Testamento biologico
Ecco il mio contributo al dibattito parlamentare sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento. L'intervento che segue, svolto in Aula il 12 luglio, illustra un emendamento (sostenuto dal gruppo Pd, ma bocciato) nel quale sono rifluite le riflessioni da me condotte nei mesi scorsi nel confronto con gli esperti del Centro di Etica Generale ed Applicata, coordinato dal Prof. Stefano Semplici, attuale presidente del Comitato internazionale di bioetica.
Nella discussione pubblica sul testamento biologico, parole che andrebbero maneggiate con cura come libertà individuale, dignità della persona, sacralità della vita, sono state usate come mezzi di lotta politica. Cosicché è stata fatta terra bruciata intorno allo spazio di una possibile comprensione reciproca.
Assai diverso è l’atteggiamento a cui siamo chiamati ed a cui ostinatamente dovremmo attenerci, almeno quelli tra noi per i quali escludere ogni forma di opportunismo di fronte a questioni che riguardano, appunto, la sacralità e la dignità della vita umana costituisce un imperativo non negoziabile.
Due sono gli aspetti cruciali su cui ci stiamo confrontando: l’ambito di applicazione e l'efficacia delle Dichiarazioni anticipate di trattamento.
La proposta al nostro esame attenua enormemente l’efficacia delle DAT ed esclude, sempre e comunque, che possano essere fatte valere con riguardo all'alimentazione artificiale.
Una posizione che contrasta con il principio di autodeterminazione nella scelta dei trattamenti sanitari sancito dalla Costituzione all'articolo 32 e dalla Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina, nota come Carta di Oviedo.
Una posizione che affida dunque allo Stato la decisione sulle terapie a cui una persona deve sottoporsi.
Noi crediamo invece che sulla sofferenza e il dolore di una vita che si sta spegnendo non possa e non debba decidere lo Stato. Noi crediamo che la scelta debba essere affidata alla libertà di ciascuna persona, all'amore dei suoi familiari e alla responsabilità dei medici che la hanno in cura.
D'altro canto, quando si tenta di definire l’efficacia delle DAT per legge, sincontrano in effetti problemi non banali, come hanno giustamente sottolineato anche molti esponenti del centrodestra.
Le dichiarazioni anticipate non possono essere considerate meccanicamente e rigidamente vincolanti perché, per definizione, sono state rese fuori dal contesto nel quale devono essere attuate. Potrebbero nel frattempo esser cambiate le conoscenze mediche, le tecniche e le terapie disponibili.
Inoltre, per quanto possano essere state redatte in maniera dettagliata, difficilmente possono contenere elementi sufficienti a far capire quali terapie il dichiarante considerasse, al momento in cui le ha rese, proporzionate o non proporzionate rispetto alla specifica condizione nella quale si è venuto poi a trovare.
Infine, è ovvio che vi debbano essere particolari cautele da parte di chi deve esercitare la volontà altrui in relazione a decisioni senza ritorno che, essendo state prese ”ora per allora”, non lasciano spazio all’eventualità del ravvedimento.
Il testo che stiamo discutendo si limita ad affidare in toto l’interpretazione della attualità ed attuabilità delle DAT al medico, imponendogli peraltro di praticare sempre e comunque le terapie che implicano una alimentazione artificiale.
La soluzione proposta con questo emendamento, pur discostandosene per alcuni aspetti, riflette il lavoro svolto a tale riguardo da una qualificato gruppo di accademici (filosofi, giuristi, medici) del Centro di Etica Generale ed Applicata, coordinato dal Prof. Stefano Semplici, attuale presidente del Comitato internazionale di bioetica.
Si sforza di trovare un bilanciamento tra il rispetto delle decisioni prese dal dichiarante e la valutazione del contesto nel quale dovrebbero essere attuate, affidando questo compito ad un confronto paritario tra il medico e un fiduciario del malato. L’emendamento cerca anche di stabilire un ragionevole limite alla possibilità per il medico e il fiduciario di contraddire le scelte del dichiarante.
In primo luogo, si consente che medico e fiduciario disattendano la scelta del dichiarante di non sottoporsi a trattamenti sperimentali, all’uso di macchine che sostengono o sostituiscono funzioni vitali, a interventi chirurgici invasivi per patologie a esito inevitabilmente e rapidamente infausto, solo se vi sono stati sviluppi delle conoscenze scientifiche e tecniche tali da modificare il contesto terapeutico rispetto a quello valutato dall’interessato nel momento della manifestazione della sua volontà.
