Sul presidenzialismo francese
La proposta avanzata da Peppino Calderisi (capogruppo PdL in Commissione Affari Costituzionali alla Camera) di una riforma in senso semipresidenziale, secondo l'esempio francese, ha sollecitato un dibattito aperto da lui stesso sulle colonne prima del.Foglio e poi de l'Unità, che mi ha chiesto di esprimere un parere a riguardo. Di seguito il mio pezzo uscito il 29 dicembre 2011. Qui la versione a stampa in Pdf.
La preoccupazione da cui parte Peppino Calderisi per proporre la soluzione semipresidenzialista non è peregrina. Se si dovesse tornare ad un sistema elettorale proporzionale, il rischio che la “grande coalizione” continui ad essere inevitabile, ben oltre l’attuale stato di eccezione, è reale. A meno che il sistema non si scomponga a tal punto, con la spaccatura dei due grandi partiti, da causare un ritorno alla “coalizione permanente del grande centro” verso cui la politica italiana della Prima Repubblica si è progressivamente assestata dal 1953 in poi. E ha ragione Calderisi nel dire che il sistema elettorale tedesco, cioè il proporzionale con sbarramento, non evita affatto questo esito, anzi lo agevola enormemente.
Calderisi sostiene quindi che, per quanto riguarda le riforme costituzionali “non ci si può limitare al bicameralismo e alla riduzione del numero dei parlamentari”. Bene. Questo vuol dire che prima di tutto occorre portare a casa la riforma del bicameralismo, con la trasformazione del Senato in un organismo formato da delegati dei Consigli regionali e dei Consigli delle autonomie locali, e la conseguente riduzione del numero dei parlamentari. Un argomento su cui le ipocrisie abbondano in un campo e nell’altro, nella strenua difesa di un esistente che non ha alcuna giustificazione. Mentre la riforma in questione, da sola, semplificherebbe enormemente il processo legislativo e i rapporti governo-parlamento, aumentando l’autorevolezza di entrambe le istituzioni.
Fatto questo, l’ipotesi che il Presidente della Repubblica sia eletto direttamente dai cittadini non può essere considerata una tabù. Non ce ne sono ragioni sulla base dell’analisi comparata delle democrazie europee, molte delle quali la prevedono, anche se associata a un differenziato set di poteri.
Non è vero però, in primo luogo, che quanto propone Calderisi possa essere posto in continuità con l’esperienza recente del nostro paese. Se Giorgio Napolitano ha esercitato il suo ruolo in maniera più attiva di molti predecessori, lo ha fatto sempre in funzione arbitrale e di bilanciamento dei poteri, cioè del tutto in linea con lo spirito della Costituzione vigente che volutamente consente espansioni e contrazioni a fisarmonica del ruolo presidenziale a seconda delle circostanze. E d’altro canto, anche l’apprezzamento che Napolitano, e con lui l’istituzione presidenziale, hanno ricevuto da parte di tutti gli strati dell’opinione pubblica, è riferito alla funzione di arbitro, di pacificatore, di guida che sta sopra e fuori dalle parti. L’occasione in cui Napolitano ha dovuto eserciare attivamente i suoi poteri (il totale discredito di Berlusconi dovuto a reiterati comportamenti pubblici e privati assolutamente inconsulti) generano peraltro anche nelle persone più propense a rafforzare i poteri monocratici come chi scrive, figuriamoci negli altri, una certa prudenza nel considerare sia l’ipotesi di un primo ministro con poteri di scioglimento sia l’ipotesi di un sistema “senza arbitro” come quello francese.
In secondo luogo, l’elezione diretta di un Presidente della Repubblica non più arbitro (ma capitano di una delle due principali squadre) non risolve nemmeno il problema da cui Calderisi è partito. Perché se il parlamento venisse eletto con un sistema troppo proporzionale, il Presidente, pur dotato di legittimazione popolare e ampi poteri, potrebbe al massimo sfruttare la sua posizione per orientare il negoziato post-elettorale tra i partiti, non certo imporre un governo di sua fiducia non sorretto da una maggioranza parlamentare. Come ogni buon manuale di politica comparata insegna, la forza del Presidente in Francia non sta tanto nell’elezione diretta, quanto nel sistema seccamente maggioriario previsto per l’elezione dell’Assemblea Nazionale (che fa da moltiplicatore, in seggi, all’effetto di trascinamento delle presidenziali), e nella forte limitazione dei poteri di un Parlamento sostanzialmente monocamerale. Ma se noi fossimo in condizione di approvare una riforma vera del bicameralismo e il passaggio ad un sistema elettorale maggioritario (anche un po’ meno seccamente maggioritario di quello Francese), non avremmo più nemmeno bisogno di privarci dell’arbitro, perché il bipolarismo e la stabilizzazione dei governi sarebbero già garantiti. Temo purtroppo che Calderisi, in totale buona fede, si aggrappi al semipresidenzialismo proprio perché anche molti tra coloro i quali hanno sottoscritto il suo progetto, non hanno nessuna intenzione di promuovere né la prima né la seconda riforma. Ma invece da lì si deve passare, sfidando a viso aperto le resistenze corporative e la ricerca di nuove rendite di posizione che si annidano un po’ dappertutto: a destra, a sinistra, oltre che, come è ovvio, al centro.