio sul sistema elettorale la formazione e la tenuta di un Governo che nasce con un'altra specifica, vitale missione e che avrà già altri scottanti dossier su cui misurarsi con i gruppi di Camera e Senato. Tuttavia, come era scritto nel titolo di prima pagina di sabato o, meglio, come si diceva con una più vivida immagine agreste all’interno, è arrivato il momento di "uccidere il Porcellum". Ora si può e si deve. Il quadro disegnato da Cristoforo Boni e Massimo Luciani contiene diversi elementi essenziali da cui partire per aprire la discussione: a) vanno abolite le liste bloccate tornando ai collegi uninominali, consentendo così agli elettori di valutare e scegliere le singole persone candidate al Parlamento; b) occorre abolire il premio di maggioranza, un unicum nelle democrazie contemporanee, che spinge a formare coalizioni eterogenee. Il primo punto è abbastanza chiaro. Il secondo meno. Se dovessimo assumere che il premio di maggioranza è, in quanto tale, di dubbia democraticità, dovremmo eliminarlo anche dalle leggi elettorali per comuni, province, regioni, dove non pare né necessario né utile.
I dubbi sul premio di maggioranza fanno il paio con l’argomento secondo cui la gestione della crisi del Governo Berlusconi avrebbe "infranto il mito dell'elezione diretta", rendendo meno cogente, per il futuro, la necessità di indicare preventivamente agli elettori il candidato comune di ciascuna coalizione alla guida del Governo (Boni), se non addirittura preferibile il ritorno alla politica dei negoziati post-elettorali tra partiti ciascuno libero di fare (e quindi disfare) il Governo a legislatura già avviata (Luciani). Credo che a questo argomento sfugga l'eccezionalità del contesto e, di conseguenza, del percorso scelto negli ultimi tre giorni da Napolitano. L’esperienza certamente ci insegna che è bene mantenere in capo al Parlamento, in casi eccezionali, la prerogativa di investire un nuovo governo nel corso della legislatura. Ma come il PD ha detto più volte, se la situazione fosse stata ordinaria, sarebbe stato ovvio e giusto tornare di fronte agli elettori. Cosa che certamente saremo indotti a fare, se quello presieduto da Monti diventasse il Governo sostenuto solo dall’attuale opposizione.
Di sicuro l’esperienza ci ha insegnato quanto sia importante, nell’eventualità che si presentino stati di eccezione, un Presidente della Repubblica credibile come supremo garante sopra le parti. Sarebbe impensabile quindi, d'ora in poi, tornare a considerare, come accadeva nella Prima Repubblica, la casella del Quirinale una di quelle utilizzabili per far tornare i conti degli equilibri dentro ai partiti o alle possibili maggioranze. La vicenda in chiaroscuro di Fini alla Presidenza della Camera certamente sconsiglia di affidare in futuro alti incarichi di garanzia al Capo di uno dei partiti in campo.
Tornando al sistema elettorale, se non sarà il premio di maggioranza a favorire il bipolarismo, dovremo trovare altri meccanismi. Potrebbero essere alcuni di quelli indicati da Boni. Senza dimenticare che al “dibattito” sulla riforma si spera siano chiamati a partecipare anche i cittadini, con lo strumento, certo rudimentale, che si sono conquistati firmando in massa per i quesiti referendari. E magari ricordando che uno dei riconosciuti difetti della legge Mattarella, veniali rispetto a quelli della Calderoli, era dato dai paradossi prodotti dalla combinazione tra modelli diversi (doppia scheda, collegi uninominali e liste circoscrizionali, soglia di sbarramento, scorporo). Quindi, più che aumentare le complicazioni, dovremo provare a ridurle.