Viene inoltre specificato che l’eventuale indicazione, nella DAT, del rifiuto di trattamenti diversi da quelli appena citati, ivi compresa la nutrizione artificiale, sia valutata secondo i principi di precauzione, proporzionalità e prudenza, tenendo conto della mancanza del requisito della attualità della volontà e dunque della impossibilità di realizzare tutte le condizioni richieste per la piena efficacia del consenso informato.
Il rifiuto di tali trattamenti viene però considerato in ogni caso vincolante quando la persona entra nella fase terminale della vita o quando essi comportino un pesante disagio fisico, in presenza di una condizione patologica che non consente ragionevoli probabilità di recupero.
L’emendamento prevede infine che in caso di disaccordo con il medico curante, il fiduciario possa affidare la valutazione ad un collegio di medici, designato dalla direzione della struttura sanitaria di competenza. Con tutta evidenza, si arriverebbe ad adottare questa procedura in casi limite, assolutamente straordinari, forse destinati a non verificarsi, che tuttavia la legge deve prevedere.
Naturalmente, ogni tentativo di normare una materia così complessa presenta controindicazioni. L’emendamento che, ripeto, è frutto della riflessione di un autorevole gruppo di esperti, si sforza di contemperare la libertà di scelta delle persone con le cautele rese necessarie dalla non attualità di una decisione presa "ora per allora". Cerca in questo modo di sottrarre una materia così delicata ad una battaglia ideologica tra difensori intransigenti della sacralità della vita da un lato e difensori intransigenti della libertà individuale dall’altro.
EMENDAMENTO
AC 2350 – Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazione anticipata di trattamento.
Art.7 (Ruolo del medico)
Sostituire i commi 2 e 3 con i seguenti:
«2. Le volontà relative alla rinuncia a trattamenti sperimentali, di rianimazione o tali da prevedere l’utilizzazione di macchine a sostegno di funzioni vitali, interventi chirurgici invasivi o terapie comunque particolarmente gravose per patologie a esito inevitabilmente e rapidamente infausto, possono essere disattese dal medico curante, con l’accordo del fiduciario, solo in presenza di sviluppi delle conoscenze scientifiche e terapeutiche tali da modificare sostanzialmente il contesto terapeutico rispetto a quello valutato dall’interessato nel momento della manifestazione della sua volontà. Le motivazioni della decisione sono annotate nella cartella clinica.
3. L’eventuale indicazione, nella dichiarazione anticipata, del rifiuto di trattamenti diversi da quelli indicati al comma 2, ivi compresa la nutrizione artificiale, è valutata dal medico curante secondo i principi di precauzione, proporzionalità e prudenza, tenendo conto della mancanza del requisito della attualità della volontà e dunque della impossibilità di realizzare tutte le condizioni richieste per la piena efficacia del consenso informato. Il rifiuto di tali trattamenti diventa in ogni caso vincolante quando la persona entra nella fase terminale della vita ovvero qualora essi comportino per il paziente un’eccessiva gravosità o un rilevante disagio fisico, anche in conseguenza dell’uso di ausili strumentali o del prolungarsi di una condizione patologica che non consenta ragionevoli probabilità di recupero.
4. In caso di disaccordo con il medico curante, il fiduciario può chiedere la valutazione di un collegio di medici, designato dalla direzione sanitaria della struttura di ricovero o della azienda sanitaria di competenza, composto da un medico legale, due medici specialisti nella patologia o infermità da cui il paziente è affetto ed un anestesista-rianimatore. Tale collegio dovrà sentire il medico curante. Il parere espresso dal collegio medico è vincolante per il medico curante, il quale non è comunque tenuto a porre in essere prestazioni contrarie alle sue convinzioni di carattere scientifico e deontologico. Nel caso in cui il medico curante ritenga di non dare seguito al parere del collegio, la direzione sanitaria individua tempestivamente il personale medico adeguato a tale scopo tra i componenti del collegio stesso. Resta comunque sempre valido il principio della inviolabilità e della indisponibilità della vita umana.
5. Qualora il fiduciario non sia stato nominato o non sia disponibile, è sostituito, ai fini dal presente articolo, dai soggetti di cui all’articolo 408 del codice civile, secondo l’ordine di priorità in esso stabilito.»
Vassallo
7.2019