Tre vie sul sistema elettorale
Le parole pronunciate del Capo dello Stato ieri sono inequivocabili. Adopererà i suoi poteri affinché siano approvate leggi elettorali compatibili con la pronuncia della Corte e non contraddittorie tra Camera e Senato, prima di consentire elezioni anticipate. Siamo quindi di nuovo ad uno snodo cruciale. Uno di quelli che possono influire ancora una volta sulla vita democratica del Paese per vari anni.
Il mantenimento del bicameralismo paritario mette fine alle ipotesi di leggi elettorali che «assicurano» la formazione di una maggioranza politicamente omogenea il giorno del voto. Conviene prenderne atto. A essere onesti, l’unico sistema del genere vagamente sostenibile, sarebbe una simil-Calderoli, che concede una maggioranza certa alla Camera ma la stempera al Senato. Perché, dopo aver previsto un premio che «garantisce» la fabbricazione della maggioranza sia alla Camera che al Senato … nessuno può garantire che venga ottenuto dalla stessa forza politica in entrambi i rami del parlamento. Si rischierebbe quindi il paradosso di premi attribuiti, su base nazionale, a due forze politiche antagoniste.
A dirla tutta, il mantenimento del bicameralismo paritario mette fine anche a qualsiasi ipotesi di premio o premietto dato in maniera esplicita e in blocco al primo partito. Poteva avere senso con un sistema a tendenza bipartitica. Ma che succederebbe se, mettiamo, il premio andasse a un partito che rimane comunque distante dal 50%+1 dei seggi e non è in condizione di fare alleanze? Avremmo un «premio di opposizione» che complica la formazione dei governi invece di facilitarla. Se poi l’attribuzione del premio fosse condizionata al raggiungimento di una soglia, e la soglia non venisse superata, ci ritroveremmo con un sistema perfettamente proporzionale.
Per questo, la migliore soluzione possibile, è senza dubbio il ritorno puro e semplice alla Mattarella. Un sistema che, grazie alla sua componente uninominale, genera un forte incentivo a coalizzarsi o comunque un disincentivo a creare micropartiti e un premio implicito a vantaggio delle forze politiche destinatarie dei maggiori consensi. Non solo. È un sistema elettorale dotato di una indubbia legittimità, essendo stato concepito come trascrizione del referendum popolare del 1993. È stato scelto molti anni fa e quindi non si può dire che venga adottato per corrispondere a convenienze contingenti. Se non fosse stato cancellato per un becero calcolo di parte oggi avremmo una politica migliore. Non c’è alcun dubbio. Chiunque abbia fatto stime sui suoi effetti, considerando i risultati elettorali più recenti corretti per le intenzioni di voto, sa che potrebbe avvantaggiare o danneggiare in pari misura ciascuno dei tre poli. Con il ritorno ai collegi uninominali riavvicinerebbe i parlamentari al territorio ed eviterebbe l’alternativa diabolica tra preferenze e liste bloccate. Infine, può essere ripristinato con un intervento legislativo secco, di facile gestione parlamentare. Ad oggi sappiamo che lo si potrebbe approvare, se non sarà necessario il consenso di Berlusconi. Che è contrario per le ragioni che lo spinsero ad abolire la Mattarella nel 2005 e per altre aggiuntive, in quanto oggi vuole tenersi le mani libere.
L’unica volta in cui Berlusconi ha dato segnali di apparente interesse per una alternativa alla Calderoli basata sui collegi uninominali si è verificata nel 2007, quando Veltroni gli propose di discutere di un sistema elettorale simile a quello tedesco con riguardo alla struttura dei collegi, applicato in circoscrizioni piccole, come in Spagna. L’ispano-tedesco non promette di avere un governo il giorno dopo del voto, ma contiene incentivi sufficienti a riattivare la dinamica bipolare, ove le condizioni politiche cambiassero. Equi-rappresenta partiti di medie dimensioni e partiti con un voto territorialmente concentrato. Funziona esattamente nello stesso modo per Camera e Senato. Sovra-rappresenta i partiti maggiori, se altri più piccoli sprecano voti. Lascia tutti i partiti che hanno ottenuto seggi liberi di fare alleanze post-elettorali, se necessario. Ma è anche vero che l’esperienza del 2007, ripetuta pari pari nel 2016, come era già capitato nel 1997, dimostra che Berlusconi su queste materie, come in altre, è un negoziatore troppo scaltro perché lo si possa prendere sul serio.