Una maggioranza allo sbando
Sono ormai più di sei mesi che, visto da Montecitorio, il Governo è allo sbando. Da quando ha perso il sostegno dei deputati finiani di Fli, la maggioranza è rimasta impantanata sui problemi giudiziari del Premier e per il resto nell’arte di tirare a campare. Sono mesi che in Aula alla Camera arrivano solo i provvedimenti strettamente necessari, il minimo sindacale (finanziaria, milleproroghe, comunitaria, ecc. ecc.), oltre a qualche decreto con misure estemporanee. Dopo una sequenza di imbarazzanti contraddizioni nell’atteggiamento verso Gheddafi, la maggioranza si è trovata unita sulla politica estera solo a costo di votare una ridicola risoluzione (smentita il giorno dopo da tutti i nostri alleati) che pretende di prestabilire i termini temporali per la fine dell’intervento in Libia. Sono stati approvati decreti attuativi sul federalismo fiscale che di federalista non hanno niente e hanno perso per strada la virtù più sbandierata: la sostituzione del criterio della spesa storica con quello dei costi standard. La ragione è semplice. La maggioranza è numericamente evanescente e politicamente divisa.
Tranne che su provvedimenti come il conflitto di attribuzione contro i giudici di Milano e la prescrizione anticipata, per i quali sono stati mobilitati ministri e sottosegretari, fermi per giornate intere in attesa di votare per un’inversione dell’ordine del giorno. Cosicché, i progetti di legge di merito, su altri argomenti, rimangono fermi. Le "riforme liberali" possono attendere. Quando ministri e sottosegretari non vengono precettati a servizio degli interessi del Premier, la maggioranza vacilla. Giovedì scorso alla Camera, ad esempio, il Governo è stato messo per ben cinque volte in minoranza. E non si è trattato di cinque cadute occasionali. Quel giorno la gran parte delle votazioni, riguardando mozioni sulle carceri e un differimento della delega sul federalismo fiscale, erano bipartisan. Ma tutte le volte o quasi in cui le indicazioni di voto dei gruppi di maggioranza sono state difformi dalla posizione dei gruppi di opposizione, il Governo è andato sotto (qui il link ai risultati della seduta). I "responsabili" rimasti senza incarichi governativi si erano dimenticati d’essere tali.
È questa la ragione per cui il Governo continua ad aggirare i problemi e, quando arriva in Parlamento un provvedimento di qualche rilievo, pone la questione di fiducia. Come ha fatto ancora una volta ieri, sul decreto omnibus che contiene diverse perle. Quella più nota riguarda il retromarcia sul nucleare. Ma la più indicativa della disastrosa linea politica del governo è un’altra: riguarda l’uso da parte del Ministro dell’Economia dei risparmi postali, attraverso la cassa depositi e prestiti, per fare “la sua politica industriale”. Avevo presentato al riguardo una serie di emendamenti al Decreto ripresi dall’ottimo lavoro fatto al Senato da Enrico Morando, Mauro Agostini, Pietro Ichino ed altri. Ovviamente non sono stati votati a causa della posizione della questione di fiducia e quindi ho trasformato quello principale in un ordine del giorno.
Proprio perché il governo è alla sbando e la sua popolarità è crollata, quale che sia l'esito del secondo turno delle amministrative, Berlusconi cercherà di rimanere inchiodato a Palazzo Chigi fino alla fine della legislatura o almeno fino a quando non si sarà costruito un salvacondotto, lasciando nel frattempo il Paese fermo. Mentre l’economia non riparte, la capacità di resistenza delle piccole e medie imprese è logorata da anni di domanda scarsa e rinvii dei pagamenti da parte dei committenti (a cominciare delle amministrazioni pubbliche). Le medio-grandi che già farebbero fatica, si scontrano oggi con una reputazione internazionale sul carattere degli italiani ridotta ai minimi termini, schiacciata sui peggiori luoghi comuni per le prodezze di uno solo. Che i nostri conti non tornino, lo aveva documentato con britannica linearità l’ex direttore dell’Economist, Bill Emmot, su La Stampa del 24 aprile, mettendo a nudo le bugie che circolano al riguardo, anche in ambienti impensabili. Il Rapporto Istat 2011 presentato ieri fornisce purtroppo conferme allarmanti.