Primarie per i parlamentari
Nell'articolo pubblicato il 1° dicembre su l'Unità e riportato di seguito [qui la pagina del giornale] ho proposto alcuni criteri e un metodo per scegliere i candidati del PD al Parlamento con le primarie, anche nel caso in cui non si riesca a modificare la legge elettorale in questa legislatura (come invece penso si debba e spero si possa fare, eventualmente con l'aiuto del referendum). L'articolo ha sollecitato un piccolo dibattito dal quale sono emerse alcune critiche che trovo convincenti. Ho quindi deciso di rielaborare l'ordine del giorno sull'argomento inizialmente pensato per l'Assemblea nazionale PD del 16 dicembre. Nel frattempo l'Assemblea è stata rinviata al 20 gennaio e quindi si potrà ridiscutere dell'argomento nell'incontro del 14 gennaio di cui parla Pippo Civati nel suo intervento sullo stesso giornale e magari formulare una posizione comune. Di seguito, dopo l'articolo che ha avviato la discussione, c'è una mia nota sulle critiche che sono state rivolte alla proposta e una nuova ipotesi che dovrebbe superarle.
[Mio articolo su L'Unità del 12 gennaio 2011] . Molti sostenitori del PD pensano che i prossimi candidati al Parlamento, tanto più se non si riesce ad abolire il Porcellum, dovranno essere scelti con le primarie. Alcuni dirigenti dicono di concordare, ma nessuno fino ad ora ha spiegato come si potrebbero svolgere. Io stesso mi ero convinto che fosse impossibile concepire un procedimento trasparente ed equo, proprio a causa delle perverse caratteristiche dell’attuale legge elettorale. Ma una soluzione invece esiste. Ci sono arrivato riflettendo sui difetti di vari tentativi che ho potuto esaminare, alcuni anche molto sofisticati, come ad esempio quelli elaborati dagli iscritti al circolo romano di Trastevere o da www.wiprogress.org.
In entrambi i casi si propone una artificiale divisione del territorio in collegi, in ciascuno dei quali si possa svolgere una competizione simile alle primarie per i sindaci. Entrambi i progetti si impantanano però quando devono dire come si fa a stabilire l’ordine di inserimento nella lista bloccata dei vincitori. Un problema non di poco conto. Se si scelgono con le primarie tutti o quasi i candidati da mettere in lista, dalla posizione in cui vengono collocati dipende la possibilità effettiva per ciascuno di loro di essere eletti oppure il rischio di fare da riempitivo.
In entrambe le proposte la posizione nella lista di ciascun candidato viene fatta dipendere dal tasso di partecipazione alle primarie registrato nel collegio in cui ha vinto. Ma così, un candidato fortissimo, che vince con l’80% perché nessun contendente credibile gli si è opposto, rischia di essere messo in fondo alla lista e di non entrare in Parlamento, al contrario di candidati meno attraenti che hanno vinto con il 30%. Dove c’è un solo candidato forte e l’esito è scontato è più probabile che la partecipazione sia bassa; dove ci sono tanti candidati di “pari livello” che si contendono il seggio, la partecipazione potrebbe invece essere più elevata. Messa così il puzzle è insolubile.
Il problema può essere però aggirato ritorcendo in virtù proprio i due principali vizi del nostro sistema parlamentare: le lunghe liste bloccate e il bicameralismo paritario. Le prime consentono di prevedere facilmente quanti sono i seggi sicuri su cui un partito come il PD può contare in ciascuna regione. Ad esempio, in Umbria il PD nel 2008 ha ottenuto 9 seggi (5 alla Camera e 4 al Senato); anche se il risultato delle prossime elezioni fosse per noi disastroso, non ne prenderemmo comunque meno di 7. Con il bicameralismo perfetto tra essere senatore o deputato non c’è nessuna sostanziale differenza, né per chi si candida né per chi deve essere rappresentato.
Si può quindi tranquillamente dividere l'Umbria in 7 collegi e mettere in palio, in ciascuno di essi, uno qualunque dei primi 4 posti nella lista per la Camera e uno qualunque dei primi 3 posti nella lista per il Senato. Per stabilire l’esatta posizione di ciascun candidato si potranno usare vari criteri, più o meno oggettivi, dato che la scelta non incide sulle probabilità di elezione.
