Senato federale
Per difendere il Parlamento e la sua funzione, bisogna innanzitutto dirsi secche parole di verità, esattamente come vanno dette riguardo alle radici del nostro declino economico. Quasi mille eletti e due camere gemelle, con le stesse funzioni, con due strutture burocratiche parallele, non avevano molto senso già nel 1948. Figuriamoci ora, dopo che una parte cospicua della potestà legislativa è migrata verso i consigli regionali, il parlamento europeo, le autorità indipendenti, il governo. Dopo che vecchi e nuovi media hanno largamente sostituito le camere come arena dei dibattiti sulla politica nazionale. E dopo che la necessaria rapidità delle decisioni ha già di fatto iper-semplificato il processo legislativo: tutte le ultime manovre finanziarie sono state varate con un decreto, il cui esame vero e proprio si è svolto nella sola Commissione Bilancio di una sola delle due camere!
Ciononostante, tra i parlamentari vedo un diffuso attardarsi su posizioni “conservative”. Ho deciso quindi di proporre un progetto organico di legge costituzionale, con l’intento di sollecitare un dibattito “pubblico” sul discrimine di fondo che a mio avviso separa una riforma veramente efficace da soluzioni di compromesso, finalizzate solo a conservare, per quanto possibile, l’esistente. Una vera riforma deve far partecipare direttamente, senza mediazioni, al processo legislativo statale, attraverso il Senato, chi ha concrete responsabilità legislative o di governo nelle Regioni e nei Comuni. Nelle ipotesi alternative di composizione del Senato non si vede altra giustificazione se non l’intento di perpetuare l’esistenza di due distinti corpi di “parlamentari a tempo pieno”, e il conseguente mantenimento di due pesanti e costose burocrazie parallele, con una inutile duplicazione di incarichi, strutture e carriere.
Sulla base di studi comparativi passati e dell’esperienza parlamentare iniziata nel 2008, non ho dubbi che ci sia bisogno di una sola Camera, realmente autorevole, composta da 500 rappresentanti “scelti” dai cittadini, quindi eletti con un sistema elettorale diverso da quello in vigore, che conferisce e ritira la fiducia al Governo, ed ha la prima e l’ultima parola sulle leggi. L’altro organo parlamentare potrebbe continuare a chiamarsi a buona ragione Senato della Repubblica, in quanto diventerebbe la sede del confronto tra tutti i soggetti istituzionali da cui, secondo l’articolo 114 della Costituzione, “la Repubblica è costituita”. Ma non c’è nessun bisogno (anzi è disfunzionale) che sia formato da un corpo di senatori espressamente eletti a questo scopo. L’elezione – diretta o indiretta che sia – di un corpo di senatori creerebbe una categoria di ceto politico con identità e funzioni assai incerte.
Tutti concordano che le prerogative formali e le attività del Senato dovranno essere limitate, affinché non interferisca con l’indirizzo politico del Governo, legittimato dal rapporto fiduciario che lega quest’ultimo alla sola Camera dei deputati. Se quindi si vuole evitare che sia una “camera morta”, come in Spagna o in Francia, deve esprimere, senza mediazioni, il punto di vista di chi concretamente opera dentro gli enti territoriali. Non a caso il Bundesrat tedesco, formato da delegazioni dei governi dei Länder, è l’unica camera federale che, secondo l’unanime parere degli studiosi, serve a qualcosa. Se si teme di dare troppo potere ai governatori, si può stabilire, come ho proposto, che i delegati siano scelti al loro interno dai Consigli regionali e dai Consigli delle autonomie locali. Gli esecutivi continuerebbero a interloquire con il Governo a monte del processo legislativo attraverso la Conferenza Stato-Regioni-Città. I delegati dei Consigli, in Senato, potrebbero emendare, a valle, i progetti di legge deliberati dalla Camera, con obbligo per quest’ultima, in caso di disaccordo, di esprimersi in via definitiva a maggioranza qualificata.
Fatta salva l’autonomia degli organi deliberativi senatoriali, l’amministrazione del Parlamento potrebbe essere unificata, superando l’attuale irragionevole duplicazione degli uffici. Così, pur a fronte di consistenti risparmi, si potrebbero irrobustire gli staff effettivamente dedicati allo svolgimento dell’attività legislativa.
Naturalmente, una riforma simile ha parecchi nemici, influenti e determinati, tanto nella componente elettiva quanto in quella burocratica dell’attuale establishment parlamentare. Due componenti che fino ad oggi hanno convissuto in base ad un accordo tacito e di lunga durata di reciproca tolleranza verso i rispettivi privilegi. Proprio per questo, da qui si vedrà se la politica ha in sé stessa la forza per redimersi, restituendo dignità e autorevolezza al Parlamento.