Cosa dicono le comunali sul Pd
Quella che segue è una versione scritta dell'intervento svolto alla Direzione Provinciale del Pd di Bologna il 27 maggio. Qui il file della.presentazione in Power Point. Qui invece il file con i dati che ho presentato, per chi li volesse esaminare in forma completa, controllare, rielaborare.
Nonostante qualche scivolata in campagna elettorale, le amministrative a Bologna sono andate bene. Hanno dimostrato che è stata, o meglio, che può essere rimarginata la ferita aperta dalla vicenda Delbono. Complice anche la parallela crescente riprovazione nei confronti di Berlusconi e del centrodestra da parte dei loro elettori. Grazie alla capacità dimostrata da Amelia Frascaroli di dare un senso alle primarie e portare al voto elettori altrimenti disillusi. Ma anche, e di sicuro non meno importante, grazie alla condotta seria e lineare tenuta da Virginio Merola e dal segretario Raffaele Donini. Innanzitutto, non si sono fatti impressionare quando dagli interna corporis del Pd sono venuti diversi segnali obliqui che chiedevano di fare passi indietro sulla candidatura o di rinunciare alle primarie (memorabile l’intervista di un importante dirigente regionale con la quale si paventava il rischio, in caso si fossero tenute secondo le regole, di una “guerra tra bande”). In secondo luogo, hanno entrambi delineato nei mesi scorsi un condivisibile progetto di rinnovamento, rispettivamente, nella organizzazione del Partito e nello stile di governo della città.
Il primo ha per esempio proposto il superamento del funzionariato politico a tempo indeterminato, ha detto di voler rendere effettivo il disegno di un partito aperto e plurale delineato nella fase fondativa. Il secondo ha promesso massima trasparenza nella gestione amministrativa e l’adozione di rigorosi standard meritocratici per le nomine, nel quadro di un programma ben costruito.
Il risultato conforta e rafforza la loro linea, che ora deve essere messa alla prova. Tra i primi passi compiuti da Merola, la scelta di Silvia Giannini come vicesindaco e assessore al bilancio – una persona stimabile, seria, competente, guidata da una grande passione civile, di sicuro non selezionata in base ad alchimie o quote di partito – è del tutto coerente con le promesse.
Possiamo capire qualcosa in più del significato da dare al voto Bolognese affidandoci alle analisi sempre preziose dell’Istituto Cattaneo. In particolare, lo si può fare confrontando i flussi stimati dalle regionali ad oggi nelle tre grandi città del Nord (tra cui Bologna) che hanno rinnovato quest’anno gli organi comunali. Dal confronto emergono tre tendenze.
1) Il PdL perde verso l’astensione e anche qualcosa verso il civismo di centrosinistra (in particolare a Milano) incorporato a Bologna da Sel.
2) I voti di Udc e Fli non si sommano nel terzo polo, che peraltro non ne attrae di nuovi. L’elettorato rimane bipolare, tanto che ogni ipotesi alternativa all’attuale struttura della coalizione di centrosinistra non pare più attendibile: il centrosinistra è e sarà fatto, con limitate aggiunte o varianti, da Pd + Idv + Sel .
3) Il Pd attrae una quota di elettorato di centrosinistra “dubbioso” (che nel 2010 si era astenuto, aveva votato per Idv o più a sinistra) ma non intercetta quasi mai voti né dal centrodestra né dall’Udc.
Bologna non presenta tendenze tanto diverse dalle altre due grandi città anche se, ovviamente, in qualche misura risente da una partenza sfavorevole. A Torino si è votato dopo due mandati di un sindaco popolarissimo, con un candidato di grande standing e reputazione al livello nazionale; a Milano dopo un mandato disastroso del sindaco uscente.
Il voto a Bologna può essere utilmente analizzato anche da un altro punto di vista, per vedere cosa dice su come è fatto al suo interno il PD. Ho svolto una semplice analisi a questo riguardo, lavorando sulla distribuzione dei voti di preferenza ricevuti dai candidati al consiglio comunale.
Il modo più semplice per leggere questi risultati consiste nel vedere quanti voti (in valore assoluto) ciascun candidato ha preso in ciascuna zona o quartiere della città (Tab 1, vedi presentazione).
Ci si fa una prima idea ma insufficiente. Se si vuole capire in che misura il voto di un candidato è diffuso su tutto il territorio comunale o concentrato in pochi quartieri si possono mettere a confronto le distribuzioni percentuali dei voti di ciascun candidato tra le zone (tab 2, vedi presentazione).
Anche questa misura presenta tuttavia una parziale distorsione. Un candidato può avere una percentuale alta dei suoi voti in un dato quartiere per la banale ragione che in quel quartiere ha votato una percentuale alta di elettori o perché lì il Pd prende una percentuale alta di voti. Per eliminare questa distorsione, gli stessi dati devono essere letti in un altro modo: come differenza, per ciascuna unità territoriale tra la percentuale dei voti presi dal candidato in quella stessa unità territoriale (rispetto al totale dei voti presi dal candidato nell’intera città) e la percentuale dei voti di preferenza complessivamente espressi in quella zona o sezione rispetto al totale cittadino. In pratica, se un candidato ha preso i suoi voti di preferenza in modo perfettamente distribuito su tutto il territorio citadino, i valori di questa distribuzione (nella riga corrispondente) saranno prossimi allo 0 (tab 3, vedi presentazione).
