Rischio divaricazioni, ma il PD è bipolarista
Si tratta di una divaricazione irriducibile?
Ritengo che ci sia un forte minimo comune denominatore, e cioè che tutti gli esponenti del Partito democratico siano preoccupati di ridurre il divario tra eletti ed elettori prima delle prossime elezioni. Di questa esigenza saranno pronti a farsi carico tutti i dirigenti del Pd.
Andando oltre questo afflato comune, restano le ampie divergenze che emergono dall’inseguire un modello come quello che verrebbe fuori dal referendum Passigli, piuttosto che dal vostro.
È vero, i due referendum nascondono due modi completamente diversi di interpretare il ruolo del Pd nel sistema partitico italiano. Da una parte si prefigura il ritorno ad un sistema che concedeva una delega in bianco ai partiti, che hanno la facoltà di fare e disfare le maggioranze nel corso di una legislatura. Dall’altra, e noi la pensiamo così, c’è il proposito di consolidare il bipolarismo in Italia, di consentire agli elettori di votare un programma e una coalizione espliciti. D’altro canto questi sono i principi che hanno accompagnato la nascita del Partito democratico e anche l’attuale segretario Pierluigi Bersani si sta impegnando per rafforzare la credibilità della coalizione con la quale ci presenteremo agli elettori. Anche per queste ragioni siamo certi di poter convincere i dubbiosi del fatto che delle due ipotesi in campo ce ne sia solo una che incontra il dna del nostro partito.
Quanti sono i dubbiosi?
Pochi: francamente non vedo molti dirigenti entusiasti del referendum Passigli. Abbiamo assistito a una fase di entusiasmo iniziale quando ancora non si era capito esattamente quali fossero le implicazioni e quando si immaginava che potesse risolvere il problema delle liste bloccate. Oggi molto è cambiato e non vedo molti dirigenti pronti a battersi per un ritorno al proporzionale. Certo qualcuno c’è, ma sono pochi.
Pochi ma pesanti?
È vero, ma ci sono stati molti casi in cui dirigenti di un certo peso hanno assunto posizioni che sono poi state superate dall’opinione prevalente dentro al Pd. Un esempio? Alcuni di questi dirigenti erano contrari alle primarie, oggi non mi sembra che esse siano in discussione.
Ma il Pd non aveva già elaborato un suo modello elettorale di riferimento?
Non ufficialmente, perché non è mai stato presentato dallo stesso Bersani, ma quello che sta nel cassetto è un sistema elettorale misto, basato su una certa quota di voti in collegi uninominali con formula maggioritaria, oltre a una certa quota di seggi che verrebbe attribuita con quota proporzionale. Nelle sue linee di fondo, un qualcosa di molto vicino alla legge Mattarella.
Perché è scoppiata proprio ora questa febbre referendaria?
È l’ultimo momento utile: se vogliamo permettere agli elettori di non tornare a votare con il Porcellum siamo all’ultima chiamata. Le firme per il quesito devono essere presentare entro settembre, affinché la Corte possa vagliarle e ammettere il voto nella primavera del 2012.
Il rischio è però che si vada al voto prima…
In ogni caso sarebbe un vantaggio: anche nel caso in cui non si riuscisse, come speriamo, a cambiare la legge elettorale entro le prossime elezioni il referendum costituirebbe l’incentivo per la prossima legislatura a fare finalmente la riforma.
È possibile quantificare la percentuale di “proporzionalisti” e di “maggioritaristi” all’interno del Partito democratico?
Credo che la gran parte di noi sappia che il partito è nato per consolidare il bipolarismo, “dentro” e “per” un sistema di alternanze che diano punti di riferimento solidi agli elettori. Può darsi che una minima parte della classe dirigente abbia questi dubbi, ma il nostro elettorato ha le idee chiare.
Si rischia lo scontro tra queste due fazioni sul terreno della proposta referendaria?
Non credo, anzi stiamo considerando l’ipotesi che i due comitati raccolgano le firme in banchetti affiancati anche durante le feste estive del Partito democratico.
Raccoglierle per entrambi?
Ognuno le proprie: non vedo perché non si possa portare avanti insieme questa raccolta firme. Non siamo di fronte a una guerra intestina o di religione.
Nel caso in cui venissero ammessi entrambi, però, si rischierebbe una divaricazione all’interno del Pd nel corso della campagna referendaria e soprattutto con il voto.
Si rischia una divaricazione in ogni partito quando si affrontano temi sui quali insistono posizioni diverse.