Si intende che, con l’eccezione del Segretario Nazionale, nessuna candidatura dovrebbe essere anteposta nell’ordine di lista a quelle selezionate attraverso le primarie. D'altro canto, quali rischi correrebbero nei collegi personalità come Bindi, Veltroni, Letta o Realacci, Anna Finocchiaro o Enzo Bianco, se ottenessero la deroga a superare i tre mandati fissati dallo statuto e decidessero di ricandidarsi? Conosco e capisco una possibile obiezione: persone come Pietro Ichino, però, che pure godono di un grande apprezzamento (in una area magari più ampia del 2%) su tutto il territorio nazionale, rischiano d’essere surclassati in un singolo collegio dalla restante percentuale del partito che le avversa … per non parlare del povero Vassallo, nemmeno assistito dall'autorevolezza e visibilità mediatica del primo! Sono infinitamente grato a chi si dovesse porre tali dubbi ma credo siano fuori tempo massimo. In tempi passati e non sospetti, ho sostenuto che le primarie si addicono alle cariche apicali di governo, per le quali ogni partito o coalizione deve scegliere una persona che da sola rappresenti tutti, mentre vanno meno bene quando si deve scegliere un grappolo di candidati per cariche assembleari capaci nell'insieme di restituire una pluralità di sfumature (genere, generazioni, competenze, orientamenti politici). Continuo a pensarlo. Ma al punto a cui siamo nella delegittimazione della classe parlamentare non si può andare per il sottile e non resta che affidare gli eventuali bilanciamenti alla ragionevolezza degli attori e a dinamiche informali. E poi, gli esiti di primarie aperte, come è già capitato, potrebbero anche contraddire le attese basate sulle "quote azionarie" interne.
Una cosa è certa. Se si vogliono le primarie per i parlamentari, si devono tenere con tutti i crismi e traendone tutte le conseguenze: una vera, trasparente cessione di sovranità dai gruppi dirigenti agli elettori, senza pasticci procedurali e mezze misure. Scegliendo questa strada, subito, saremmo il primo e unico partito ad abolire, di fatto, il Porcellum. Ogni “collegio PD” avrebbe un “suo” parlamentare. Ogni parlamentare PD avrebbe un collegio a cui dare conto. Spazzeremmo via in un colpo le voci secondo cui anche al PD sta bene il Porcellum perché in fondo “le liste bloccate fanno comodo a tutti i partiti”. E se ci fosse qualcuno tra di noi che in un angolo dell'animo effettivamente lo coltiva, verrebbe alleggerito di questo cattivo pensiero. Per farlo, l'Assemblea nazionale del 16 e 17 potrebbe approvare un ordine del giorno breve ma circostanziato come quello che si trova su www.salvatorevassallo.it, insieme alle informazioni per sottoscriverlo.
Che io sappia, hanno scritto di o su questo articolo: Antonio Floridia, WiProgress, pubblicata anche su ProssimaFermataItalia, e Giuseppe Civati. Ecco in sintesi le mie controdeduzioni e una nuova versione della proposta.
È vero che l'idea di ritagliare i collegi in numero pari ai seggi sicuri non è facile da praticare e si presta al gerrymandering.
È vero che l'uso dei collegi uninominali rende la scelta sempre seccamente maggioritaria, al rischio di annientare il pluralismo interno al partito. Chi enfatizza questo aspetto sottovaluta che è proprio il carattere uninominale e maggioritario a rendere le primarie per i sindaci avvincenti, partecipate e decisive, con l'eventualità di esiti del tutto imprevisti. Comunque, io stesso avevo messo in evidenza il medesimo rischio.
Entrambi i problemi possono essere attenuati con una sola modifica al modello inizialmente proposto: che i collegi siano provinciali o, nei casi di province molto grandi, infra-provinciali. In questo modo in ciascun collegio (di ambito provinciale) si metterebbero in palio fino a 4 o 5 seggi sicuri. Il metodo resta basato sui principi "una testa, un voto" e "chi prende più voti vince" (in questo caso, vince una candidatura in posizione sicura, fino alla copertura delle candidature sicure da assegnare nel collegio).
Non credo sia invece opportuno modificare altri elementi della proposta.
È cruciale che vengano messi in palio solo i seggi sicuri. Più precisamente: una larga quota dei seggi assolutamente sicuri. Per due ragioni. In primo luogo perché così si evita di dover affrontare il problema dell'ordine di lista, altrimenti insolubile. E perché così si lascia un margine di autonomia ai gruppi dirigenti per integrazioni che bilancino eventuali squilibri riguardo al genere, alle competenze e al pluralismo politico interno.
È cruciale che, in ogni territorio, ciascun elettore abbia a disposizione un solo voto. Le primarie per i Parlamentari si fanno per consentire agli elettori di scegliere "singole persone" in base ad una valutazione delle loro capacità e competenze, alle loro opinioni e alla reputazione individuale di cui godono. Non sono quindi accettabili metodi che favoriscano o incentivino il voto e l'organizzazione delle campagne su basi di gruppo, corrente, cordata (come avveniva, per intendersi, con le preferenze multiple nella Prima Repubblica, abolite dal Referendum del 1991). Conviene anche ai più giovani rivedere al riguardo il film di Daniele Lucchetti "Il portaborse", con Nanni Moretti, di quello stesso anno. Il passaggio alla preferenza unica, utilizzata per la Camera nel 1992, non ha eliminato tutte le perversioni raccontate da Lucchetti, ma le cordate le ha rotte.