Se si guardano le righe colllocate in alto nella terza tabella, non si fa fatica ad identificare le zone nelle quali i relativi candidati hanno preso la maggior parte dei loro voti di preferenza. Se si guardano le ultime righe in basso, al contrario, è praticamente impossibile. Questo perché le righe, e i relativi candidati, sono state ordinati, dall’altro in basso, in base ad una misura statistica (la devizione standard, riportata nella prima colonna, in giallo) che indica quanto una certa distribuzione (in questo caso di voti) sia concentrata in poche unità (zone) o diffusa tra le diverse unità. È importante notare che questa misura è stata resa indipendente dalla dote complessiva in numeri assoluti, dei voti di preferenza presi da ciascun candidato e dalla ampiezza demografica delle diverse zone.
La stessa misura statistica può essere facilmente calcolata in maniera molto più precisa, facendo tutte le operazioni appena riportate “sezione per sezione” anziche “zona per zona”. Ecco il risultato relativo ai candidati del PD eletti in consiglio comunale (Tab 4, vedi presentazione).
Se ne ricavano un paio di considerazioni politicamente rilevanti.
Un valore basso della devizione standard lascia pochi dubbi. Certifica che il relativo candidato NON è stato aiutato da nessun circolo in particolare. Quanto più alto è il valore della deviazione standard tanto maggiore è la probabilità che il candidato sia stato sostenuto attivamente da uno o più circoli, a meno che non si tratti di un candidato con relazioni sociali personali molto intense in un particolare quartiere, ma poco noto o privo di consensi nel resto della città.
In basso troviamo insomma i candidati che hanno “viaggiato da soli”. Non si tratta di candidati necessariamente “estranei” all’organizzaione di partito. Potrebbero anche essere ben radicati, ad alcuni di loro lo sono, attraverso una “loro” rete politica cittadina. In alto, troviamo quelli che con maggiore probabilità, hanno goduto del sostegno organizzato di uno o più circoli, grazie ai canali che consentono a chi dirige i circoli di accedere in maniera diretta e privilegiata agli iscritti e di mobilitarli, confidando nella fiducia che essi ripongono verso le indicazioni del partito.
La devizione standard non mente. È frutto di un calcolo fatto dal compiuter, non manipolabile, e comunque il file con i dati di base e le formule per fare il calcolo si possono scaricare qui per controllarli.
La prima cosa che viene in evidenza è il risultato davvero straordinario di Maurizio Cevenini, che non solo prende più della metà del totale delle preferenze espresse, ma le ottiene anche, in maniera omogeneamente distribuita, su tutto il territorio cittadino (nel suo caso la “deviazione” da una distribuzione perfettamente omogenea del voto è pari ad un risibile 0,067!). Con un fisico così, può andare dove vuole. Ma parrebbe proprio che i cittadini bolognesi, piuttosto che nelle chiuse stanze di viale Aldo Moro, lo preferirebbero nelle sale di rappresentanza di Palazzo d’Accursio.
La seconda cosa che viene in evidenza, meno promettente, riguarda la distribuzione dall’alto in basso dei candidati secondo i partiti di provenienza. I pochi eletti che non provengano dai Ds, si sono quasi tutti conquistati il seggio andando a prendere i voti “quartiere per quartiere”, senza aiuti del partito. Tra quelli eletti verosimilmente con il sostegno di uno o più circoli, il colore di provenienza è al contrario pressoché uniforme.
Dei vari candidati della “società civile” non è stato eletto nessuno. Credo per tre ragioni. 1) Le candidature sono state selezionate in base ad un metodo forse superato, o comunque incompatibile con il sistema delle preferenze, oggi. Sono stati inclusi in lista supposti rappresentanti di categorie su basi corporative o di immagine, invece che andarli a cercare tra persone effetttivamente riconosciute nei loro ambienti di riferimento, nel quotidiano. 2) Il “sostegno del partito” si è indirizzato, come si è visto, al contrario di quanto accadeva in tempi passati, eslusivamente sugli “interni”, di una specifica tradizione. 3) Quelle categorie professionali, economiche, quei mondi sociali a cui i candidati in questione avrebbero dovuto parlare forse oggi non guardano con tanto entusiasmo al Pd.
Il problema politico che questi dati segnalano non è secondario. Ma non si risolve recriminando o concendendo posizioni compensative per “i cattolici” o altre "categorie protette". Riflette teorizzazioni esplicite e un non detto sempre più percepibili dall’avvio della segreteria Bersani, che hanno legittimato la piega poi presa nella pratica organizzativa quotidiana, nelle strutture di vertice e di base del Pd.
Non è o non dovrebbe essere un problema per i soli “nativi” o di quelli che provengono da tradizioni diverse dal Pci-Pds-Ds. Oltre a segnalare il tradimento del progetto di un partito aperto a diverse espressioni della vita sociale e politicamente plurale a cui molti di noi credevano d’avere aderito, rischia d’essere il vulnus della coalizione di centrosinistra al momento della prova, decisiva, delle prossime elezioni politiche. Se la storia del nostro Paese insegna qualcosa, non è detto che un centrosinistra fatto da un Pd tanto simile ai Ds + Sel + Idv sia sufficiente per convincere la maggioranza degli elettori che andranno a votare nel 2012 o nel 2013.
Per il momento, godiamoci la vittoria, che speriamo resa completa dai ballottaggi, ma teniamo a mente il tema.
Congratulazioni vivissime e cari auguri di buon lavoro a Virginio, a Silvia, al Cev e a tutta la squadra !!!