L'attribuzione di "un solo voto" a ciascun elettore, in ogni territorio, pone due problemi: uno pressoché inesistente, uno reale.
In primo luogo, esige che si selezionino indistintamente i candidati "al Parlamento", e che non si distinguano, durante lo svolgimento delle primarie, le candidature per la Camera e per il Senato. Tenerle distinte, oltre a generare il problema appena citato (la possibilità di accordi e scambi di voti tra candidati), provoca una inutile confusione nella testa degli elettori e accentua il carattere maggioritario delle primarie (la stessa "componente", accordandosi su un "ticket", porta a casa, con gli stessi voti, due seggi). L'opzione tra Camera e Senato può essere successiva allo svolgimento delle primarie, dato che comunque si tratta di allocare solo posizioni sicure. Al limite, si può usare l'estrazione a sorte.
Per le medesime ragioni, è largamente sconsigliabile il meccanismo della cosiddetta "doppia preferenza di genere". La "doppia preferenza di genere" è forse l'unico metodo utilizzabile in competizioni elettorali "ufficiali" che prevedano il voto di preferenza, perché in quel caso non possono essere considerati altri meccanismi di bilanciamento (non si può alterare il risultato ex post). Per questa ragione ho personalmente sottoscritto proposte di legge che lo introducono, ad esempio nel caso delle elezioni per i consigli comunali e regionali. Ma le regole interne di un partito possono anche stabilire altri meccanismi di riequilibrio più efficaci e meno distorsivi.
Per tener conto delle citate osservazioni, le linee guida per la redazione del regolamento protrebbero ad esempio essere riscritte come segue.
a) in ogni regione vengono selezionati con le primarie un numero di candidati al Parlamento pari ai tre quinti dei seggi parlamentari complessivamente ottenuti, tra Camera e Senato, dal PD nella stessa regione in occasione delle elezioni politiche del 2008, ovvero, un numero di candidati che, sulla base di dati oggettivi, si possa ritenere pari ai tre quarti dei seggi parlamentari con sicurezza conquistabili dal PD nella regione;
b) ogni provincia o, nelle province con più di 500.000 abitanti, ogni ambito sub-provinciale identificato dalla direzione regionale del PD, costituisce un collegio.
d) in ogni collegio la consultazione si svolge, per quanto riguarda l'elettorato attivo e passivo, la propaganda e la modalità di espressione del voto, con le medesime regole previste dallo Statuto e dai regolamenti del PD per le primarie di partito per la scelta dei candidati a sindaco;
e) vengono selezionati, in via provvisoria, i candidati che, in ciascun collegio, hanno ottenuto il maggior numero di voti, fino al raggiungimento del numero di candidature attribuite al collegio ai sensi della lettera c).
f) qualora nel complesso delle candidature così identificate, in ambito regionale, uno dei due generi sia rappresentato in misura inferiore ad un terzo, prima dichiarare in via definitiva i vincitori, si procede ad un riequilibrio, come indicato dalle successive lettere g), h), i);
g) si identifica il collegio in cui la quota dei candidati del genere meno rappresentato è, tra i vincitori identificati in via provvisoria, più bassa;
h) nel collegio così identificato, il candidato del genere meno rappresentato che ha ottenuto il maggior numero dei voti tra i candidati non ancora selezionati, sostituisce il candidato di genere diverso che ha ottenuto il minor numero di voti tra i candidati selezionati in via provvisoria, purché abbia ottenuto un numero di voti almeno pari al 60% di quest'ultimo;
i) la procedura indicata alle lettere g) e h) si ripete fino a che il complesso delle candidature selezionate nell'ambito della Regione non includa almeno un terzo di candidati del genere meno rappresentato;
m) i candidati così selezionati sono inseriti nelle prime posizioni delle liste del PD per la Camera e per il Senato, secondo un ordine, per quanto possibile, basato su criteri oggettivi e stabilito in ultima istanza dalla direzione regionale;
n) con l’eccezione della candidatura del Segretario Nazionale, nessuna altra candidatura può essere anteposta nell’ordine di lista a quelle selezionate attraverso le primarie; le candidature successive sono deliberate dalla Direzione Nazionale in funzione di riequilibrio di genere, delle competenze e degli orientamenti politici interni, ove possibile ripescando candidati non eletti nelle primarie. Qualora, ripetendo la procedura di cui alle lettere g) ed h) non sia stato possibile ottenere il risultato indicato alla lettera i), la direzione nazionale può inserire in lista, immediatamente dopo quelli selezionati con le primarie, solo candidati del genere meno rappresentato, fino a che non sia raggiunta la quota di almeno un terzo delle candidature del genere meno rappresentato nella parte alta delle liste Camera e Senato di ciascuna Regione.
Chi vuole approfondire le mie proposte in tema di primarie, può consultare questo dossier.